2024-05-05
Due portaerei Ue coprono le rotte africane
Entra nel vivo l’esercitazione Nato nel Mediterraneo guidata dalla nostra Marina con la Cavour e la francese Charles de Gaulle: sono coinvolti 9.500 militari. Un presidio rispetto al Maghreb (flussi migratori, commercio e industria) e all’Iran (possibili minacce). Dopo le esercitazioni Nato (e americane) nella regione artica e le più recenti, sempre sotto bandiera atlantica e Usa in Romania e Moldavia, adesso tocca al Mediterraneo e al fianco Sud della stessa Nato. È entrata nel vivo l’esercitazione «Mare aperto», guidata e coordinata dalla nostra Marina. La più grande azione sotto il comando dalla nostra bandiera, con oltre 9.500 militari coinvolti provenienti da 22 nazioni. Durerà un mese, coinvolgendo 100 tra navi, sommergibili e altri mezzi da sbarco. Truppe d’élite come il Comsubim e i Marines Usa. Va detto che non è il primo anno che tra la Sardegna e la zona Sud della Calabria si svolgono le esercitazioni di «Mare aperto». Quest’anno ci sono però alcune novità. Innanzitutto sarà presente anche il gruppo navale permanente che si occupa di contromisure alle mine, e soprattutto - a partire dalla prossima settimana - i lavori si coordineranno con un’altra esercitazione a bandiera francese che va sotto il nome di Polaris. Risultato, l’enorme flotta si sposterà tra il Sud della Francia, la Corsica, la Sardegna per poi arrivare fin sotto la Calabria e il canale di Sicilia. Il tutto con due portaerei: la nostra Cavour e la francese Charles de Gaulle. Se fino a qui si è analizzata la cronaca militare, non si può non notare che in momenti delicati come gli attuali il Mediterraneo torna ad avere due portaerei a presidiare le coste e il dominio sottomarino. Lo scorso marzo infatti la portaerei americana Gerald Ford, con i mezzi di supporto, ha lasciato lo stretto di Gibilterra per tornare nell’oceano dopo tre anni di permanenza nel lago europeo. Parlare di coincidenze può sembrare eccessivo, viste le necessità di programmare con ampio anticipo un movimento di mezzi così ingente, ma dal punto di vista politico - e con gli sforzi tutti incentrati in Ucraina e nell’area di Gaza - né i governi né l’economia possono più permettersi di lasciare aree commerciali e infrastrutturali delicate come il canale di Sicilia senza protezione militare. A preoccupare sono almeno due fronti. Il primo è tutto africano. L’uscita di scena dei francesi e degli americani dal Niger (la base di Agadez ha visto un parziale subentro delle truppe di mercenari russi) lascia i soli militari italiani quale presenza stabile Ue, ma al tempo stesso apre a ulteriori scenari di instabilità nei flussi migratori più difficili da controllare (la stessa Agadez è snodo fondamentale nel Sahel) e nel commercio delle materie prime sempre più da considerare come arma inflattiva. Eppure, l’allontanamento degli americani dal Maghreb sta lasciando spazio a nuovi progetti. Tra il Piano Mattei e numerosi altri investimenti infrastrutturali a matrice Ue, la tratta tra la Tunisia, la Libia, l’Egitto e l’Europa sarà sempre più affollata e, dunque, in pericolo. Il riferimento va alle elettroconnessioni in costruzione verso la Sicilia, ma anche a importanti trattative di Metinvest che sta cercando di aprire e sviluppare uno stabilimento siderurgico per il preridotto. Non sfugge a nessuno che le navi dal porto del generale Khalifa Haftar arriverebbero in Italia, in Grecia e nei Balcani dirette verso il corridoio 5, che per definizione porta a Kiev. Come si ricostruisce l’Ucraina? Con che acciaio? Quasi certamente quello proveniente dal Maghreb: e se ci arriva La Verità lo sapranno sicuramente già gli avversari della Nato. Per questo serve presidiare il Fianco Sud dell’Alleanza, ancor più che quello Est. Senza dimenticare che qui l’Italia ha la sua occasione di contare qualcosa. Molto più della Francia, che ha evidentemente finito un ciclo storico in tutta l’Africa. Resta però ancora un secondo fronte da valutare, che ci riporta all’Iran e al conflitto arabo-israeliano. Dopo l’attacco di Gerusalemme all’ambasciata iraniana di Damasco, Teheran ha risposto con un lancio di missili a bassa intensità e sciami di droni. Ne abbiamo letto su tutti i giornali, concentrandoci sul pericolo allargamento bellico nell’intero Medioriente. È invece più subdola la notizia lanciata l’altro ieri dall’agenzia stampa Tasnim associata al corpo delle Guardie rivoluzionarie. Il portale fa sapere che l’incrociatore Shahid Mahdavi per la prima volta ha varcato l’equatore, incrociando le acque dell’emisfero meridionale. La nave da guerra oceanica è stata inaugurata un annetto fa, prende il nome da un «martire» della guerra Iran-Iraq e punta a proiettare la capacità di Teheran anche a migliaia di chilometri dalla madre patria. Lo scafo infatti, pur derivando da un vecchio mercantile di 240 metri, è dotato di missili balistici con raggio da 1.700 chilometri, oltre a una piattaforma per elicotteri e droni e soprattutto subdole capacità di guerra elettronica. La nave tra il 5 e il 13 aprile è stata fotografata tra Minab e Chabahr in Iran mentre lanciava missili contro Israele. Nelle ultime due settimane si è poi spostata a Sud nell’Oceano indiano, più o meno all’altezza della Tanzania. Ovviamente si tratta di acque extraterritoriali. Ma al momento nessuno sa dove sia diretta. Tornerà in Iran dopo un gesto dimostrativo o deciderà di passare Città del Capo per dirigersi verso l’Europa? Nessuno potrebbe fermarla, e di sicuro si aprirebbe un tema sicurezza per le coste spagnole e francesi. Insomma, il mondo è estremamente complesso. Volente o nolente il Mediterraneo resta il centro di questo assetto multipolare. La capacità di crescita economica difficilmente resterà scollegata da quella militare. Piaccia o no, va tenuto presente.
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