2024-09-30
«L’obbligo di polizza scarica sui privati i fallimenti dello Stato»
Giorgio Spaziani Testa (Imagoeconomica)
Il capo di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa: «Il governo chiarisca che per i proprietari di casa non ci saranno oneri. No a logiche contabili sui bonus».«È inaccettabile scaricare sui privati, che siano i cittadini o le imprese, gli oneri delle inefficienze delle pubbliche amministrazioni nel prevenire i disastri ambientali». Cominciamo da qui, dalla contestata norma sulle polizze assicurative contro i danni del cambiamento climatico, l’intervista al presidente della Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. «Confedilizia è nettamente contraria alla proposta di estendere l’obbligo a tutte le case, ma si era a suo tempo espressa negativamente anche sulla sua imposizione alle imprese. Di fronte a un apparato pubblico – fatto di Stato, Regioni, Comuni, Consorzi di bonifica e chissà quanti altri enti – che costa centinaia di miliardi ai contribuenti italiani, ma che non riesce a realizzare le necessarie opere di tutela e protezione del territorio, è inaccettabile che la risposta possa essere quella di scaricare sui cittadini l’onere di questa inefficienza. Anche i due vicepresidenti del Consiglio, Matteo Salvini e Antonio Tajani, si sono dichiarati contrari all’idea dell’estensione a tutti gli immobili. Ora però occorre chiarire se quest’ultima, come ci auguriamo, sia la posizione definitiva del governo: sull’economia non hanno effetto solo i provvedimenti normativi, ma anche gli annunci».In alternativa alle assicurazioni, cosa si può fare?«Da parte del settore pubblico, l’ho già detto: il proprio dovere. E quindi manutenzione e prevenzione, senza cedere ai diktat degli estremisti green. Da parte dei privati, tutto ciò che è nelle loro possibilità, ma di fronte a un fiume che esonda è evidente che per alcuni non vi è difesa: non possono trasformare in palafitte le case! In un Paese come il nostro, inoltre, sarebbe opportuno continuare a incentivare gli interventi per incrementare la sicurezza degli immobili».A che punto è l’attuazione della normativa sulle case green?«La direttiva europea è ormai stata approvata. Ora ci aspettiamo che il governo Meloni e la maggioranza diano seguito all’impegno che hanno assunto e lavorino a Bruxelles e a Strasburgo per cambiare un testo che, pur attenuato rispetto alla sua versione iniziale, resta pericoloso. Quel che fa rabbia è che adesso in tanti scoprono quanto inopportuni siano stati gli eccessi dell’ideologia green che hanno caratterizzato l’ultima legislatura europea, mentre se si fossero battuti prima – come Confedilizia ha fatto, pressoché sola, sin dal 2021 – tanti danni si sarebbero potuti evitare».Cosa attende il mercato immobiliare nel 2025?«Servirebbero interventi efficaci per farlo ripartire. Penso a misure che possano incentivare i privati ad acquistare immobili per riadattarli e poi immetterli sul mercato delle locazioni, come misure di detassazione reddituale e patrimoniale per i primi cinque anni di contratto. Ma poi occorre che le persone non siano terrorizzate continuamente dall’annuncio, o addirittura, dall’effettiva imposizione di nuovi obblighi o di nuove tasse».Legge contro le occupazioni abusive. Può essere efficace o come sostengono alcuni giuristi è talmente burocratica che rischia di non risolvere il problema?«Secondo noi, l’articolo 10 del ddl del governo centra il problema principale e individua una soluzione efficace. La vera novità del provvedimento, infatti, non è quella del nuovo, specifico reato di occupazione arbitraria di domicilio altrui, che si aggiunge a quello, in essere dal 1930, di occupazione arbitraria di immobili senza specificazioni. La svolta importante è data dalla norma che introduce un procedimento accelerato che prevede, se l’immobile occupato è la “unica abitazione effettiva del denunciante”, l’intervento immediato degli ufficiali di polizia giudiziaria, e consente a questi ultimi di disporre coattivamente il rilascio dell’immobile e di reintegrare il denunciante nel possesso, previa autorizzazione (anche orale) del pm. Confidiamo che questo nuovo approccio dia i suoi frutti».Cosa bisognerebbe fare per combattere le morosità? «Il problema vero, negli affitti, è la fase esecutiva. Qualsiasi normativa sul procedimento giudiziario, anche la più garantista per le ragioni dei proprietari-locatori, è inutile se la sentenza non viene eseguita. Quindi, certamente sarebbe da migliorare la parte processuale, ma soprattutto occorre che si agisca con tempestività per liberare effettivamente, e non solo sulla carta, gli immobili occupati da chi non ne ha più diritto. Invece, tra lungaggini negli accessi degli ufficiali giudiziari, intromissioni politiche e picchetti di attivisti vari, può passare un tempo infinito. E poi qualche anima bella ha anche il coraggio di stupirsi se i proprietari si rifugiano, quando possono, negli affitti turistici oppure pretendono sempre maggiori garanzie economiche dagli aspiranti inquilini alla stipula del contratto». La lotta ai b&b che danni può recare ai proprietari?«Io credo che i danni li arrechi all’economia (oltre che al buon senso, visto il carattere velleitario di questa lotta, come ha dimostrato la fallimentare esperienza di New York). L’ospitalità extralberghiera è una risorsa. In un Paese dove la popolazione diminuisce ogni anno, dove le aree interne si spopolano a vista d’occhio, dove la crescita langue da decenni, dobbiamo prendercela con chi riesce a trarre un reddito, e a crearne di nuovo, attraverso gli immobili? Lo abbiamo sempre detto: se si ritiene che in qualche città sia desiderabile un aumento della quota di case locate per periodi lunghi (ma senza illudersi di riportare masse di famiglie nel centro di Roma o di Venezia), la strada non è quella delle restrizioni ad affitti brevi e simili, bensì quella delle garanzie e degli incentivi agli affitti lunghi».Le nuove norme sui b&b con la certificazione riusciranno ad arginare il nero? O hanno dei punti deboli per cui tutto continuerà come è stato fino ad ora?«Il nero era già impedito dalla più severa norma tributaria che possa regolare un’attività economica, quella del sostituto d’imposta. Come i lavoratori dipendenti non possono sottrarsi al pagamento dell’Irpef perché l’imposta viene loro trattenuta e versata allo Stato dai datori di lavoro, così coloro che fanno affitti brevi non possono evitare di pagare la cedolare secca perché i portali web sui quali pubblicano i loro annunci e sui quali effettuano le transazioni trattengono la quota destinata al pagamento della cedolare secca e la versano al Fisco. Venendo al Cin (il Codice identificativo nazionale), quando fu introdotto non esprimemmo contrarietà perché la legge sembrava prevedere che il nuovo codice nazionale avrebbe sostituito quelli regionali. Le cose si sono evolute invece diversamente e ora abbiamo, su ogni abitazione interessata, la coesistenza di codice nazionale, regionale e a volte anche comunale. In ogni caso, stiamo chiedendo al ministero del Turismo di attenuare il più possibile le complicazioni per i cittadini, anche per quanto riguarda le nuove dotazioni richieste ai locatori».Cosa vi aspettate con la prossima legge di Bilancio per il settore immobiliare?«Al governo suggeriamo due misure per allargare l’offerta di abitazioni in locazione: abbattere l’Imu almeno per le case date in affitto a canone concordato e disporre l’applicazione in tutta Italia della cedolare secca al 10% prevista in caso di utilizzo di questa tipologia di contratti calmierati, che riguardano anche gli studenti. Gli oneri sarebbero limitati, ma gli effetti positivi sarebbero rapidi e rilevanti. Naturalmente, il varo di queste misure dovrebbe essere accompagnato da altri interventi strutturali, a partire dal recupero dei tanti appartamenti di edilizia residenziale pubblica non disponibili e da una più rigorosa gestione di quelli assegnati. Così come andrebbe verificata la possibilità di riqualificare e riutilizzare almeno parte dei molti edifici pubblici in disuso. Dopodiché, a proposito di affitti, attendiamo che venga data attuazione a una misura che abbiamo fortemente voluto e che è stata inserita all’interno della riforma fiscale: l’estensione della cedolare secca anche alle locazioni non abitative. Sarebbe un modo, unitamente a una rivisitazione della normativa sui contratti, che risale agli anni Settanta del secolo scorso, per combattere la desertificazione commerciale, e il conseguente degrado, delle nostre città».E sui bonus edilizi cosa accadrà?«Io preferisco chiamarli incentivi. Il timore è che il governo agisca seguendo una logica meramente contabile, anche condizionato dall’esperienza del Superbonus. A nostro avviso, invece, occorrerebbe procedere a un’analisi approfondita di tutta la copiosissima normativa in vigore, scandagliando ogni singola detrazione e decidendo la sorte di ciascuna di esse: conferma, riduzione, incremento (caso improbabile), soppressione, anche in funzione dell’esigenza pubblica che le ha motivate (contrasto all’economia sommersa, riqualificazione edilizia, miglioramento sismico, efficientamento energetico ecc.). Ma senza fare l’errore di escludere dai benefici, come si è paventato, quelle che vengono definite “seconde case” ma che sono in realtà tutti gli immobili diversi dalla casa di abitazione: e quindi quelli locati, quelli in crisi perché senza mercato ecc. Discriminazione che avrebbe l’effetto, per giunta, di creare il caos nei condominii, dove “prime case” e “seconde case” coesistono. Se si facesse un esame serio di quanto attualmente in vigore, e dei relativi oneri per la finanza pubblica, si potrebbero poi stabilire delle priorità e legiferare di conseguenza. Certo, la direttiva “case green”, come noi avevamo avvertito già tre anni fa, condiziona l’individuazione delle priorità. Per capirci: l’Italia, a differenza di quasi tutti gli altri Paesi Ue, ha un alto rischio sismico e dovrebbe concentrare la maggior parte dell’attenzione e delle risorse sui lavori finalizzati a ridurlo. Ma se dobbiamo sottostare alle logiche del Green deal europeo, i cappotti termici avranno la precedenza sul rafforzamento delle nostre case. E non è una bella cosa».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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