2024-12-20
«La politica che chiede il parere ai giudici sugli errori giudiziari si conferma succube»
Gaia Tortora, figlia del giornalista perseguitato: «L’astensione del Pd sul voto per la Giornata delle vittime di malagiustizia mi ha indignata».Gaia Tortora, vicedirettore del TgLa7 (dove l’ho assunta io, e non virtù del cognome, ma per le cose che le avevo visto fare), è figlia, come è noto, di Enzo Tortora.Stritolato dal circo mediatico-giudiziario, arrestato il 17 giugno 1983, interrogato solo dopo una settimana, reinterrogato tre mesi dopo, il 29 settembre, mandato ai domiciliari nell’1984, nell’1985 condannato a 10 anni di carcere per essere un camorrista trafficante di droga (e consumatore in proprio), in un processo basato sulla parola dei «pentiti», dichiarato innocente in appello nell’1986, assoluzione confermata in Cassazione nell’1987, deceduto - «perché mi hanno fatto esplodere una bomba atomica dentro», dirà lui riferendosi al suo tumore al polmone - nel maggio 1988. Il riassunto serve a ricordare, a coloro che fanno finta di non saperlo, che quando Gaia Tortora parla di magistratura e errori giudiziari, ha tutto il diritto di prendere posizione, anche in forme veementi, avendo - purtroppo per lei e per la sua famiglia, a cominciare dalla sorella Silvia scomparsa nel gennaio 2022 - maturato in materia una tragica esperienza diretta. Tanto che quando Gianni Melluso, un calunniatore conclamato, l’accusatore mediaticamente più famoso (ben più di Giovanni Pandico e di Pasquale Barra) disse all’Espresso che chiedeva perdono ai parenti di Enzo Tortora per essersi inventato tutto - pronto a buttarsi in ginocchio ai loro piedi- Gaia lo gelò: «Ditegli di stare pure in piedi, e di girare alla larga».Tuo padre è diventato suo malgrado un simbolo. Ora lo sei anche tu: come lui, tu pure non sei una che le manda a dire, le dice direttamente. Nei confronti delle toghe e anche dei politici.«Fammi fare una premessa. Se mi occupo di malagiustizia, se continuo a battermi per una magistratura più attenta, ma anche per un giornalismo più etico, lo faccio certamente per quello che ho patito in prima persona, insieme ai miei familiari. Ma anche per scelta. Mi è intollerabile vedere che troppe persone innocenti ancora finiscono maciullate da un sistema che appare ingovernabile. Troppi rivivono la mia storia. Troppi soffrono per i motivi per cui io, noi abbiamo sofferto».Al circo mediatico-giudiziario, allo «sbatti il mostro in prima pagina», poi ci arriviamo. Partiamo dalla cronaca. Tu hai sempre rifiutato di lasciarti strumentalizzare per il nome che porti, «di recitare» - hai scritto nel tuo libro Testa alta, e avanti - «la mia parte in commedia». Perciò, hai sempre messo in riga chi si paragonava a tuo padre. Ricordo nel 2013 la tua risposta in proposito a Silvio Berlusconi: «Si tratta di altra storia e di altra persona, lo dico con il massimo rispetto». Con il tuo tweet dell’11 dicembre, rivolto al Pd: «Fate pietà, davvero», sei andata oltre.«Procediamo con ordine. Hai fatto bene a ricordare la data delle mie parole a Berlusconi, che non rinnego, ma a cui vanno aggiunte quelle che ho usato successivamente, in cui riconoscevo che le sue prese di posizione non erano immotivate. Dal suo punto di vista aveva ragione, con una vita scandita da appuntamenti giudiziari. Perché chi finisce in quel gorgo è destinato al calvario. Con sentenze che arrivano comunque dopo anni e anni, quando della verità del fatto non importa più niente a nessuno, tanto i processi sommari si fanno sui giornali, nei talkshow, e oggi sul web (ecco, almeno questa a mio padre è stata risparmiata: la gogna social), con processi magari sulla stessa ipotesi di reato, che finiscono per poi ricominciare, in una sequenza di bis, ter, quater, mentre le esistenze delle persone si consumano, o finiscono, aspettando il Godot della giustizia».Per questo, si è pensato di dedicare una giornata alle vittime di errori giudiziari, il 17 giugno, perché fu in quella data che tuo padre fu prelevato nel cuore della notte all’hotel Plaza di Roma e poi fatto sfilare in manette davanti alle telecamere.«Esatto. Ero informata, perché ero stata interpellata dai radicali, da esponenti di Italia viva, e anche da qualche rappresentante della maggioranza per sapere che ne pensassi. Ho chiesto appositamente che fosse sì quella la data-simbolo, ma senza il nome. Dal Pd, invece, non si è materializzato nessuno. Non erano obbligati, certo. Ma anche per questo sono rimasta indignata dall’astensione del Pd in commissione. Che in un comunicato ha espresso prima perplessità perché nella proposta non si fa espressamente riferimento al caso “emblematico” di Enzo Tortora, poi ha infilato un ragionamento agghiacciante». Quello su «il caso Tortora tecnicamente non fu un errore giudiziario».«Sicché solo se c’è stata la revisione, che può essere richiesta quando la sentenza è diventata definitiva con il passaggio in giudicato, si può parlare di “errore”. Quindi, dato che mio padre è stato sì condannato in quel simulacro di processo che fu il primo grado, ma poi scagionato in appello, definirlo errore è sbagliato. E l’istruttoria fatta come sappiamo? E i 6 mesi di carcere, seguiti dai domiciliari? E le parole dei pentiti mai verificate? E i riscontri mai cercati? E i testimoni a favore mai considerati? Con una logica conseguenza: se non è stato un errore, allora è stata una macchinazione, che è pure peggio».Il Pd spiaggiato sulle tesi dell’Anm.«Sì, ma attenzione: prima c’è il voto in commissione, poi arriva il sindacato dei magistrati. Con posizioni che mi paiono non del tutto univoche, perché il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia sembra farne un problema di “sedi in cui affrontare l’argomento”, non ancorando l’errore alla sua definizione tecnica, mentre per il pm Eugenio Albamonte “Tortora non fu un errore giudiziario perché in appello fu prosciolto”, e per il segretario dell’Anm Salvatore Casciaro “si fa passare l’errore giudiziario come errore del giudice quando è un errore del sistema”, di cui evidentemente i magistrati non farebbero parte, curioso. Ma poi il collante che tutto tiene insieme è sempre la difesa corporativa della categoria. Semmai è grave un’altra circostanza».Quale?«Ma perché la politica, se vuole istituire una giornata sulle vittime della malagiustizia, prevede che prima si debba comunque procedere con l’audizione dei magistrati? Non è un modo di abdicare ulteriormente alle proprie funzioni? D’accordo che la democrazia è ascolto, ma è anche decisione, e questa vicenda dimostra che non c’è equilibrio tra i poteri dello Stato, certificando purtroppo una subalternità della politica nei confronti della magistratura. È possibile che ogni tentativo di riforma finisca in cavalleria prima ancora di essere messo nero su bianco e discusso?».La sudditanza psicologica però non elimina la dura realtà dei numeri: negli ultimi 30 anni, 30.000 vittime indennizzate per ingiusta detenzione o risarcite per errore giudiziario. Un numero monstre, che cresce al ritmo di circa 1.000 nuovi casi l’anno. E una spesa complessiva di circa 900 milioni di euro. «Queste statistiche tengono però conto solo di chi ha ottenuto la revisione perché l’ha chiesta. Poi ci sono gli innocenti invisibili. Di cui fanno parte coloro che, una volta sopravvissuti allo tsunami che li ha travolti e assolti, sono così stanchi e prostrati da non voler sapere più nulla di avvocati, giudici e aule di tribunali. A costoro, vanno aggiunti coloro che vorrebbero continuare la propria battaglia per il risarcimento, ma hanno dato fondo alle loro risorse economiche. Infine, ci sono le domande respinte perché gli imputati, poi dichiarati innocenti, hanno contribuito con colpa grave a causare la propria detenzione in carcere o agli arresti domiciliari. E il colmo kafkiano sai qual è? Che tra le colpe gravi rientra il fatto che ti sei avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia. Che è un sacrosanto diritto dell’imputato, previsto dal codice di procedura penale. L’esercizio di un diritto equiparato a una colpa». Beniamino Zuncheddu, 33 anni in galera da innocente, si è lamentato della «dispar condicio» nei suoi confronti: «Giorgia Meloni è andata ad accogliere Chico Forti che tornava dall’America, ma a me non ha scritto neanche un biglietto. Mi sarebbe piaciuto riceverne uno da Mattarella».«Ha ragione. Non bisognerebbe occuparsi o preoccuparsi soltanto dei casi di malagiustizia sotto i riflettori, ma anche di quelli su cui è calata la condanna del silenzio».Anni fa, partendo dalla considerazione che sul tema «giustizia» ci sono caduti i governi, concludevi che per fare davvero una seria e equilibrata riforma della giustizia ci vorrebbe qualcuno che dicesse: «Signori, fuori tutti, via dal Csm, dall’Anm, da tutti gli organi di potere: azzeriamo, facciamo concorsi, compulsiamo curricula, e facciamo entrare in campo la maggioranza silenziosa, quelli che si fanno un mazzo così». Sei sempre dello stesso avviso?«Certo, e più di prima. Prevedendo innanzi tutto la separazione delle carriere, per avere una magistratura giudicante sempre e comunque terza rispetto all’accusa e alla difesa».Sei fiduciosa?«Per forza. Altrimenti non avrebbe senso lottare per una giustizia giusta».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco