2023-06-17
Polimi a due facce: «sposa» gli Lgbt ma si lega alla Cina che li perseguita
Un momento dello spettacolo «Polidrag» al Politecnico di Milano.
L’ateneo di Milano organizza incontri-spot pro gay causando malumori tra docenti e studenti. «Con il vecchio rettore c’era più neutralità», spiega un dottorando. Svolta arcobaleno che stride con i legami con il Dragone.Vi immaginate un’istituzione pubblica che, in tutta tranquillità (e supposta impunità), fa apologia di pratiche illegali? Ecco, è proprio quello che sta per avvenire nei prossimi giorni. Nel mese dell’orgoglio omosessuale, infatti, il Politecnico di Milano, che è un’università statale e, quindi, pubblica, ha organizzato la cosiddetta pride week. Si tratta, per la precisione, della quarta edizione dell’evento.Quest’anno, però, qualcosa sembra cambiato. Tra le varie attività della kermesse, figurano due giornate (19 e 22 giugno) con conferenze sulle seguenti tematiche: inclusione nel mondo aziendale, omogenitorialità e carriere alias. Il problema è che due di questi tre simposi vertono su argomenti politici molto controversi: l’utero in affitto e l’autoidentificazione di genere (nota anche come self-id). Che, lo ricordiamo, in Italia - ma anche in altre nazioni europee - sono due pratiche illegali, per cui si può incorrere in una condanna penale.Chiariamoci: è più che legittimo che un’istituzione universitaria tratti temi di interesse pubblico. Essendo argomenti politicamente divisivi, tuttavia, ci si aspetterebbe che l’ateneo rispetti sia il principio del pluralismo sia quello della neutralità ideologica. E invece, scorrendo i nomi dei relatori, è facile intendere che non ci sarà alcun dibattito, ma una vera e propria passerella arcobaleno.Nell’incontro su «Omogenitorialità e diritti», ad esempio, ci sarà la «testimonianza» (così è chiamata nella locandina) di Davide Fassi. Chi è costui? È un professore del Politecnico che, insieme al compagno, ha ottenuto un bambino ricorrendo all’utero in affitto. In un’intervista al Giorno, il docente ha specificato che il bimbo è nato da una madre «surrogata», raggiunta negli Stati Uniti tramite «un’agenzia specializzata».«Noi», ha dichiarato Fassi, «pensavamo che l’atto di nascita del nostro bimbo sarebbe stato trascritto all’anagrafe di Milano, come avveniva fino a poco tempo fa. Non ci aspettavamo un cambiamento così improvviso, per via di questo governo. Noi chiediamo che si colmi il vuoto normativo esistente». In realtà, com’è noto, non esiste alcun vuoto normativo: l’utero in affitto è una pratica illegale. E anzi, per evitare espedienti del genere, si sta ragionando sull’opportunità di dichiararlo reato universale. Insomma, in assenza di un controcanto, è chiaro che ogni neutralità va a farsi benedire.Non a caso, tanto per togliere ogni dubbio, la locandina annuncia che all’evento seguirà l’«accensione della facciata del rettorato dell’ateneo con i colori della bandiera arcobaleno». Stesso discorso per quanto riguarda l’altra conferenza, «Le carriere alias all’università». Anche qui ci sarà un’unica testimonianza, quella del docente a contratto Sonia Zuin. Che però, sul sito del Politecnico, figura come Andrea Zuin, che è l’identificativo unico del ricercatore. In sostanza, abbiamo a che fare con un professore trans che, in un’intervista rilasciata sempre al Giorno, ha dichiarato che «intende portare avanti il discorso dell’identità di genere perché la mentalità è ancora troppo arretrata». Quella stessa identità di genere che, con il ddl Zan, è stata bocciata da un Parlamento democraticamente eletto. Anche in questo caso, ovviamente, nessun dibattito, magari con una persona «detransizionata».Insomma, pare proprio che, con la recente elezione di Donatella Sciuto al rettorato, il Politecnico voglia ormai darsi alla politica. Nelle altre edizioni della pride week, ci ha confermato un dottorando dell’ateneo (che ha deciso di mantenere l’anonimato), «il precedente rettore, Ferruccio Resta, ha volutamente rispettato una neutralità politica in tema Lgbt». Al contrario di oggi, appunto. Peraltro, riferisce sempre il dottorando alla Verità, «ho riscontrato le forti perplessità di molti docenti e rappresentanti del corpo studentesco, che hanno lamentato il fatto che il programma dell’evento non sia stato né discusso né approvato in Senato accademico». L’impressione, pertanto, è che la pride week 2023 sia stata organizzata tramite un atto d’imperio, chiamando tutti ospiti appartenenti al mondo Lgbt e senza garantire alcuna neutralità politica.Al di là di questo, però, stupisce che a farsi alfiere delle battaglie arcobaleno sia proprio il Politecnico di Milano che, negli ultimi anni, ha stretto legami fortissimi con la Cina. Un Paese, cioè, che ha attuato politiche duramente repressive nei confronti degli omosessuali. E stiamo parlando di accordi, quelli con le istituzioni del Dragone, fieramente rivendicati sul sito internet del Politecnico. Che, a quanto pare, non brilla certo per coerenza.Per farsi un’idea della situazione, di recente hanno dovuto chiudere i battenti il gruppo Lgbt rights advocacy China (novembre 2021) e il Beijing Lgbt center (il mese scorso) «a causa di forze al di fuori del nostro controllo». Sempre a maggio 2023, inoltre, sono state pubblicate a stretto giro di posta le inchieste dell’Associated Press, della Cnn e della rivista Foreign policy, che hanno tutte riportato i medesimi risultati: con Xi Jinping al potere, il governo di Pechino ha intensificato la repressione delle organizzazioni omosessuali.Ecco, tra le varie collaborazioni, il Politecnico ha stipulato accordi con numerose università cinesi, che prevedono «trasferimento tecnologico» e «incubazione di start up». Nel 2019, poi, l’ateneo milanese ha aperto la sua prima sede all’estero proprio in Cina, a Xi’an. Senza dimenticare che, appena lo scorso aprile, l’università ha organizzato il China-Italy Youth cultural inheritance and innovation forum, che ha visto la partecipazione del viceconsole cinese a Milano, Zhang Hong, e del prorettore del Politecnico per la Cina, Giuliano Noci.Rapporti quantomeno rischiosi, se pensiamo al fatto che, negli Stati Uniti, l’Fbi ha da tempo lanciato l’allarme sui legami che gli atenei locali intrattengono con Pechino: un problema di sicurezza nazionale da non sottovalutare. E che non può certo essere risolto con bandiere arcobaleno e marchette all’utero in affitto.
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