2024-03-17
Poesie meditabonde per avvicinarci a un universo gentile che ci ignora
Marion Poschmann (Getty Images)
Con la sua raccolta «Nimbus», la tedesca Marion Poschmann ci racconta che la vita è un intreccio di citazioni, sentimenti, appuntamenti, visi e ipotesi. Che l’autrice mescola a scienza, botanica, spiritualità e religioneNon è facile dire a che cosa la mia mente si agganci appena gli occhi si perdono tra le nuvole. Forse mi ricordo di quando ero bambino e correvo nei campi, annegato in tanta spensieratezza, negli acuti insistenti delle rondini che giocavano a rincorrersi, guardando la vasta pianura padana dove crescevo lentamente, tra tanti incerti e inciampi e qualche risata, campi di granturco e sudate in bicicletta. Oppure mi viene in mente quel film di Aki Kaurismaki, Nuvole in viaggio, quei visi e gli occhi sgranati, la regia ridotta all’essenziale, la voglia di partire. O ancora mi vengono in mente le prime parole della canzone di Fabrizio De André, Le nuvole, per l’appunto: «Vanno / Vengono / Ogni tanto si fermano / E quando si fermano / Sono nere come il corvo / Sembra che ti guardano con malocchio», la voce di Lalla Pisano che le diceva come se stesse parlando soltanto a te che ascolti, una confidenza poetica solo e soltanto per te. Chissà, a tutto questo oppure a tutt’altro, ogni volta che mi perdo lassù, nel cielo che sfonda, via certi pensieri, via certe ossessioni, via via via.Nimbus, ovvero nuvola, è anche il titolo di una recente raccolta di testi - poesie e giochi che vanno spesso a capo - dell’autrice Marion Poschmann, nata a Essen nel 1969 e una delle star della letteratura in lingua tedesca degli ultimi vent’anni. Basti pensare ai premi ricevuti: Deutscher Preis für Nature Writing, Berliner Literaturpreis, Bremer Literaturpreis, Düsseldorfer Literaturpreis, e una bella bigoncia di altri, mentre in Italia ha incamerato il Premio Bigongiari e il Premio Ceppo di Pistoia. La sua poesia è pubblicata in Italia da Del Vecchio, traduzioni a cura di Paola Del Zoppo, in due volumi, Paesaggi in prestito e appunto Nimbus, preceduti dal romanzo nipposimpatico Le isole dei pini, edito da Bompiani e finalista nientemeno che al Man Booker Prize. Stando a quel che si legge nelle pagine di questo ricco libro dalla copertina iperelaborata, che sa di un’editoria estinta ma per fortuna così non è affatto - tutte le copertine della collana Poesia sono opera di Maurizio Ceccato, chapeau! - la vita è alla fine un gioco, un intreccio di citazioni, cose, sentimenti, appuntamenti, visi, oggetti perduti, sogni, ipotesi esistenziali. Il passo della scrittura assomiglia alla riflessione di un individuo che camminando per le vie di una città si perda tra diverse occasioni, e forse se si dovesse un giorno raccogliere queste sue composizioni in un’unica antologia potrebbero anche riecheggiare il titolo della celebre raccolta montaliana, appunto Le occasioni (1939).Nimbus si divide in nove sezioni: Stile bestiale della Siberia, Animismo, Sciamani urbani, Tempo atmosferico, Alberi della conoscenza, Odi celadon, La grande spedizione al nord, Transiberiana, Daimon. Già i titoli suggeriscono molto e colgono una tendenza oramai conclamata in moltissimi libri di poesia: quella di mescolare scienza e notizia, botanica e diarismo, nomi di luoghi lontani e neuroscienza, religione o spiritualità e materialismo, trans culturalismo, insomma un gran calderone dove non possono mancare le religioni orientali, i calchi di antiche civiltà estinte, ossa di animali, ovviamente i nostri amatissimi alberi che oramai compaiono in poesia più di qualsiasi rammarico o sentimento ardente, in un immenso canto animista che ci vede tutti fedeli seguaci e attenti cantori. Il rischio ovviamente è quello, effettivo, già in atto, di andare a sommare gli stili di scrittura in un unico modulo che viene di volta in volta preso a prestito e rigettato in avanti, rivendicando un posto nella densissima foresta dei poeti naturalisti, autentici uditori di radici e cesellatori di versi come mai ne sono stati scritti. Quale differenza esiste tra queste poesie riflettenti, meditabonde, illustrative e le tante raccolte di poesie che ricevo settimanalmente dove alberi, lupi, ghiacciai, crisi climatica, impollinazione dei fiori, bocche che sbranano e boschetti romantici si ripetono, nascendo e rinascendo ad ogni pagina, ad ogni raccolta, ad ogni autore? Certo, la Poschmann ha un nome, è riconosciuta, ben letta, molti altri poeti, che magari nemmeno la conoscono, ovviamente no. Eppure… eppure mi rendo conto che sto finendo per ricalcare gli stessi meccanismi, le stesse considerazioni che anni fa avevo vergato quando scrissi di Paesaggi in prestito, la precedente raccolta di questa poetessa, e forse l’inseguire lo stesso filo qualcosa vuol pur dire. Ma cadiamo nel merito, gettiamoci in queste poesie caleidoscopiche.Frattali di felci (pag. 101): Come ali nella luce calante della sera. /E noi, noi con timidezza arretravamo /nell’oscuro dove le spirali di felci/ persistevano, serrate su se stesse. /Modeste, silenziose. Fossi io stata così/ così avvolta su me stessa, compiutamente /contenuta nella selva che con me confinava, /selva completamento della felce, più grande, immota. E bene. Noi e il silenzio, il proiettarci dentro i moti naturali da cui ci sentiamo attratti anche se forse non li capiamo, poiché confidiamo in una naturalezza gentile, che sappia accoglierci, non pensiamo che possa nuocere, che possa divorarci, che possa prenderci in ostaggio e lasciarci lì, appesi, mangiati un pezzo alla volta, come accade ad esempio alle prede dei ragni, o agli stessi alberi che invochiamo, quando i muschi e i patogeni li aggrediscono. Che natura è questa che indaghiamo tanto e alla quale pensiamo, o quantomeno, diciamo di voler appartenere? Esiste questa natura? Me lo chiedo dopo tanti anni di ripetizione del gesto e della parola. Ci siamo tutti illusi che potesse essere, ma alla fine esiste? Questo abbandonarsi ad una scienza dello sguardo che si arrende ai moti naturali come antica sapienza della terra certamente ci piace, certamente ci appartiene, certamente è linfa prorompente della nuova letteratura, ma non sarà un enorme abbaglio? Non sarà il caso di chiederci se questo continuare a imboscarsi, a innaturarsi, a sviscerarsi tra terra, cortecce, stelle e cosmo, non sia una dichiarazione di fallimento totale dell’umano di cui scrivere? Una scorciatoia che porta ad un universo che in sostanza ci ignora?
Volodymyr Zelensky (Getty Images)