2023-09-20
Mesi di allarmi su modifiche al Pnrr. Dall’Europa ok al nuovo senza fiatare
Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto (Imagoeconomica)
Il Consiglio accetta i cambiamenti agli obiettivi per la quarta rata. Un antipasto: ci sono decine di misure che l’Italia ha chiesto di rivedere. L’accusa di Giancarlo Giorgetti: «L’aumento dei tassi si è mangiato 14-15 miliardi».Sono state sufficienti nove settimane alla commissione e al Consiglio per, rispettivamente, valutare e adottare la decisione che modifica per la prima volta il Pnrr presentato dall’Italia ad aprile 2021 e approvato a luglio. Al netto della pausa agostana, siamo a circa 5 settimane dal quel 11 luglio, quando l’Italia sottopose alla valutazione della Commissione la proposta di modifica di 8 su 27 obiettivi e traguardi il cui conseguimento entro il primo semestre 2023 condizionava la richiesta di erogazione della quarta rata.Dopo la valutazione positiva da parte della commissione lo scorso 28 luglio, ieri è arrivata la decisione di esecuzione del Consiglio dei ministri Ue (formato Affari generali) che ha apportato le modifiche al piano iniziale del 2021 e ha consentito al ministro Raffaele Fitto di tornare in Italia e inviare subito la richiesta di pagamento della quarta rata per 16,5 miliardi (2,3 miliardi di sussidi e 16,3 miliardi di prestiti, al netto dell’anticipo del 13%, oltre a 500 milioni trasferiti dalla terza rata). Dopodiché la commissione avrà i soliti due mesi per la valutazione del conseguimento di obiettivi e traguardi, seguiti dal mese a disposizione del Comitato economico finanziario per il suo parere. Per cui, se tutto filasse liscio, potremmo ricevere il bonifico da Bruxelles entro la fine di dicembre.Le otto modifiche ritenute compatibili con gli obiettivi generali del Pnrr dalla Commissione, riguardano le politiche per l’aerospazio, gli asili nido, la transizione ecologica nei settori dell’edilizia, il trasporto stradale e il trasporto ferroviario, le sperimentazioni per l’idrogeno nella mobilità ferroviaria e nei settori altamente inquinanti, il sostegno alle imprese femminili e la lotta contro la povertà educativa. Per ciascuno di essi si è riconosciuta la presenza di «circostanze oggettive» che impediscono il conseguimento nei tempi prefissati, e quindi hanno giustificato il posticipo degli obiettivi ai successivi semestri e la riclassificazione come semplici traguardi intermedi di quanto ragionevolmente rendicontabile entro giugno scorso.Questo è solo un leggero antipasto rispetto a quanto la commissione dovrà nelle prossime settimane digerire e valutare, cioè la richiesta di modifica di ben 144 dei 346 obiettivi e traguardi ancora da conseguire a partire da quelli collegati alla quinta rata con scadenza a dicembre prossimo. E poi avanti di semestre in semestre, fino al primo semestre 2026. In quel caso si tratterà di un intervento ben più incisivo, con la cancellazione di interventi per 16 miliardi, sostituiti da altri interventi per pari importo.La decisione di ieri segna comunque la caduta del tabù costituito dalla intoccabilità del Pnrr, a dispetto della convinzione di Mario Draghi che proprio l’anno scorso in questi giorni minimizzava le possibilità di intervento affermando che «si può rivedere ciò che non è stato bandito, e siccome è stato quasi tutto bandito c’è poco da rivedere». Forse a Draghi sfuggiva che bandire una gara, è cosa ben diversa dall’aggiudicazione di un appalto, dall’apertura del cantiere e dalla consegna dell’opera. Ed è questo il processo si cui si è abbattuta la furia dell’inflazione e il collo di bottiglia costituito dall’assenza di una sufficiente capacità produttiva nel settore delle costruzioni. Ora si comincia a prenderne atto.Allo stesso modo è in corso un altro scomodo contatto con la realtà che vede il Pnrr per quello che è: investimenti finanziati a debito, dove il creditore è la commissione e non i compratori di titoli del debito pubblico. E su questo tema è intervenuto ieri il ministro Giancarlo Giorgetti, con toni ruvidi, ancorché di cristallina chiarezza e con considerazioni simili a quelle che avete letto su queste pagine circa due anni fa. «A me non fa paura la commissione europea, a me fanno paura le valutazioni dei mercati che mi comprano il debito pubblico», ha commentato riferendosi alle trattative in corso sulla riforma del Patto di Stabilità (Psc), per le quali ha confermato quanto da noi anticipato ieri circa un accordo sul Psc che «si raggiungerà, se non a ottobre a Natale, ma in una formula che permetta di capire la situazione e calarla nella realtà storica». Quindi Giorgetti indirettamente si allinea al suo collega Christian Lindner, pensando più agli investitori che ad astrusi artifici contabili. Resta comunque il problema di quale regola sarà adottata, perché secondo Giorgetti «con il superbonus da pagare sul debito nei prossimi 3-4 anni e le spese importantissime di investimento finanziate coi prestiti del Ngeu è matematicamente impossibile rispettare quella regola» di riduzione del debito. Da qui la richiesta di esclusione di quelle spese dai parametri da rispettare e la difficoltà («siamo in alto mare») di individuare un livello di deficit 2024 ritenuto compatibile e prudente. Giorgetti convince meno quando attribuisce all’aumento dei tassi e quindi alla maggiore spesa per interessi, la scomparsa di «14-15 miliardi da mettere ad esempio sulla riduzione fiscale». Infatti ci sarebbe stato da aggiungere che quell’aumento dei tassi è stato accompagnato dall’aumento dell’inflazione che ha consentito, dall’altro lato, un aumento delle entrate tributarie nei primi sette mesi del 8,6% (+20,7 miliardi). Inoltre, la crescita del Pil nominale (previsto un robusto +6,5% nel 2023 e +3,6% nel 2024 dall’ufficio parlamentare di bilancio) è ben superiore al costo medio del debito e sta contribuendo alla riduzione del rapporto debito/Pil. Ma Giorgetti in questo momento deve piangere miseria, per tenere a bada la fila dei questuanti.