2024-02-22
Flop Pnrr: impatto sulla crescita quasi zero
Dopo le accuse del «Financial Times» anche Paolo Gentiloni ammette che il valore aggiunto generato dal Recovery fund sul Pil dell’Unione è stato appena di 0,4 punti, contro la stima iniziale di 1,9 punti. L’Ufficio di bilancio taglia le previsioni per l’Italia.«Una storia di successo». È questa la trionfante descrizione del Next Generation Ue da parte dei commissari Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, che ieri hanno presentato il rapporto sul suo stato di avanzamento a metà del percorso. Il dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf, che costituisce la parte più consistente del NextGenUe) compie proprio in questi giorni 3 anni dal suo (tormentato) varo e si avvia verso i prossimi 3 anni, decisivi per decretarne il successo o l’insuccesso. Parole che fanno letteralmente a pugni con l’impietosa descrizione dell’effettiva implementazione del Rrf che il Financial Times aveva fornito il giorno prima, in un lungo e dettagliato resoconto. Per non parlare dei dubbi che abbiamo sollevato su questo giornale sin dal luglio 2020, quando si favoleggiava che Giuseppe Conte fosse tornato da Bruxelles con sottobraccio un assegno da 209 miliardi.Oggi la Commissione sostiene che il pagamento di 225 miliardi nel triennio 2021-2023, su un impegno iniziale di 723 miliardi tra sovvenzioni e prestiti, abbia avviato la rapida «trasformazione della società». Appena il 31,1% e, dato ancora più clamoroso, solo l’1,41% del Pil della UE 2022 a prezzi correnti. Appena lo 0,47% medio annuo del PIL. Quale impatto macroeconomico potrebbero mai avere questi numeri da prefisso telefonico, ci siamo chiesti per anni e si chiedono oggi sul Ft? Nell’ordine di alcuni modesti decimali. È quanto ammesso ieri dalla Commissione, che ha preso atto di aver diffuso stime fuori scala ed ha avuto l’ardire di sostenere che quegli spiccioli abbiano ridotto lo spread.Un dato su tutti: Gentiloni ha ammesso che l’impatto sul Pil Ue del 2022 è stato pari a 0,4 punti in più, rispetto allo scenario senza Rrf. Contro una stima iniziale di 1,9 punti aggiuntivi. Quasi cinque volte rispetto alla realtà. Ma andrà meglio. Infatti, stima che la crescita aggiuntiva nel 2026 nell’intera Ue sarà comunque pari a 1,4 punti. Numeri scritti sul ghiaccio.Da ultimo, nel novembre scorso, è stato proprio l’Ufficio parlamentare di bilancio a ridimensionare le cifre. L’Upb ha certificato che il +3,6% cumulato - previsto dal governo Draghi e corretto al 3,1% dal governo Meloni - a fine 2026 è una chimera. Nel migliore dei casi potremmo leggere un incremento cumulato variabile tra 2,3 e 2,6 punti, di cui ben 1,8-2 spalmati tra 2024 e 2026. Quindi tutto ancora in divenire. Cumulare quella crescita aggiuntiva a fine periodo, significa registrare incrementi annui da «zero virgola». In particolare, nel 2024 l’Upb attribuisce al Pnrr un impatto di 0,8-0,9 punti di Pil. Poiché si tratta dell’intera crescita prevista per il nostro Paese, qualcuno può sostenere, restando serio, che tutta la crescita 2024 dell’Italia sarà generata dagli investimenti del Pnrr?Conscio di questa situazione, Gentiloni ha messo le mani avanti: «Non credo troppo a questa modellistica», ha spiegato, «dobbiamo essere consapevoli che queste riforme e investimenti servono per il futuro del nostro Paese come per il futuro dell’intera Europa». Abbiamo rinunciato alle previsioni di impatto e crediamo nel «sol dell’avvenire», come, a suo tempo, l’Urss di Stalin o la Cina di Mao. Previsioni che lasciano il tempo che trovano, anche alla luce di quanto incassato finora dall’Italia ed effettivamente speso. È sempre l’Upb a farci sapere che al 28 novembre 2023 la spesa registrata è pari a 28,1 miliardi, contro 101,9 miliardi incassati a fine anno ed altri 10,6 richiesti per la quinta rata. Si giunge così ad una lapalissiana conclusione. Finora, i miliardi prestati (non dimentichiamolo mai, anche i sussidi sono da rimborsare via contributi alla Ue) da Bruxelles sono serviti prevalentemente a diminuire il fabbisogno finanziario del settore pubblico ed evitare il ricorso al mercato emettendo titoli. Quando, nei prossimi 3 anni, i cantieri andranno a regime e, sperabilmente, si chiuderanno, al Mef sanno che dovranno emettere titoli (a tassi sperabilmente più bassi di oggi) perché le entrate da Bruxelles non copriranno certamente le uscite per concludere gli investimenti.Intendiamoci, qui non si discute dell’innegabile e benvenuto incremento di investimenti pubblici, crollati nello scorso decennio sotto la scure dell’austerità imposta dalla Ue. Il punto è la verifica delle destinazioni di spesa e delle annesse condizioni. Sono queste ultime che determinano l’impatto incrementale sul Pil. Non basta spendere. Se beni come quelli per la transizione energetica e digitale sono prevalentemente di origine estera, è bene ricordare che le importazioni incidono sul Pil con segno negativo.Ma Gentiloni e il suo nume tutelare Dombrovskis non hanno temuto di sfiorare il ridicolo quando hanno dato la colpa del modesto impatto sulla crescita alla Russia. Da non crederci. Non è stata colpa di una spesa già inizialmente modesta, frazionata e rallentata da una sovrastruttura burocratica allestita in tutta fretta, verso destinazioni di spesa a moltiplicatore basso. Sul Ft hanno messo il dito nella piaga evidenziando che quote consistenti di investimenti inseriti nel Rrf sarebbero stati comunque eseguiti dagli Stati membri e il Rrf è servito soltanto a cambiare le modalità di finanziamento. Si trattava di opere già finanziate con fondi nazionali (per l’Italia 55 miliardi su 194), che quindi non possono generare crescita aggiuntiva.Come voce dal sen fuggita, i due commissari Ue tra i risultati conseguiti, si sono vantati di aver finalmente «potuto incidere» per ottenere l’esecuzione delle raccomandazioni Paese e le priorità Ue di investimento che, altrimenti, nessuno avrebbe mai rispettato. Un’arma di ricatto, in sintesi.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)