2021-02-27
«Pizzo passepartout perfetto sia di notte sia esibito di giorno»
I creatori del marchio Ermanno e Toni Scervino: «Se perderemo l'artigianalità, faremo sparire il made in Italy. Ora puntiamo su India, Sud America e Africa».Sulle passerelle vince la morbidezza. Il settore ha perso il 26% del fatturato in un anno. Carlo Capasa: «Presenteremo al governo un piano per il Recovery fund». Le sfilate di Milano cercano di ripartire con 124 eventi.Lo speciale comprende due articoli. A dir il vero si ha davvero nostalgia delle sfilate e di certi riti che le accompagnavano. Ogni stilista aveva i suoi. Per esempio, Ermanno Scervino chiude sempre il suo défilè con una canzone: If everybody in the world loved everybody in the world degli Stylophonic accompagnava come un mantra la sua ultima passerella, quella che vede le indossatrici uscire in fila indiana prima del saluto del couturier che arriva per ricevere gli applausi del pubblico. Una sorta di rito scaramantico. Nel testo si parla d'amore, un amore verso tutti, un sentimento che traspira anche dallo stilista fiorentino, carico di quella sensibilità e passionalità che sa tradurre in abiti. Un dono che ha fatto sì che si formasse un binomio inscindibile come quello con Toni Scervino, uno il cuore l'altro la mente, creatività e determinazione, estro e fermezza. Tutto è iniziato nel 2000 quando lo stilista e l'imprenditore si sono incontrati. La moda nell'anima?Ermanno Scervino: «Fin da quando avevo 5 anni sentivo il senso della moda. Ero più attratto dall'immagine che dai soldatini, ho seguito la mia vocazione, ho voluto trasformare in un lavoro la mia passione che continua anche ora con lo stesso entusiasmo. Il business è iniziato dall'incontro con Toni, aspirante medico ma davvero portato per questo mestiere. Abbiamo una grande stima litigiosa».Toni Scervino: «A me la passione l'ha fatta venire Ermanno. E vivendo in Toscana la moda la respiri in ogni momento. Negli anni Sessanta e Settanta imperava il lavoro a domicilio delle donne e in quasi ogni casa c'erano le mamme che oltre ad accudire la famiglia facevano le magliaie, intrecciavano scarpe e borse, cucivano abiti e cappelli. La grandezza dell'Italia di allora è stato il lavoro a domicilio, il vero boom economico fu quello perché una donna non doveva rinunciare a seguire i figli e allo stesso tempo era un'importante fonte di guadagno. La maggior parte aveva addirittura le macchine da maglieria in casa. Forse è per questo che amo tanta la maglia, la domenica mi diverto ad andare nel nostro maglificio a controllare. Ho iniziato dalla gavetta con Ermanno, lui stilista, io l'uomo dei numeri. La creatività è la sua».Come nasce l'ispirazione?E.S.: «Viaggiando, leggendo, dai marciapiedi del mondo. Mi piacciono le capitali. Il nostro è un luogo di eccellenza, la nostra azienda è ubicata in una zona di grande bellezza, si vede il Duomo di Firenze ma sei in campagna. Le ispirazioni ti vengono anche da lì e poi dalla musica, da un film, da sensazioni. Trovo che uno stilista deve valutare il momento che vive. È la voce dell'artigianato, dell'industria verso la gente. Uno stilista bravo deve capire fino a che punto deve portare il prodotto verso il pubblico al di là delle star». E la nuova collezione del prossimo autunno inverno?E.S.: «Il film è stato girato a Palazzo Serbelloni. Perché è irrinunciabile, anche in un momento come questo, la ricerca della bellezza. Sono attirato dai non eventi, non mi viene da fare abiti a coda, ma più da creare il nuovo traendo spunti da tessuti tecnici, mischiando maggiormente il quotidiano. Il futuro immediato non è quello dei grandi balli ma sono convinto che quando saremo tutti vaccinati presto ci dimenticheremo di quello che ci è capitato e torneremo alle nostre vite. Almeno lo spero. Questa è una collezione elegante, moderna, intuitiva ma con più pudore. Ho iniziato con sottovesti e piumini la mia carriera. Direi che la penso ancora così ma senza nostalgia, guardando a quello che verrà. Il glamour datato mi fa vintage senza la modernità».Dove sta la modernità?E.S.: «Nel fare qualcosa di manuale, con un'artigianalità che determina il lusso ma con materiali moderni. Accanto al tecnico rimane sempre il pizzo, che ho fatto anche di pelle. Il pizzo è il mio minuetto. Un abito di pizzo lo puoi mettere anche nella quotidianità. Se lo si indossa con un cappotto o con un grosso maglione lavorato con frange a trecce fatte a mano è adatto a qualsiasi ora. È un dialogo continuo tra giorno e sera. Mi sono spinto a usarlo ancora di più in questo senso. La preziosità incontra il mondo dello sport come nella gonna a pieghe in neoprene. Nonostante il momento le donne non hanno dimenticato la loro sensualità. Arthur Schopenhauer diceva che cibo e sesso sono alla base della vita». Dove avviene la vostra produzione?T.S.: «In Italia, quasi tutta in Toscana, e ci sono laboratori anche in altre regioni. Ogni progetto nasce in azienda, campionari e prototipi. Prato è vicina ed è il luogo dove Ermanno fa fare pressoché tutti i tessuti e poi c'è Santa Croce, uno il polo del tessuto e l'altro della pelle. Siamo in una zona privilegiata. Oltre ad avere la manualità c'è anche la materia prima. Trent'anni fa il nostro territorio era famoso per i corredi. Generazioni e generazioni di donne lavoravano e intagliavano i pizzi. Ermanno li ha trasformati in pizzi per abbigliamento. L'intimo ora è esibito. E il valore aggiunto è l'alto artigianato».I numeri? T.S.: «Cinquanta negozi oltre a 300 multimarca nel mondo. Per noi lavorano più di 300 persone cui aggiungere un indotto di 1.500. Mercati principali l'Asia, la Russia e confido che arrivino presto India, Sud America e Africa. La Cina è ripartita ma non basta, così come l'online. Non è possibile pensare di farcela senza aiuti». Cosa vedete nel futuro?T.S.: «Il settore ha subito un colpo pazzesco ma è quello meno aiutato. La politica pensa che la moda sia la modella che va su e giù in passerella, non la vede come un'industria. Il problema è che se si perdono delle capacità lavorative nella moda, e quelle che ci sono oggi sono un patrimonio di sapienza come sarte e modelliste straordinarie che abbiamo solo nel nostro Paese. Il made in Italy, che è capacità tramandata, verrà compromesso in modo devastante». E.S.: «La nostra creatività è l'unica e più potente cura che abbiamo. E anche l'amore per il nostro Paese. Dovremmo imparare a essere come i francesi che considerano la moda un bene prezioso».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pizzo-passepartout-perfetto-sia-di-notte-sia-esibito-di-giorno-2650825910.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sulle-passerelle-vince-la-morbidezza" data-post-id="2650825910" data-published-at="1614466189" data-use-pagination="False"> Sulle passerelle vince la morbidezza La moda fa i conti con la pandemia. Nel 2020, ha perso il 26% del fatturato rispetto al 2019. Numeri presentati da Confindustria moda in apertura della fashion week milanese dedicata alle collezioni donna del prossimo inverno, ancora in una versione phigital tra video e sfilate online. Niente pubblico, incontri regolamentati da procedure anti Covid per buyer e stampa. «Questa edizione della Milano fashion week testimonia ancora una volta un approccio di grande flessibilità, che ha spinto tutti gli attori dell'industria della moda a sperimentare nuovi linguaggi espressivi», ha spiegato Carlo Capasa, presidente di Camera moda, «Presenteremo al governo la prossima settimana il piano del Recovery fund della moda e chiederemo che il settore venga considerato un'industria strategica». Ben 124 gli appuntamenti in calendario tra presentazioni e sfilate. Ha aperto i giochi Brunello Cucinelli dal suo quartier generale di Solomeo. «Proviamo a immaginare solo quello che deve venire, a progettare e a non pensare a ciò che abbiamo perduto», ha detto, Intanto la «bella moda» di Brunello Cucinelli è un vero e proprio inno alla maglieria che conferma sia il momento che tende sia a capi cocoon sia all'eleganza chic di colori come beige, grigi e pastello. Cappottoni avvolgenti come cardigan, piumini, tailleur sono nobilmente di cashmere a volte lavorato a crochet come certe body bag. Tutto all'insegna di un preciso stile. Che da Giorgio Armani mantiene sempre il gusto della linearità, il preziosismo della sottrazione, un morbido rigore che esalta femminilità e personalità. Non mancano tocchi romantici in una collezione che lo stilista definisce «notturna» perché anche in pieno giorno si ritrovano i bagliori serici del velluto e gli scintillii delle stampe check impreziosite da cristalli. Le nuove giacche e i cappotti dalle maniche a raglan segnano la vita. I blazer sono più lunghi, i caban più ampi. Per Prada lo stile significa «libertà di oltrepassare i confini». La collezione firmata da Miuccia Prada e Raf Simons trae ispirazione dall'idea di cambiamento e trasformazione. Abiti che raccontano il maschile e il femminile e capaci di convivere. Long johns aderenti in maglia jaquard elastica rappresentano o sostituiscono la pelle nuda. Pieghe e arricciature animano i vestiti spesso sartoriali così come il tailleur. Giacche o bomber over mettono insieme eleganza e praticità. Un'eleganza che da MaxMara, disegnata da diverse stagioni dal bravissimo Ian Griffiths, dura da 70 anni. Il Dna è sempre quello del fondatore, Achille Maramotti, che con grande visione pensava a vestire «le mogli di medici e notai di provincia, non le principesse». Sembrava un'idea poco ambiziosa mentre diventò l'inizio di un impero della moda. «Quelle donne», dice lo stilista, «hanno iniziato a lavorare e MaxMara è cresciuta con loro che oggi sono notaie e dottoresse». Griffiths ha quindi a disposizione un archivio straordinario. Ma ci mette del suo e la collezione è superba. Chi è la donna MaxMara? «È una regina che non ha ereditato un trono ma l'ha creato». Tanti i riferimenti alla regina Elisabetta e al suo modo di vestire, i classici che non tramontano mai. Nel suo viaggio in un'estetica anticonformista e indipendente, Veronica Etro esplora l'universo di Rudolf Nureyev e Jimi Hendrix, due artisti legati dal comune desiderio di libertà e ribellione. «La pandemia ha rotto le regole, le funzioni d'uso», spiega la stilista, «non c'è più differenza tra giorno e sera». Ispirate ai disegni e agli intarsi geometrici degli abiti di scena dei balletti russi, preziose stampe si mescolano ai ricami dei costumi appartenuti a Nureyev che Gimmo Etro, fondatore del marchio, ha collezionato nel corso di più di 30 anni. Stampe tappezzeria, motivi paisley tipici dell'arredamento d'interni e pattern animalier tigrati evocano il mondo di Jimi Hendrix. Angela Missoni ha guardato alle collezioni disegnate nel 2020 mescolando così inverno, estate, autunno e primavera in un fantasioso mix&match di capi carichi di colore e voglia di guardare avanti.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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