2025-07-22
Più soldi agli statali, la Cgil ripete i suoi no
Aumenta la proposta (oltre 150 euro al mese) per incrementare i salari di 480.000 dipendenti pubblici, ma il sindacato risponde picche. Crepa con la Uil che apre. Maurizio Landini plaude alla Consulta, che boccia il tetto di sei mensilità all’indennizzo sui licenziamenti illegittimi.Nelle ultime ore si respirava un ottimismo quasi surreale. C’era una flebile speranza dalle parti dell’Aran, l’agenzia che rappresenta lo Stato nelle trattative per il rinnovo del contratto del pubblico impiego, che garantendo un po’ di risorse in più, lo stallo sul rinnovo del contratto degli enti locali si sarebbe potuto sbloccare. Si tratta di 480.000 dipendenti di Comuni, Regioni ecc ai quali da mesi e mesi lo Stato propone aumenti contrattuali (parliamo del triennio 2022-2024 già scaduto da un pezzo) per circa 150 euro lordi al mese e che vedono le loro buste paga bloccate dai no di Maurizio Landini (Cgil) e Pierpaolo Bombardieri (Uil) che nella categoria hanno la maggioranza e quindi sono decisivi.Se firmano, il rinnovo (che peraltro aprirebbe la strada anche alla successiva tornata contrattuale, visto che il governo ha già stanziato le risorse) passa, altrimenti resta tutto fermo. L’ottimismo aveva un fondamento economico, sono state garantite ulteriori indennità rispetto a quelle inizialmente previste e soprattutto sembra che il ministro Paolo Zangrillo abbia assicurato che, insieme alla firma del rinnovo 2022-2024, verrà predisposto l’atto di indirizzo per il rinnovo del triennio successivo, quello 2025-2027. Insomma, tanti quattrini che andrebbero a ingrossare le buste paga dei lavoratori degli enti locali.Troppo poco, ammesso che ci sia qualcosa che possa fargli cambiare idea, per persuadere la Cgil. Un passo in avanti importante invece per la Uil che, secondo quanto risulta alla Verità, starebbe riflettendo seriamente sulla possibilità di tornare al tavolo, a settembre, e iniziare a mettere le basi concrete per firmare. Sembra quindi aprirsi una crepa, fino a poche settimane fa assolutamente insperata, nell’alleanza tra Landini e Bombardieri. Segnali che aspettano di trovare conferme concrete, perché comunque nell’incontro di ieri mattina Cgil e Uil hanno ribadito il loro no. Per i due sindacati, che stanno facendo dell’opposizione al governo Meloni una ragion di vita, gli aumenti proposti dall’Aran coprono appena il 7% dell’inflazione che nel periodo è arrivata al 17% e quindi restano improponibili.Peccato che aumenti al 7% siano tra i più alti e che in passato, precisamente nel 2018 e quindi con un governo non di centrodestra, Cgil e Uil non avessero fatto tanto le schizzinose dando il via libera a rinnovi bel al di sotto del carovita: 3,4% a fronte di un’inflazione cumulata negli otto anni precedenti pari al 12%. Perché ieri sì e oggi no? «Dopo 59 settimane di trattativa, 14 incontri ufficiali e una bozza contrattuale che contiene importanti novità economiche e normative, la decisione di Cgil e Uil di fermarsi e rinviare ancora l’intesa è una scelta grave e incomprensibile», spiega il segretario generale della Funzione pubblica Cisl, Roberto Chierchia, «significa, nei fatti, spostare al 2026 l’erogazione degli arretrati e degli aumenti contrattuali. Infatti, l’unico incontro attualmente fissato è a settembre e, anche ipotizzando una firma in quel momento, occorreranno comunque diversi mesi per le verifiche tecniche e la certificazione della Corte dei conti». Sembra che da parte della Uil ci sia stata un’apertura rispetto alle proposte dell’Aran. «L’accogliamo con grande favore», spiega alla Verità Chierchia, ma al tempo stesso ci teniamo a ribadire la necessità di fare in fretta. Bisogna accelerare». Anche perché l’obiettivo della Cgil è chiaro. Landini & C. continuano a fare una battaglia tutta politica e puntano forte sull’autunno caldo e sull’annuncio di una prossimo sciopero. Se questa è la strategia è chiaro che poter contare sulla mancata firma del rinnovo del contratto 2022-2024 per mezzo milioni di statali sarebbe fondamentale.Non a caso ieri Landini, subito spalleggiato dal Pd, è saltato addosso alla sentenza della Consulta che ha definito incostituzionale il tetto di sei mensilità imposto all’indennità risarcitoria. La Corte costituzionale fa riferimento all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo numero 23 del 2015, là dove stabilisce che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (e cioè non occupi più di 15 lavoratori), l’ammontare delle indennità risarcitorie «non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità dell’ultima retribuzione...».Una sentenza che toglie certezze alle imprese e che ridà fiato a Landini e al Pd. «La Corte Costituzionale ha giudicato incostituzionale mantenere il tetto, esattamente la richiesta che facevamo noi con il referendum». Mentre per i dem (parla la responsabile Lavoro, Maria Cecilia Guerra) «la Corte costituzionale certifica le ragioni dei promotori e dei 13 milioni di cittadini che hanno votato il referendum per rimuovere il tetto di 6 mensilità alle indennità per licenziamenti illegittimi nelle imprese con meno di 15 dipendenti».La solita catena sindacato-Pd-magistratura che nonostante le mille sconfitte politiche continua a far prevalere la linea ideologica su quella della concretezza e dei fatti.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.