
Il nuovo ministro della Famiglia, Elena Bonetti, annuncia che la proposta leghista non passerà mai. Eppure è in linea con le buone pratiche di altri Stati europei.«Se mi hanno lasciato nel cassetto una copia del decreto Pillon? Non mi sono informata ma per quanto mi riguarda resterà nel cassetto». Lo ha detto il nuovo ministro per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, suscitando immediata approvazione da parte dei colleghi del Partito democratico. «Archiviare per sempre il famigerato decreto Pillon vuol dire chiudere con una pericolosa concezione della famiglia e con un'idea medioevale delle donne. È una buona partenza», ha detto il presidente dei senatori del Pd, Andrea Marcucci. In realtà, questa è una pessima partenza. Perché il decreto Pillon (come La Verità ha detto fin da quando è stato presentato) può certamente essere discusso, e magari corretto, ma nei suoi principi base merita (o avrebbe meritato, a questo punto) di essere approvato. I temi che affronta - e il modo in cui li affronta - sono di vitale importanza.Nel nostro Paese, infatti, c'è un intero popolo (circa 2 milioni di persone solo negli ultimi 10 anni) in forte credito con l'amministrazione della giustizia. Si tratta di tutti i bambini cresciuti dopo la separazione e il divorzio senza un padre, mentre avrebbero potuto averlo, vederlo, ascoltarlo, come accadeva negli altri Paesi sviluppati del mondo. Eppure si conoscevano già i gravi disturbi fisici e psichici cui questa assenza esponeva. I dati sulle patologie dei «fatherless», figli senza padre, erano noti da tempo e registrati nelle statistiche dei vari paesi (ancora prima del mio primo libro sull'argomento, Il Padre l'assente inaccettabile, pubblicato in Italia nel 2003 e tradotto in molti Paesi). Restituire finalmente ai figli entrambi i genitori è una di quelle azioni che nel giro di pochi anni potrebbero cambiare la situazione del Paese.Proprio di questo - cioè dell'affido materialmente condiviso dei figli - si occupa il ddl Pillon. La presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli, anche quando la loro unione è finita, è condizione indispensabile al loro benessere e salute, altrimenti possono ammalarsi anche anni dopo l'infanzia e adolescenza. In Italia, più che l'istituto famigliare, ciò che finora è stato tenacemente difeso dalla politica e dalla magistratura è stato il potere della madre. È ciò che fin dagli anni Sessanta l'antropologo canadese Edward C. Banfield riconobbe come causa di quel «familismo amorale», fondato su interessi calpestando le leggi, che rendeva fin da allora così difficile fare dell'Italia uno stato democratico. Legge e autorità infatti rimandano ovunque, simbolicamente al padre, alla sua presenza e tutela. In sua assenza, prolifera l'arbitrio e il posto del padre viene preso dalla mentalità che si ispira alla Grande Madre, l'archetipo di riferimento dei mammasantissima che su di essa giurano.È anche per questo che in Italia la legge sull'affido condiviso è arrivata (nella versione oggi in vigore, del 2006) decenni dopo gli altri Paesi d'Europa. Eppure il diritto del bambino ad avere due genitori era già stato stabilito dalla Convenzione di New York fin dal 1989. In Italia però perfino quella legge cauta e tardiva, varata tra mille insidie e trabocchetti, sembrò troppo audace.avanti come sempreMolti tribunali continuarono così a fare come se non ci fosse e a considerare affidatario unico la madre, a spese del padre, stringendo la presenza paterna in termini e condizioni tali che il rapporto padre-figlio spesso si perdeva. Le associazioni dei padri andarono a Bruxelles e Strasburgo a denunciare i tempi ristrettissimi concessi loro in Italia per stare coi figli, e ottennero il richiamo del Consiglio d'Europa a favore dei parametri in vigore altrove: se possibile la metà del tempo assegnato alla madre, e comunque non meno di un terzo. Ne dipende la salute del minore. Oggi l'Italia è ancora uno degli ultimi Paesi del mondo per quel che riguarda la genitorialità (co-parenting) delle coppie separate. L'affido con tempi di soggiorno pari presso ognuno dei genitori da noi oggi è infatti l'1-2 per cento, in Belgio più del 20, in Svezia il 28.L'affido materialmente condiviso (quello previsto dalla proposta Pillon), da noi lo hanno il 3/4 per cento dei minori, uno dei tassi più bassi al mondo, in Belgio il 30%, in Svezia il 40% Cresciamo generazioni di figli senza padri, e poi ci lamentiamo quando combinano poco. Senza considerare che il Consiglio d'Europa nella risoluzione 2079 del 2015 ci ha chiesto di non tardare oltre ad adottare «l'effettiva uguaglianza tra padre e madre nei confronti dei propri figli, nel loro interesse». E di «introdurre la doppia residenza o domicilio dei figli, in caso di separazione, limitando le eccezioni ai casi di abuso, negligenza o violenza domestica». Proprio le cose che fanno inorridire i progressisti di casa nostra. Che tutto vogliono tranne un Paese davvero evoluto e avanzato, di persone libere e non di individui confusi e prepotenti. L'assenza paterna dopo la separazione-divorzio e l'insicurezza e la passività che induce nei figli è, ad esempio, uno dei motivi per cui l'Italia ha il più esteso gruppo di giovani né-né (che non studiano né lavorano) d'Europa. Anche per questo il ddl rimette al centro i figli e i loro genitori, e responsabilizza tutti, perché sia la madre che il padre continuino a impegnarsi fino in fondo coi figli, con tempi e impegno equivalenti anche dopo separazione e divorzio.limite al conflittoNel disegno di legge Pillon sono infatti i genitori stessi che devono accordarsi per crescere i figli con pari responsabilità. Finita l'onnipotenza delle madri, ma anche le fughe di quei padri che si liberavano delle responsabilità staccando «l'assegno mensile». Entrambi devono accompagnare la crescita dei figli e il giudice deve intervenire solo se i genitori non si mettono d'accordo, o se decidono contro l'interesse dei figli minorenni.Se non si accordano, la via d'uscita - almeno secondo il decreto - non sarebbe comunque la costosa e conflittuale causa, che con i suoi tecnicismi giuridici va a intasare per anni i Tribunali e impinguare i professionisti specializzati (lasciando i figli alla madre), ma l'istituto più semplice e meno costoso della mediazione famigliare. Il mediatore sarebbe un professionista iscritto al relativo albo, in possesso di formazione specialistica e le cui tariffe (dopo il primo incontro gratuito) devono essere stabilite dal ministero della Giustizia. Al centro della mediazione non ci sarebbero dunque le pretese dell'uno o altro genitore ma il bambino. È di lui che entrambi i genitori dovrebbero occuparsi: educazione, salute, sport, frequentazioni, spese rispettive. Su tutto ciò, dice il ddl, i genitori devano produrre un piano, attento e dettagliato. Il domicilio deve essere doppio, perché i figli devono abitare sia con la madre che con il padre (anche per sentirsi con entrambi «a casa propria») con tempi possibilmente eguali, comunque non meno di 12 giorni al mese: sono i parametri internazionali, non quelli «matricentrici» finora seguiti in Italia.Il ddl Pillon disegna così uno scenario di dialogo, confronto e crescita tra le parti, ben diverso da quello grettamente bellicoso e interessato seguito finora, dove i protagonisti non sono mai i bambini ma l'uno o l'altro genitore, con le rispettive e spesso egoistiche pretese e avvocati.Si tratta di soluzioni del resto già sperimentate con successo nei Paesi più avanzati in questo campo, dall'Australia a molti Stati degli Usa alla maggior parte di quelli europei. Dovunque è stato applicato, l'affidamento materialmente condiviso ha anche prodotto una forte e continua riduzione della conflittualità, come riconosciuto dalle statistiche e dagli esperti del campo.Ecco perché cancellare il ddl Pillon non è una «buona partenza», ma una pessima idea.
Friedrich Merz ed Emmanuel Macron (Ansa)
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