2024-10-04
Nei piccoli Comuni la sharia è già «legge»
Nel riquadro l'ex sindaco di Monfalcone, Anna Maria Cisint (Ansa)
L’ex sindaco di Monfalcone denuncia da tempo l’esistenza in Italia di decine di contratti di matrimonio islamici che contengono clausole contrarie al nostro ordinamento giuridico. E gli uffici anagrafici le recepiscono in blocco, discriminando le donne.Dopo ius soli e ius scholae, è arrivato il momento dello ius sarcinae, il diritto della valigia. Funziona così: quando un immigrato islamico arriva in Italia si può portare dietro le leggi di casa propria, anche se disumane, non rispettose dei diritti della donna e totalmente in contrasto con quelle italiane. Fantapolitica? Mica tanto, dopo il caso scovato ad Ancona da Fuori dal coro, in cui un uomo del Bangladesh è riuscito a far applicare la Sharia contro la moglie grazie al Comune, che ha trascritto senza fare una piega il contratto privato del loro matrimonio. Uno dei cardini di una sana accoglienza dei migranti è che rispettino le leggi del Paese che li ospita. Il principio è universalmente accettato per quanto riguarda le norme penali, civili e amministrative, e va dalle questioni più rilevanti a quelle più banali e scontate. Anche un italiano, se va nel Regno Unito, deve guidare la macchina tenendo la destra e se si macchia di un omicidio volontario non rischia la pena di morte, ma l’ergastolo. Se poi si volesse introdurre un concetto che da noi suona quasi politicamente scorretto, è giusto ricordare che se un cittadino italiano o inglese va in un paese islamico rischia le pesanti sanzioni locali in caso di reati di droga o comportamenti ritenuti oltraggiosi. E nessuno ci vede qualcosa di strano o vessatorio, visto che si può sempre andare in vacanza in un altro posto. In caso di disavventure giudiziarie in un paese arabo, di solito, entrano in gioco le ambasciate occidentali, che trattano con il governo di turno. Anche nel caso dei contratti matrimoniali islamici, che spesso applicano la Sharia, e vengono fatti valere in Italia, sarebbe il caso che fossero coinvolte le rappresentanze diplomatiche. Invece, purtroppo, non è così. E in molti comuni, specie in quelli piccoli e magari con funzionari impauriti o sprovveduti, questi contratti che ammettono autentici reati come la poligamia o i maltrattamenti sulla donna, vengono trascritti in modo acritico. Proprio come se i diritti umani fossero melanzane o pomodori che ognuno si porta liberalmente dal proprio paese nella valigia, come se si trattasse di semplici gusti personali. Il caso di Ancona raccontato dalla trasmissione di Mario Giordano su Rete4 è emblematico. Nelle marche un uomo del Bangladesh ha potuto sciogliere il matrimonio unilateralmente in base alla legge islamica. E l’atto, evidentemente discriminatorio nei confronti della moglie, è stato annotato dall’anagrafe di Ancona. Si trattava di nozze combinate, dalle quali sono nati due figli, e la donna, che oggi vive in una struttura protetta, veniva picchiata ed era stata anche segregata. Recentemente ha trovato il coraggio di denunciare il marito per maltrattamenti e di arrivare a una separazione giudiziale secondo la legge italiana, ma ha scoperto che un anno prima il marito l’aveva ripudiata a sua insaputa. Come aveva fatto? Aveva prodotto un documento trasmesso dal Bangladesh che attestava lo scioglimento del matrimonio con la semplice pronuncia della triplice formula del ripudio (il Talaq). Come denuncia da tempo Anna Maria Cisint, coraggiosa ex sindaco di Monfalcone e ora eurodeputato della Lega, nei comuni di mezza Italia, specie se piccoli, ci sono decine di contratti di matrimonio islamici che contengono clausole contrarie all’ordinamento giuridico italiano e che gli uffici anagrafici spesso recepiscono senza battere ciglio. E soprattutto senza capire che con essi non solo si calpestano i diritti delle donne, ma si agevola la colonizzazione islamica e la sostituzione degli italiani e di quel che resta dei loro valori. Non a caso, la Cisint suggerisce che dei matrimoni degli immigrati islamici in Italia si occupino le rispettive ambasciate, che possono fare da filtro e sono anche giuridicamente più preparate dei piccoli Comuni. Prima di dare via libera allo ius sarcinae bisognerebbe tenere a mente che il matrimonio islamico (nikah) è un contratto privato che deve essere reso pubblico nella Sharia. Si tratta di una pubblicazione che di solito consiste in una registrazione dell’atto privato in un tribunale amministrativo. I problemi nascono quando questi patti prevedono clausole contra legem in Italia e d’altra parte il ripudio è stato spesso dichiarato illegittimo in molte nazioni europee per contrarietà all’ordine pubblico. Mentre le clausole che possono dar luogo a maltrattamenti, violenze e abusi vari, di solito vengono scavalcate dalla legge italiana, che offre comunque tutela penale anche alle donne immigrate e, a quel punto, consente lo scioglimento del matrimonio. Infine, in questi contratti che alcuni comuni registrano prendendoli sotto gamba sono spesso consentiti non solo il ripudio islamico, ma anche la poligamia per il solo maschio. E ci sono anche clausole che permettono all’uomo di sposarsi con una donna di altra religione, mentre le donne naturalmente non possono fare altrettanto. Il matrimonio islamico, se accettato senza guardarvi dentro, ha anche altri profili incostituzionali. Se viene contratto anche davanti a un ufficiale dello Stato civile, l’invalidazione del matrimonio civile viene ritenuta valida anche per gli effetti religiosi. Ma questo purtroppo succede molto di rado, perché di solito gli immigrati islamici si guardano bene dall’andare in Comune e il risultato è che le donne che vogliono il divorzio hanno pochissime possibilità di successo, perché quel vincolo non può essere sciolto dalle autorità italiane. Sono in una botte di ferro e spesso neppure lo sanno.
Nicolas Sarkozy e Carla Bruni (Getty Images)