La tenaglia contro la fragile segretaria del Pd non serve solo a evitare la sua candidatura, ma a rimpiazzarla con Paolo Gentiloni. Che, dopo le europee, sogna di rovesciare la maggioranza sfruttando l’eventuale indebolimento di Forza Italia. L’antidoto? I voti.
La tenaglia contro la fragile segretaria del Pd non serve solo a evitare la sua candidatura, ma a rimpiazzarla con Paolo Gentiloni. Che, dopo le europee, sogna di rovesciare la maggioranza sfruttando l’eventuale indebolimento di Forza Italia. L’antidoto? I voti.Meloni e Schlein sono due candidate scomode. Lo scrive Repubblica, che nell’edizione di ieri ha addirittura deciso di dedicare alla questione il titolo più importante del giornale. Che il presidente del Consiglio non vada giù alla redazione del quotidiano di casa Agnelli si può capire e infatti non passa giorno senza che il premier sia preso di mira. Ma il segretario del Pd che c’entra? Fino a poco tempo fa, per la stampa progressista l’ex assessore all’ambiente dell’Emilia-Romagna era la novità, la leader che poteva portare un po’ di aria fresca a sinistra, capace addirittura di diventare federatrice di partiti e movimenti che si oppongono alla maggioranza di centrodestra. Invece, nell’ultima settimana il vento è cambiato e Schlein è soprannominata con un certo disprezzo «l’illuminata di Lugano». La si contrappone a Giorgia Meloni, elencandone i difetti. A occuparsi di sparare contro la leader è stato Massimo Giannini, ex Stampa, che dopo essere stato rimosso dalla direzione del quotidiano di Torino è rientrato alla base - cioè a Repubblica - ancor più incattivito di prima.Sono lontani i tempi in cui si dava spazio a dichiarazioni entusiastiche nei confronti della giovane leader. Appena un anno fa, dopo la vittoria alle primarie contro Stefano Bonaccini, Schlein era portata in trionfo in ogni articolo. Si parlava di una stagione nuova, di una fase che avrebbe consentito di recuperare un legame forte con il Paese, di una classe politica capace di promuovere un partito radicato nella società, con un profilo programmatico più netto e chiaro. Travolti dall’entusiasmo, a Repubblica avevano riempito le pagine con dichiarazioni in cui si definiva contagiosa la freschezza di Elly. Del resto, uno come Romano Prodi, che nel quotidiano passato da De Benedetti agli Elkann considerano come il padre nobile della sinistra, si era in qualche modo intestato la vittoria, dichiarando non solo di averla vista nascere, ma che il suo successo era sintomo di «un profondo desiderio di cambiamento» e dicendosi pronto a non a tirarsi indietro nel caso la neosegretaria gli avesse chiesto di dare una mano. Ma in meno di un anno, il clima è cambiato e adesso Repubblica non fa sconti alla leader con armocromista al seguito, elencandone tutti gli errori. «Schlein fatica», sentenzia Giannini. «Non dice quasi nulla di sbagliato, dai temi sociali ai diritti civili, dal lavoro all’immigrazione. Ma non detta l’agenda, nella tattica e nella strategia». Tradotto, è già ora di rottamarla. Secondo l’indignato speciale, la segretaria «perde occasioni irripetibili», lasciandosi sfuggire la possibilità di impallinare la premier con lo sparatore della Val Cervo, ma anche con i casi Santanchè e Sgarbi. «Schlein aspetta, esita, insegue». In sintesi, è incapace. La leader del Nazareno va al traino dell’Avvocato del popolo sulle regionali e poi c’è il nodo delle liste, «aggrovigliato a sua volta dalle indecisioni della segretaria, sia per le quote rosa, sia per l’equilibrio tra membri della nomenclatura ed esponenti della società civile».Un pungolo per stimolare la segretaria a fare meglio? Macché: una sentenza definitiva. Sulla candidatura, non avendo preso tempo, Schlein «si è fatta incastrare dalla premier, che furbescamente l’ha scelta per la contesa televisiva. A questo punto, qualunque decisione prenda, sarà perdente. Se si candida Meloni la batterà nelle urne. Se non si candida, il mondo penserà che ha paura». Insomma, la segretaria è già sconfitta in partenza e Giannini, che è espressione di quel milieu culturale e istituzionale di sinistra che fa e disfa i governi, si incarica di seppellirla prima che lo facciano gli elettori. Vi chiedete perché mi appassioni tanto il tema di quel che succede nel Pd e come mai sia in pena per la giovane leader multigender? Non ho una particolare simpatia per Schlein, ma dietro le manovre per farla secca intravedo la voglia di ribaltone, non al vertice del maggior partito di opposizione, ma a Palazzo Chigi. Mettendo nel mirino la segretaria, si spera di riuscire a colpire anche Meloni, perché una volta sostituita Schlein con Gentiloni si può cercare di sfruttare le divisioni nel centrodestra, magari dopo un voto per le europee che abbia fatto dimagrire Forza Italia. L’obiettivo è sgretolare la leadership del Nazareno per poi demolire la maggioranza che sostiene l’attuale governo. Dietro alla voglia di liquidare in fretta «l’illuminata di Lugano» c’è il solito partito dell’ammucchiata e dei governi di unità nazionale con cui siamo stati costretti a fare i conti da anni. Monti, Letta, Draghi, così come il Conte 2, sono il frutto avvelenato di un gruppo di potere che non ha nessun rispetto della volontà degli elettori e che è soltanto alla ricerca della poltrona perduta.
Il Tempio di Esculapio, all’interno del parco di Villa Borghese (IStock)
La capitale in versione insolita: in giro dal ghetto ebraico a Villa Borghese, tra tramonti, osterie e nuovi indirizzi.
John Lennon e la cover del libro di Daniel Rachel (Getty Images)
Un saggio riscrive la storia della musica: Lennon si ritraeva come il Führer e Clapton amava il superconservatore Powell.
L’ultimo è stato Fedez: dichiarando di preferire Mario Adinolfi ad Alessandro Zan e scaricando il mondo progressista che ne aveva fatto un opinion leader laburista, il rapper milanese ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia avventata la fiducia politica riposta in un artista. Una considerazione che vale anche retrospettivamente. Certo, la narrazione sul rock come palestra delle lotte per i diritti è consolidata. Non di meno, nasconde zone d’ombra interessanti.
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Magistrato, politico in quota Pd per un breve periodo e romanziere. Si fa predicatore del «potere della gentilezza» a colpi di karate. Dai banchi del liceo insieme con Michele Emiliano, l’ex pm barese si è intrufolato nella cricca degli intellò scopiazzando Sciascia.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.






