
Scornato dalla linea italiana su immigrati e Unione europea, il presidente trama con pezzi del Pd per approfittare di eventuali fratture tra Lega e M5s. E rimettere in sella il filofrancese Enrico Letta. Come diceva il vecchio Giulio Andreotti, a pensare male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca. Per questo vi racconto alcune indiscrezioni raccolte nei giorni scorsi e che riguardano il Pd e un suo futuro alla francese. Tutti si domandano che cosa pensino di fare i capi corrente per rianimare il morente partito della sinistra. Ieri ha provato a interrogarsi sul punto anche Paolo Mieli, che dalle pagine del Corriere della Sera ha tratteggiato le mosse dei compagni in vista delle europee del prossimo anno. In realtà non esiste alcun piano strategico, ma tante manovre messe a punto dai capi bastone del Nazareno nella speranza di resistere all'ondata turboleghista che li sta travolgendo. Il disegno più avanzato è riconducibile al solito Matteo Renzi il quale, nonostante le batoste, non si dà per vinto e sogna un ritorno in grande spolvero. L'ex presidente del Consiglio non si candida a ricostruire il Pd, ma a fondare il partito anti populista italiano, ovvero un movimento che si contrapponga alla Lega di Salvini. Pur usando un nome diverso, il senatore semplice di Scandicci ha in testa il partito della Nazione, ovvero un qualche cosa che vada oltre il Pd e riesca a inglobare Forza Italia. Con declinazioni leggermente diverse rispetto a quello di qualche anno fa, il piano è lo stesso vagheggiato ai tempi del patto del Nazareno: indurre Silvio Berlusconi a un'intesa e poi papparsi ciò che resta degli azzurri, mettendosi al centro della scena politica. Ovviamente il fronte a cui contrapporsi è il governo gialloblù e per raggiungere l'obiettivo Renzi è pronto a cercare alleati anche fuori dall'Italia. Non so se si tratti di una sua illusione, al momento non confortata da riscontri, o se ci siano stati incontri e incoraggiamenti, ma l'ex segretario mira a farsi sponsorizzare dal presidente francese. Per Renzi, Emmanuel Macron non è solo l'uomo che dalla sera alla mattina si è fatto un partito su misura per scalare l'Eliseo in barba ai vecchi schieramenti gollisti e socialisti (e dunque un esempio da imitare), ma è soprattutto l'arcinemico di Salvini e dunque da lui l'ex premier spera di trovare una sponda che lo aiuti a risalire sulla barca da cui gli italiani lo hanno cacciato il 4 dicembre di due anni fa, con il referendum costituzionale. Tuttavia, ciò che Renzi non sa è che anche altri dentro il Pd si stanno muovendo e pure loro guardano a Parigi, nella convinzione che la riscossa non parta né da Firenze né da Bologna (già, perché ultimamente è segnalato un Romano Prodi in grande agitazione per ripiantare l'Ulivo), ma dalla capitale francese. L'uomo che dovrebbe far risorgere il Pd e segare l'albero su cui è seduta l'alleanza pentaleghista si chiama Enrico Letta, il quale da giorni sfoglia la margherita per decidere se scendere in pista o godersi i molteplici incarichi conquistati sulle rive della Senna. L'ex presidente del Consiglio, da quando è stato disarcionato e ha dovuto cedere la campanella a Renzi, è riparato in Francia, dove siede sulla poltrona di direttore dell'École des affaires internationales oltre a ricoprire l'incarico di presidente dell'Istituto Jacques Delors, un think tank fondato 20 anni fa dall'ex presidente europeo. Il nipotissimo (soprannome dovuto al fatto che il padre Giorgio è fratello del braccio destro di Silvio Berlusconi) a Parigi è di casa e ha rapporti eccellenti con la nomenklatura francese, tanto eccellenti che oltre a essere stato insignito della Legion d'onore, la più alta onorificenza concessa dalla République, è stato nominato nel Comité d'action publique 2022, una commissione governativa voluta dall'Eliseo per riformare lo stato e la pubblica amministrazione di Francia. Per non dire poi dell'incarico di consigliere di amministrazione di Amundi, la società di Crédit Agricole e Sociéte Générale per la gestione del risparmio (recentemente si è mangiata il ramo risparmi di Unicredit). Insomma, se c'è un politico che a Parigi piace, questo è Letta, che zitto zitto negli anni ha coltivato con scrupolo le sue relazioni, in particolare quelle francesi. Dunque, altro che Renzi: è proprio sul nipotissimo che Macron ha puntato le sue fiche. Alla roulette della politica italiana il presidente francese conta di vincere la posta più grossa, ossia far cadere il governo Conte e soprattutto Salvini, per poi sostituirli con un esecutivo guidato da un più affidabile Letta. Che, se fosse stato a Palazzo Chigi, certo mai avrebbe replicato colpo su colpo all'Eliseo come ha fatto il ministro dell'Interno nei giorni caldi della chiusura dei porti alle Ong. Né avrebbe costretto il toy boy di Brigitte a digerire il boccone amaro della Aquarius dirottata a Marsiglia e, quel che conta, dei profughi della Lifeline trasferiti in blocco da Malta a Parigi. No, certo: Letta sarebbe stato molto più accomodante di Salvini. È per questo che a Monsieur le président piace l'idea di un ritorno a Roma del Cincinnato pisano. Riuscirà a convincerlo? Dicono che in molti siano all'opera per fargli dire di sì, ma le pressioni più importanti siano proprio quelle di Macron, che così potrebbe fare il gallo in Europa. Vedremo.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.
In Svizzera vengono tolti i «pissoir». L’obiettivo dei progressisti è quello di creare dei bagni gender free nelle scuole pubbliche. Nella provincia autonoma di Bolzano, pubblicato un vademecum inclusivo: non si potrà più dire cuoco, ma solamente chef.
La mozione non poteva che arrivare dai Verdi, sempre meno occupati a difendere l’ambiente (e quest’ultimo ringrazia) e sempre più impegnati in battaglie superflue. Sono stati loro a proporre al comune svizzero di Burgdorf, nel Canton Berna, di eliminare gli orinatoi dalle scuole. Per questioni igieniche, ovviamente, anche se i bidelli hanno spiegato che questo tipo di servizi richiede minor manutenzione e lavoro di pulizia. Ma anche perché giudicati troppo «maschilisti». Quella porcellana appesa al muro, con quei ragazzi a gambe aperte per i propri bisogni, faceva davvero rabbrividire la sinistra svizzera. Secondo la rappresentante dei Verdi, Vicky Müller, i bagni senza orinatoi sarebbero più puliti, anche se un’indagine (sì il Comune svizzero ha fatto anche questo) diceva il contrario.
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L’episodio è avvenuto a Lucca: la donna alla guida del bus è stata malmenata da baby ubriachi: «Temo la vendetta di quelle belve».
Città sempre più in balia delle bande di stranieri. È la cronaca delle ultime ore a confermare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti: non sono solamente le grandi metropoli a dover fare i conti con l’ondata di insicurezza provocata da maranza e soci. Il terrore causato dalle bande di giovanissimi delinquenti di origine straniera ormai è di casa anche nei centri medio-piccoli.
Quanto accaduto a Lucca ne è un esempio: due minorenni di origine straniera hanno aggredito la conducente di un autobus di linea di Autolinee toscane. I due malviventi sono sì naturalizzati italiani ma in passato erano già diventati tristemente noti per essere stati fermati come autori di un accoltellamento sempre nella città toscana. Mica male come spottone per la politica di accoglienza sfrenata propagandata a destra e a manca da certa sinistra.






