2018-07-11
«L’euro? Altri potrebbero decidere per noi»
Paolo Savona parla alle commissioni Ue del Parlamento: «Vogliamo un'Europa più forte ed equa, la Bce deve garantire i titoli del debito e servono investimenti senza gli attuali vincoli. Nessuno vuole uscire, ma mi hanno insegnato a essere pronto a tutto». Antonio Patuelli, numero uno dell'Abi, punta il dito sul nazionalismo: «Con meno partecipazione all'Unione, scenari da Sudamerica». Lo speciale contiene due articoli «Mi dicono: "Tu vuoi uscire dall'euro"? Badate che potremmo trovarci in situazioni in cui sono altri a decidere. La mia posizione è essere pronti a ogni evenienza». Il famigerato «piano B» di Paolo Savona è tutto qui, e assomiglia molto a una pura dichiarazione di buon senso istituzionale. «In Banca d'Italia mi hanno insegnato», prosegue il ministro per gli Affari europei davanti alle Commissioni Ue di Camera e Senato, «a essere pronti non ad affrontare la normalità ma il “cigno nero", lo choc straordinario». Le parole di Savona non sono ambigue, e anche per questo, ieri, lo staff del ministro è rimasto stupito quando è ripartito, su diversi siti di informazione, il tam tam di titolazioni allusive alla volontà di Savona di uscire dalla moneta unica unilateralmente: atto, peraltro, non compreso nel contratto di governo. La relazione del professore, mancato ministro del Tesoro a causa dell'esplicito veto del Quirinale proprio per le posizioni sulla moneta unica, mostra come il pensiero di Savona da un lato non sia affatto cambiato rispetto a fine maggio, e dall'altro come esso si richiami alla migliore e più consolidata teoria economica internazionale. «Dal momento che sono stato delegittimato dai media, ho cercato legittimazione democratica», ha scandito. La disfunzionalità dell'unione monetaria, descritta con dovizia dagli economisti ancor prima della sua entrata in vigore, mostra oggi la corda, sembra spiegare Savona, soprattutto perché le «riforme» tanto invocate hanno significato fin qui politiche dal lato dell'offerta a scapito di interventi di stimolo alla domanda aggregata in grado di correggere i «difetti strutturali» dell'architettura dell'eurozona. E dunque, spiega ai membri della commissione, l'euro è a rischio non perché qualche esponente politico italiano o straniero si agiti particolarmente, ma perché mancano politiche di stabilità e crescita capaci di garantire benessere economico e sociale ai Paesi membri, assicurando così il necessario consenso alle istituzioni europee e ai singoli governi, come si conviene a una «casa comune». Che fare? Savona elenca tre esempi. Primo: dotare la Bce di «pieni poteri sul cambio»; secondo, rendere l'Eurotower «prestatore di ultima istanza», cioè garante dei titoli del debito sovrano (senza questo, i debiti stessi restano oggetto di attacchi speculativi indipendenti dai fondamentali economici del Paese, amplificando squilibri e asimmetrie); terzo, keynesiamente, fare investimenti. Qui Savona mostra astuzia dialettica, dipingendo l'azione comunitaria del governo Conte come autenticamente europea («Sono europeo, non europeista, e sono trattativista e non sovranista», chiosa il ministro): «Questa politica (di investimenti, ndr) si è scontrata con l'assenza di mezzi finanziari autonomi dell'Ue, ma soprattutto con il rifiuto di conciliare le riforme richieste - la politica dell'offerta - e l'indispensabile politica di stimolo della crescita del reddito e dell'occupazione -la politica della domanda -, finendo con il far dominare la seconda dalla prima». Così, spiega, «la preoccupazione del mercato è che la spesa relativa causi un aumento del disavanzo di bilancio e del rapporto tra debito pubblico e Pil usati come indicatori di solvibilità. Giusto o sbagliato che sia, la politica del governo ne deve tenere conto». Savona conferma così che a finanziare investimenti e programma di governo sarà nuovo deficit, e non nasconde che la scelta può produrre turbamenti sui mercati e sullo spread. Dunque? «L'ideale sarebbe che fosse l'Ue a chiedere di fare la politica indicata, delimitata nei tempi e nelle dimensioni, il che non equivarrebbe alla consueta richiesta di “flessibilità" di bilancio. L'Ue avrebbe interesse a farlo se si intende riproporre come un'alleanza tra stati favorevole al progresso economico e sociale, e non solo a un accordo per la stabilità monetaria e finanziaria da imporre ai Paesi in difficoltà, che non genera sufficiente crescita». Come dire: o l'Europa è capace di fare questo, o non è Europa. Il primo nodo, Savona lo ripete alle Commissioni, è la Bce, e non a caso fa sapere di avere chiesto udienza a Mario Draghi. Poi tocca agli investimenti, e qui viene la parte più politicamente cruciale: «Per raggiungere questo risultato occorre uscire dai vincoli finanziari del bilancio europeo che non generano spinte autopropulsive e ricorrere a meccanismi capaci di imprimere una spinta esogena alla domanda, ricorrendo ai finanziamenti della Banca europea degli investimenti come esplicitamente previsto dagli accordi di Maastricht». Le «idee chiare» di cui aveva parlato il vicepremier Matteo Salvini alla Verità sono dunque queste, e Savona le chiarisce ulteriormente: «L'esecutivo deve realizzare i provvedimenti promessi: reddito di cittadinanza, flat tax, Fornero: non è vero che l'Italia vive al di sopra delle sue risorse. Viviamo al di sotto, perché esistono i vincoli europei». Così, nel giorno in cui il presidente dell'Abi Antonio Patuelli dipinge un'Italia che potrebbe finire nei «gorghi di un nazionalismo mediterraneo molto simile a quelli sudamericani» (sic) e il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ammette che il Paese è «più fragile di dieci anni fa» - malgrado le «riforme» - Savona indica una strada che ha più i toni della ragionevolezza quasi ovvia (eppure mai percorsa dagli ultimi governi) che quelli del tavolo da ribaltare, tanto che perfino dal Pd arrivano timidi plausi. Resta un problema: e se su statuto della Bce, investimenti e vincoli ci dicono di no? Ecco, è in casi del genere che può tornare utile avere nel cassetto un «piano B». Martino Cervo Martino Cervo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/piano-b-di-savona-patuelli-2585522291.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-capo-dei-banchieri-ci-inchioda-allue-altrimenti-si-finisce-come-largentina" data-post-id="2585522291" data-published-at="1761935254" data-use-pagination="False"> Il capo dei banchieri ci inchioda all'Ue: «Altrimenti si finisce come l’Argentina» Per l'Italia occorre «partecipare maggiormente all'Unione europea», altrimenti il nostro Paese «potrebbe finire nei gorghi di un nazionalismo mediterraneo molto simile a quelli sudamericani». È il monito lanciato da Antonio Patuelli nel corso dell'Assemblea annuale dell'Associazione bancaria italiana svoltasi ieri a Roma. Al termine dell'evento, Patuelli è stato confermato all'unanimità nell'incarico di presidente dell'Abi per il biennio 2018-2020. Un discorso poco tecnico e molto politico, a volte quasi confusionario, quello pronunciato dal sessantasettenne imprenditore italiano convertitosi al mondo della politica bancaria. Ma soprattutto condito da una forte dose di allarmismo, specie nel paragone choc tra la crisi argentina e i pericoli a cui rischia di andare incontro il nostro Paese se non decide di viaggiare sui giusti (a suo dire) binari. «Questa primavera, in Argentina, il tasso di sconto ha perfino raggiunto il 40%», ha ammonito Patuelli, aggiungendo che «con la lira italiana, negli anni Ottanta, il tasso di sconto fu anche del 19%». Un dardo velenoso nei confronti di chi, anche in ambito governativo, è convinto che la soluzione ai problemi dell'Italia stia nell'allentamento dei legami con l'Europa o, addirittura, nell'uscita dalla moneta unica. Per uno strano caso del destino, quasi in contemporanea con la sua relazione, il ministro per gli Affari europei Paolo Savona, in audizione alle commissioni riunite di Camera e Senato, affermava che anche se «l'Italia non intende uscire dall'euro e intende rispettare gli impegni fiscali», si rende comunque «necessario essere pronti a ogni evento, anche all'uscita dall'euro». Il presidente dell'Abi ha quindi citato il programma del governo tedesco, sostenendo che «l'Europa combina integrazione economica e prosperità con libertà, democrazia e giustizia sociale. Un'Europa forte e unita», ha proseguito «è la migliore garanzia per un futuro di pace, libertà e prosperità. L'Unione ha bisogno di un rinnovamento e di un nuovo inizio: vogliamo un'Europa della democrazia e della solidarietà. Vogliamo approfondire la coesione europea sulla base dei valori democratici e costituzionali a tutti i livelli e rafforzare il principio della solidarietà reciproca». Non è mancato un riferimento al presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che con la sua azione «ha garantito assai bassi tassi che, penalizzando le banche, hanno favorito la ripresa e salvato la Repubblica nella gestione del debito pubblico il cui peso, altrimenti, sarebbe caduto fiscalmente drammaticamente (sic!) sulle imprese e sulle famiglie italiane». Patuelli ha quindi auspicato una nuova spinta per l'unione bancaria, con testi e regole uguali per tutti i paesi membri. Ma non è solo la mancata coesione europea a turbare i sogni del presidente dell'Abi. Un pensiero va al debito pubblico (va ridotto «per diminuire la pressione fiscale») e all'immancabile spread, ogni aumento del quale «impatta su Stato, banche, imprese e famiglie, rallentando la ripresa». Se la minaccia di finire in bancarotta e l'ennesimo richiamo al rispetto dei conti pubblici non fossero sufficienti, è quando si parla di banche che Patuelli dà il meglio di sé. Sono proprio gli istituti di credito infatti ad aver «sostenuto il peso maggiore della crisi», rimanendo «compresse dalla crisi, da tassi infimi e da norme in continuo mutamento, talvolta anche da eccessi di burocratizzazione che non servono all'Europa». Nessun cenno alla crisi occupazionale o all'aumento della povertà, ci mancherebbe. Il pensiero, semmai, è rivolto ai «circa 12 miliardi per i salvataggi e per nuovi fondi europei e nazionali e di garanzia» e ai «grandi sforzi e progressi» nella riduzione delle sofferenze e dei crediti deteriorati. Chiaroscuri anche dalla relazione del governatore di Banca d'Italia, Ignazio Visco, intervenuto a margine dell'assemblea. Anche se il nostro Paese «è in grado di fronteggiare i graduali cambiamenti nel tono della politica monetaria», ha affermato Visco, «il conseguimento di un tasso di crescita soddisfacente e stabile è però ostacolato dalla dinamica ancora troppo debole della produttività, dalle inefficienze e dalle rigidità del contesto in cui operano le imprese e dall'elevata incidenza del debito pubblico sul prodotto». Negativo il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, che ha paventato un rischio al ribasso nelle stime della crescita del Pil. Gianluca De Maio
Ecco #DimmiLaVerità del 31 ottobre 2025. Ospite il senatore di FdI Guido Castelli. L'argomento del giorno è: " I dettagli della ricostruzione post terremoto in Italia Centrale"
Foto Pluralia
La XVIII edizione del Forum Economico Eurasiatico di Verona si terrà il 30 e 31 ottobre 2025 al Çırağan Palace di Istanbul. Tema: «Nuova energia per nuove realtà economiche». Attesi relatori internazionali per rafforzare la cooperazione tra Europa ed Eurasia.
Il Forum Economico Eurasiatico di Verona si sposta quest’anno a Istanbul, dove il 30 e 31 ottobre 2025 si terrà la sua diciottesima edizione al Çırağan Palace. L’evento, promosso dall’Associazione Conoscere Eurasia in collaborazione con la Roscongress Foundation, avrà come tema Nuova energia per nuove realtà economiche e riunirà rappresentanti del mondo politico, economico e imprenditoriale da decine di Paesi.
Dopo quattordici edizioni a Verona e tre tappe internazionali — a Baku, Samarcanda e Ras al-Khaimah — il Forum prosegue il suo percorso itinerante, scegliendo la Turchia come nuova sede di confronto tra Europa e spazio eurasiatico. L’obiettivo è favorire il dialogo e le opportunità di business in un contesto geopolitico sempre più complesso, rafforzando la cooperazione tra Occidente e Grande Eurasia.
Tra le novità di questa edizione, un’area collettiva dedicata alle imprese, pensata come piattaforma di incontro tra aziende italiane, turche e russe. Lo spazio offrirà l’occasione di presentare progetti, valorizzare il made in Italy, il made in Turkey e il made in Russia, e creare nuove partnership strategiche.
La Turchia, ponte tra Est e Ovest
Con un PIL di circa 1.320 miliardi di dollari nel 2024 e una crescita stimata al +3,1% nel 2025, la Turchia è oggi la 17ª economia mondiale e membro del G20 e dell’OCSE. Il Paese ha acquisito un ruolo crescente nella sicurezza e nell’economia globale, anche grazie alla sua industria della difesa e alla posizione strategica nel Mar Nero.
I rapporti con l’Italia restano solidi: nel 2024 l’interscambio commerciale tra i due Paesi ha toccato 29,7 miliardi di euro, con un saldo positivo per l’Italia di oltre 5,5 miliardi. L’Italia è il quarto mercato di destinazione per l’export turco e il decimo mercato di sbocco per quello italiano, con oltre 430 imprese italiane già attive in Turchia.
Nove sessioni per raccontare la nuova economia globale
Il programma del Forum si aprirà con una sessione dedicata al ruolo della Turchia nell’economia mondiale e proseguirà con nove panel tematici: energia e sostenibilità, cambiamento globale, rilancio del manifatturiero, trasporti e logistica, turismo, finanza e innovazione digitale, produzione alimentare e crescita sostenibile.
I lavori si svolgeranno in italiano, inglese, russo e turco, con partecipazione gratuita previa registrazione su forumverona.com, dove sarà disponibile anche la diretta streaming. Il percorso di avvicinamento all’evento sarà raccontato dal magazine Pluralia.
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