2022-07-18
Photos! La fotografia del Novecento in mostra a Palazzo Albergati di Bologna
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Ramón Masats, Seminario,1960 Collezione Julian Castilla © Ramon Masats, by SIAE 2022
È Palazzo Albergati, dimora rinascimentale nel pieno centro di Bologna, a ospitare (sino al 4 settembre 2022) i tesori della Collezione Julián Castilla, raccolta privata fra le più prestigiose di Spagna e del mondo e preziosa testimonianza della storia della fotografia moderna, dagli inizi del Novecento ai giorni nostri. Da Man Ray a Chema Madoz, passando per Cartier-Bresson e Robert Doisneau, a Palazzo Albergati sfilano le immagini più significative del vecchio e nuovo secolo.«Le immagini sono li e a te non resta che prenderle» affermava Robert Capa, uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi . Questa frase, uno dei tanti aforismi celebri sulla fotografia, per la splendida mostra allestita nelle sale di Palazzo Albergati potrebbe risuonare più o meno così: «Le immagini sono li e a te non resta che ammirarle». Si. Perché aggirarsi fra le oltre 70 opere esposte nella raffinata location bolognese, fra gigantografie che quasi ti intimoriscono per la loro severa maestosità (come l’iconico ritratto di Ernesto «Che » Guevara, il Guerrillero Heroico del fotografo cubano Alberto Korda) e opere più piccole, che ti attraggono come calamite per studiarne meglio i particolari (come Il violino d’Ingres, una schiena di donna che sembra un violoncello, famosisimo scatto dell'artista surrealista e visionario Man Ray), la sensazione è di pura ammirazione. Di stupore e meraviglia. Ogni immagine merita una sosta e, se casualmente vai troppo di fretta, sicuramente torni indietro per prenderti più tempo. Immagini come Morte di un miliziano, scatto (controverso) di Robert Capa datato 1936 e simbolo universale dell’atrocità della guerra, non può lasciare indifferenti. Va guardato con calma, studiato, anche per la sua sconvolgente attualità… Dopo un’immagine così, intensa e struggente, è giusto cercare un po’ di «leggerezza », magari rifugiandosi nella sofisticata leggiadria di un altro scatto, così noto da diventare leggendario: il fotografo è Horst P. Horst e la foto si intitola The Mainbocher Corset, il corsetto più sensuale della storia della fotografia di moda. E poi ci sono i lavori dello spagnolo Carlos Saura, che prima di diventare un famoso regista cinematografico, negli anni ’60 ha documentato - con la sua Leica - la realtà sociale del suo Paese; e quelli di Gerardo Vielba, Ramon Masats, Cesar Lucas e Oriol Maspons, anch’essi spagnoli e tutti di fondamentale importanza nella storia e nel rinnovamento della fotografia iberica. Insomma, ogni opera in mostra, dalle avanguardie degli anni ‘20 agli scatti di Chema Madoz (padre del concettualismo fotografico) passando per gli straordinari ritratti di Alberto García Alix (uno fra i maggiori esponenti del movimento della movida), meriterebbe un commento. A riassumere in poche, illuminanti parole, cos’ è e cosa racchiude la Collezione Julián Castilla, per la prima volta in Italia ospitata da Palazzo Albergati, Cristina Carrillo de Albornoz, curatrice della mostra: «La collezione fotografica di Julián Castilla rappresenta una preziosa testimonianza con cui immergersi nei movimenti artistici fondamentali dell'arte moderna e contemporanea. Dalle avanguardie del surrealismo e dell'astrazione, passando per il movimento pop e l'arte concettuale, fino all'arte digitale».La fotografia più antica della collezione , datata 1902, è del fotografo e gallerista statunitense Alfred Stieglitz, considerato il padre della fotografia moderna e pioniere del «concetto di fotografia intesa come forma d'arte autonoma», slegata dalla pittura e dalla scultura, ma assolutamente non meno autorevole: la sua carriera, lunga oltre 50anni , si è sviluppata nella convinzione che uno strumento meccanico come la macchina fotografica, se guidato dalla mano e dalla sensibilità dell'uomo, potesse trasformarsi in uno strumento per creare arte. Julián Castilla ha raccolto la sua collezione di fotografie negli ultimi 25 anni, guidato precisamente dalla stessa convinzione di Alfred Stieglitz: la fotografia è un'arte che ha la potenza di trasformare e catturare i cambiamenti nel mondo.Photos! è davvero un appuntamento da non perdere, un viaggio lungo ed entusiasmente nella storia della fotografia del Novecento
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
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