2023-03-16
Pfizer batte cassa per le dosi inutili. Sofia & C. protestano, Roma dorme
Bulgaria, Polonia, Lituania e Ungheria si oppongono alle pretese dell’azienda, che chiede i soldi anche per le fiale non prodotte. La Commissione non fa ostruzionismo, ma stranamente l’Italia ora si sfila.Dov’è il ministro Orazio Schillaci? Ci ha ripensato? Non crede più che l’Italia sia sommersa di vaccini inutilizzati e che non dovrebbe essere costretta a riceverne - e pagarne - altri? Eppure era stato lui, insieme all’omologo ceco, lo scorso dicembre, a sollevare un polverone sui contratti capestro tra Ue e Pfizer, suonando la sveglia in Europa. Adesso, come da indiscrezioni del Financial Times, il colosso farmaceutico avrebbe accettato sia di dilazionare le consegne fino al 2026, sia di tagliare le forniture del 40%. Tuttavia, la società guidata da Albert Bourla pretenderebbe che le dosi che non saranno prodotte vengano pagate lo stesso. Non esattamente un affare per l’Unione, che comunque sembra abituata a stipulare accordi autolesionistici. È contro la clausola spuntata in questi giorni che si sono schierati, in una missiva, i ministri della Salute di Bulgaria, Polonia, Lituania e Ungheria. L’altro ieri, costoro hanno espresso «preoccupazione» per la richiesta di Pfizer e hanno lamentato che «tali proposte non rappresentano una soluzione finale ed equa ai problemi del surplus di vaccini Covid-19 e non rispecchiano i bisogni dei sistemi sanitari, dei cittadini e l’interesse finanziario degli Stati membri». Le quattro nazioni si sono rivolte direttamente alla Commissione Ue e all’azienda. Dalla prima, si aspettano che cerchi nuove «opportunità per negoziare ulteriormente» con l’industria americana, «in particolare sui pagamenti delle dosi non consegnate, riducendo il numero di quelle prenotate per contratto». In alternativa, vogliono che l’esecutivo «prenda l’iniziativa da sé e compri i vaccini in surplus dagli Stati membri, per donarli alle regioni» nelle quali scarseggiano. I quattro Paesi dell’Est considerano essenziale la sforbiciata alle dosi anche perché manca «chiarezza regolatoria sull’uso continuo dei booster». Già la quarta e la quinta puntura, in effetti, non sono state accolte proprio con grande entusiasmo dalla popolazione. I firmatari della lettera indirizzano pure un risoluto appello a Pfizer, esortandola ad «assumersi la sua responsabilità nei confronti dei cittadini Ue e degli Stati membri e ad agire in buona fede per una soluzione equa verso tutti. Nel nome del bene comune, non solo dell’interesse economico». Una bella tirata d’orecchie.Sofia avrebbe presentato le sue rimostranze al commissario Stella Kyriakides già a febbraio. L’8 marzo, il ministro bulgaro della Salute, Asen Medzhidiev, ha annunciato che l’iniziativa per modificare i contratti con Pfizer aveva ricevuto il sostegno di Varsavia e altre sei nazioni. Non si sa se nel blocco ci fosse l’Italia. Fatto sta che, a siglare la sottoscrizione di martedì, sono stati solo quattro Paesi. Roma, se mai aveva manifestato interesse per la petizione, si è sfilata. È un peccato, perché la Kyriakides, stando ai verbali del vertice di dicembre 2022, è consapevole che «il mandato per la strategia vaccinale Ue viene dagli Stati membri». Quindi, coalizzarsi ed esercitare pressioni è nel pieno diritto delle capitali. E protestare, talora, paga. Basti vedere cosa è successo ai polacchi: già a inizio mese, hanno ricevuto da Bruxelles il permesso di rinegoziare con la compagnia. Il pretesto ufficiale? Hanno accolto 10 milioni di profughi ucraini e, ora, si ritrovano con un buco di 2 miliardi nel fondo dedicato all’acquisto dei medicinali contro il coronavirus. Dal canto suo, al Consiglio europeo della fine dell’anno scorso, il nostro Schillaci aveva proposto che le strategie d’acquisto dei vaccini venissero «gestite direttamente dai singoli Stati», prevedendo una riduzione delle consegne «in funzione dell’effettivo fabbisogno» di ciascuna nazione e ottenendo o una «consistente riduzione del prezzo», o la sostituzione dei preparati vecchi, tarati sul ceppo di Wuhan, con quelli aggiornati alle varianti e sottovarianti Omicron. L’inquilino di lungotevere Ripa, inoltre, aveva rivelato un particolare fino ad allora pressoché ignoto: in base ai contratti con le case farmaceutiche, qualora un paziente danneggiato dall’inoculazione faccia causa ai produttori, sarebbero gli Stati a dover pagare loro le spese legali. Le scintille, però, si sono spente presto. Che cosa farà, l’Italia, con i quintali di scatoloni di vaccini?Intanto, le autorità bulgare, interpellate dai giornalisti sulla ragione per cui non fosse possibile chiudere la querelle regalando le dosi in eccesso, hanno tirato fuori un altro dettaglio anomalo: secondo il governo, i contratti non lo permettono. Se così fosse, sarebbe davvero incredibile. Che senso ha vietare l’esportazione di fiale già comprate? Che importa, a chi fabbrica un oggetto, cosa ne fa chi lo acquista? Una volta che lo ha venduto, non gli cambia nulla se quello rimane nella casa dell’acquirente, viene regalato, o spedito in cantina. Perché, nel caso dei vaccini anti Covid, non dovrebbe valere lo stesso principio? O forse, ai poveri, che tanto si accontentano, vanno spedite solamente le dosi scadute?