I prossimi mesi porteranno numerose novità geopolitiche nella regione dei Balcani. Nella seconda metà di settembre la Commissione europea dovrebbe confermare che la Croazia ha soddisfatto tutti i criteri tecnici per l'implementazione dei sistemi di controllo dell'area Schengen. Ciò significherebbe che entro breve i controlli sui passaggi delle persone verso l'area europea comune si sposterebbero dalla Slovenia al confine meridionale della Croazia che dovrà conseguentemente garantire la sicurezza di una frontiera orograficamente e politicamente sensibile abbracciante 1.200 chilometri di confini terrestri con Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro.
I prossimi mesi porteranno numerose novità geopolitiche nella regione dei Balcani. Nella seconda metà di settembre la Commissione europea dovrebbe confermare che la Croazia ha soddisfatto tutti i criteri tecnici per l'implementazione dei sistemi di controllo dell'area Schengen. Ciò significherebbe che entro breve i controlli sui passaggi delle persone verso l'area europea comune si sposterebbero dalla Slovenia al confine meridionale della Croazia che dovrà conseguentemente garantire la sicurezza di una frontiera orograficamente e politicamente sensibile abbracciante 1.200 chilometri di confini terrestri con Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro.L'allargamento dell'area Schengen potrebbe essere momentaneamente fermato solo dall'eventuale opposizione politica della Slovenia che contesta alla Croazia il mancato rispetto del lodo internazionale con cui nel 2017 sarebbero stati definiti confini tra i due Paesi. A ottobre il Kosovo andrà ad elezioni generali. Al momento i sondaggi danno in forte calo il partito democratico Pdk del presidente Hashim Thaci e quindi delineano la possibilità che si sgretoli il sistema politico finora sostenuto dall'Occidente in cambio di stabilità e dialogo con la Serbia. Proprio il venir meno di questo dialogo da parte del premier Ramush Haridinaj, che per indebolire la posizione interna di Thaci ha inasprito i rapporti con Belgrado tassandone del 100% i beni in entrata alla dogana, ha portato Pristina a una terremoto politico da cui ora gli Stati Uniti, secondo le parole del nuovo inviato speciale della Casa Bianca per i Balcani occidentali Matthew Palmer, sperano di veder uscire vincitrice una colazione pronta a richiamare immediatamente i dazi e risiedersi al tavolo delle trattative con il presidente serbo Aleksander Vučić. Quest'ultimo a sua volta dovrà indire entro i prossimi sei mesi le regolari elezioni generali che rimescoleranno i bilanciamenti di potere del Paese ma soprattutto dimostreranno se le costanti dimostrazioni di piazza che da mesi si susseguono a Belgrado riflettano davvero un cambio di umore tra i cittadini. Entro marzo 2020 è da attendersi anche il compimento del processo di ratifica da parte dei membri della Nato dell'ammissione all'alleanza della Macedonia e quindi del suo definitivo passaggio all'area di stabilità nordatlantica. Ancor prima però, ad ottobre di quest'anno, pare sempre più probabile l'apertura dei negoziati d'adesione con l'Unione europea. All'inizio del mese si è svolto in Finlandia il vertice dei ministri degli esteri dell'Unione nel quale è stata confermata la linea dura, capeggiata dalla Francia di Macron, che vorrebbe vedere l'Albania e la Macedonia parte dello stesso pacchetto negoziale in modo che il processo di allargamento possa rimanere immobilizzato ancora per alcuni anni a causa delle ancora forti instabilità politiche e della mancanza di legalità dei sistemi giudiziari dei due Paesi. Nonostante anche i Paesi Bassi condividessero la medesima linea di pensiero della Francia, il loro Parlamento pochi giorni addietro ha dato il via libera al governo affinché possa staccare la Macedonia dalla questione albanese ed approvare l'eventuale apertura dei negoziati con Skopje.Qualora nei prossimi giorni anche il Bundestag tedesco dovesse sostenere la medesima linea politica e la Francia riuscisse ad avere dei buoni compensi da Berlino nelle negoziazioni in corso per la nuova Commissione europea è facile attendersi un cambio di retorica da parte dell'Eliseo e la conseguente apertura dei negoziati con la Macedonia. La mossa in verità è politicamente inevitabile dopo che l'Ue ha preteso a febbraio il cambio di oltre metà della costituzione oltre al nome stesso del Paese per convincere Atene ad accettare, per lo meno di facciata, Skopje quale partner internazionale. Gli scandali di corruzione che stanno giornalmente investendo il premier macedone Zoran Zaev, la sua famiglia ed il partito socialista scuotono alle fondamenta la legittimità di un governo che si è imposto attraverso l'uso politico della giustizia e grazie all'impunibilità momentaneamente garantitagli dalla comunità internazionale bisognosa di un esecutore delle volontà esterne. La Commissione Junker, dichiarando fin dall'inizio di non voler prendere in esame nuovi allargamenti dell'Ue, ha contribuito non poco a destabilizzare i Balcani occidentali. Qualora le istituzioni di Bruxelles desiderino veramente aiutare i Paesi della regione sarebbe auspicabile che aprissero veramente le trattative con la Macedonia, nonostante l'attuale assoluta mancanza assoluta di uno stato di diritto. Zaev non deve essere visto quale ostacolo. La sua premiership è oramai una questione di pochi mesi mentre la priorità dell'Unione deve essere quella di evitare che il prossimo governo, di qualunque colore esso sia, ricada negli errori del passato e che la Macedonia imbocchi finalmente la strada della democrazia funzionante. Tutto ciò è possibile solamente esercitando un controllo stretto sulle riforme richieste dai negoziati d'adesione. L'orizzonte dell'Unione è l'unico stimolo possibile per riformare la politica e garantire il ritorno alla legalità di uno Stato la cui maggioranza governativa nel parlamento si basa su un'elezione illegittima del presidente avvenuta in mancanza di un numero legale dei parlamentari e sull'uso distorsivo della giustizia a fini politici. Solamente l'Unione europea potrà far ritornare la Macedonia ad essere uno Stato di diritto che non condanni 16 persone ree d'aver protestato per le procedure illegali del Parlamento a una reclusione di 15 anni a testa mentre richiede solamente 6 anni di carcere per i terroristi dell'ISIS tornati in Patria.
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