2019-04-16
Trump protegge Big pharma Usa e dichiara guerra alle medicine indiane
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I rapporti tra Stati Uniti e India sembrano farsi tesi. Il mese scorso il presidente americano si è detto pronto ad aprire un nuovo fronte di scontro, affermando di voler porre fine al trattamento commerciale preferenziale per Nuova Delhi. Washington «intende estinguere le designazioni dell'India e della Turchia come paesi in via di sviluppo beneficiari nell'ambito del programma Sistema di preferenze generalizzate (Spg) perché non rispettano più i criteri di ammissibilità statutari», ha dichiarato l'Ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti. In particolare, secondo la Casa Bianca, Nuova Delhi non avrebbe «assicurato agli Stati Uniti un accesso equo e ragionevole ai suoi mercati». La mossa potrebbe produrre delle conseguenze non poco rilevanti: si pensi solo che nel 2017 - attraverso questo sistema preferenziale - l'India ha esportato beni per 5,7 miliardi di dollari senza dazi.Insomma, le relazioni tra Stati Uniti e India sembrano essere entrate in una fase piuttosto turbolenta. Del resto, i rapporti tra le due nazioni non sono mai risultati scevri da una certa ambiguità. E le tensioni non sono mancate. A partire dal settore farmaceutico. Non solo infatti Nuova Delhi è profondamente specializzata nella produzione di farmaci generici. Ma, in passato, hanno avuto luogo svariati episodi di attrito proprio con Washington che ha spesso accusato l'India di danneggiare l'America sul fronte della proprietà intellettuale. In questo senso, già nel 1992, l'amministrazione di George Herbert Walker Bush prese dei provvedimenti per limitare i benefici goduti da Nuova Delhi nell'export legato al settore chimico e farmaceutico. L'India adeguò nel 2005 la propria legislazione sui brevetti ai criteri stabiliti dalla Wto, pur mantenendo determinate eccezioni: in particolare Nuova Delhi decretò che soltanto i farmaci effettivamente nuovi dovessero essere messi sotto brevetto, onde evitare che le case farmaceutiche allungassero il diritto di sfruttamento attraverso leggere modifiche del medicinale.Questo accordo, per quanto non eliminasse tutte le ragioni di attrito con gli Stati Uniti, venne usato dall'establishment di Washington come mezzo per rinsaldare le relazioni con l'India. Le alte sfere della politica americana hanno sempre considerato Nuova Delhi come un imprescindibile alleato internazionale. E questo essenzialmente per due ragioni. In primis, tale vicinanza ha consentito agli Stati Uniti di sottrarre alla Cina la pretesa di presentarsi come capofila esclusivo dei Paesi emergenti (soprattutto in funzione antiamericana). In secondo luogo, ci sono da tempo in ballo anche questioni di collaborazione nel settore militare e nucleare. In particolare, nel 2008 è stato siglato l'India–United States civil nuclear agreement, un trattato bilaterale finalizzato alla cooperazione nucleare per scopi civili. Senza poi dimenticare che, a partire dal 2002, siano state firmate una serie di intese militari tra i due Paesi: intese con il principale obiettivo di incrementare la condivisione di informazioni di intelligence.Ciononostante la simpatia mostrata dall'establishment di Washington verso Nuova Delhi non ha impedito il risorgere di un certo malcontento da parte della grande industria farmaceutica americana. Dal momento che - rispetto ai Paesi sviluppati - i costi operativi, di produzione e di manodopera indiani possono essere inferiori del 70%, i principali produttori di farmaci generici come Lupin, Mylan e Sun pharmaceuticals sono diventati leader di mercato a livello mondiale grazie alla loro presenza in India. Nel 2018, l'India ha rappresentato quasi il 40% di tutti i farmaci generici approvati dalla Food and drug administration ed è stata il principale esportatore al mondo in questo settore. Gli Stati Uniti risultano, del resto, il partner commerciale più importante dell'India in materia di farmaci generici, importando circa un quarto dell'export indiano nel comparto. Eppure, la Fda ha col tempo iniziato a mettere sotto i riflettori questa situazione, concentrandosi su alcuni problemi specifici: dalle controverse pratiche commerciali dell'India alla qualità dei suoi medicinali. Più in generale - questa è la posizione degli Stati Uniti - mentre l'industria farmaceutica americana si concentrerebbe maggiormente sull'innovazione, quella indiana mirerebbe invece principalmente ad aumentare le proprie quote di mercato nel settore dei medicinali generici. Strategia che porterebbe Nuova Delhi ad adottare pratiche commerciali scorrette e a violare le normative in termini di proprietà intellettuale. Dall'altra parte, i sostenitori dell'India ribattono, difendendo la produzione di medicinali a basso costo e criticando lo strapotere delle grandi ditte farmaceutiche (americane e non).Come che sia, questa situazione rischia adesso di produrre delle pesanti ripercussioni non solo nelle relazioni tra Stati Uniti e India ma anche in seno alla stessa politica interna americana. Si potrebbe, in altre parole, aprire l'ennesimo fronte di scontro tra l'establishment di Washington e lo stesso Donald Trump. Se il primo mira ancora oggi a un approccio conciliante e collaborativo verso Nuova Delhi nel settore militare, il secondo sembrerebbe maggiormente puntare alla difesa dell'industria statunitense. Senza poi dimenticare le dinamiche elettorali. Non bisogna infatti trascurare come recenti sondaggi abbiano mostrato che - tra la base repubblicana - non si nutra particolare fiducia verso l'India. Il tutto viene poi a legarsi al progressivo scetticismo che si sta diffondendo in America verso i trattati internazionali di libero scambio. Insomma, i recenti attriti commerciali tra la Casa Bianca e Nuova Delhi potrebbero inserirsi nel più complicato quadro degli attriti attinenti al campo chimico-farmaceutico. Un elemento che potrebbe spingere Trump non solo a rinverdire il suo classico messaggio protezionista ma anche a riprendere la propria battaglia contro le alte sfere dell'establishment statunitense. Sotto questo aspetto, bisognerà capire quale posizione sceglierà di adottare il Congresso americano: se da una parte le ispezioni della Fda hanno recentemente riscosso un'approvazione bipartisan, dall'altra alcuni senatori statunitensi hanno criticato Trump per lo schiaffo commerciale a Nuova Delhi del mese scorso. E - con la campagna elettorale del 2020 alle porte - il quadro sarà probabilmente destinato a ingarbugliarsi.Gli Stati Uniti detengono da soli oltre il 45% del mercato farmaceutico mondiale: nel 2016, tale quota è stata valutata intorno ai 446 miliardi di dollari. In questo quadro, quasi 60 miliardi di dollari vengono spesi ogni anno in ricerca e sviluppo nel settore. I costi per lo sviluppo di un nuovo farmaco sono aumentati drasticamente negli ultimi decenni: da meno di 200 milioni di dollari negli anni Settanta fino a oltre 2,6 miliardi al giorno d'oggi. Nel 2017 il Nord America ha rappresentato il 48,1% di vendite farmaceutiche mondiali rispetto al 22,2% dell'Europa. Secondo dati Iqvia, il 64,1% delle vendite di nuovi farmaci lanciati nel periodo 2012-2017 sarebbe avvenuto sul mercato statunitense, rispetto al 18,1% del mercato europeo. Stando a quanto riportato da Reuters, un recente studio ha dimostrato che gli investimenti in marketing farmaceutico sarebbero passati da 15,6 miliardi di dollari a 20,3 miliardi: elemento che ha suscitato qualche polemica. Soprattutto negli ultimi mesi, il dibattito politico americano si è concentrato sul fatto che la grande industria farmaceutica stia continuando a tenere alti i prezzi di listino dei medicinali da prescrizione. L'amministrazione Trump in questo senso ha assunto un atteggiamento critico verso le grandi aziende del comparto farmaceutico statunitense. Il dipartimento di Giustizia sta indagando sui sovrapprezzi imposti dalle compagnie farmaceutiche, sospettando la possibilità di pratiche anticoncorrenziali da parte loro. Tutto questo, mentre il dipartimento della Salute si è più volte espresso negli ultimi mesi contro questa situazione, proibendo anche quelle clausole che impedivano alle farmacie di rendere nota ai pazienti la possibilità di ricorrere a medicinali meno costosi. Inoltre, nel 2018, la Casa Bianca ha proposto l'introduzione di una norma che allinei il prezzo di alcuni farmaci a quello degli altri Paesi. Del resto, trattandosi di una questione molto avvertita dall'elettorato, lo stesso Congresso si colloca sostanzialmente su questa linea in modo bipartisan. In un simile contesto, lo scorso gennaio, il senatore socialista del Vermont, Bernie Sanders, ha per esempio avanzato una proposta di legge che ridurrebbe i costi di un elevato numero di medicinali.
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