2023-01-01
Giudice prepara un destino Ilva al petrolchimico di Siracusa
I giudici ordinano di spegnere il depuratore. Coinvolta anche la Isab di Lukoil, che il governo vuole rimettere sul mercato: rischiamo un secondo caso Ilva. Ma almeno ora c’è un decreto che tutela gli impianti strategici. Il depuratore del polo industriale di Siracusa si avvia allo spegnimento. Poco meno di 48 ore fa l’amministratore giudiziario della società che gestisce l’impianto ha diramato una nota alla Regione e a tutte le aziende del polo petrolchimico coinvolte per chiedere il distacco dei motori. Non si tratta di un dettaglio, né di una notizia da relegare ai quotidiani locali interessati alla provincia siciliana. Il sistema di pulizia delle acque reflue, infatti, funziona su un’area che garantisce a oggi lavoro per ben 10.000 persone. Dentro il polo si registrano aziende del calibro di Versalis (Eni), Sasol, Priolo Servizi (Erg ed Eni), Sonatrach raffineria italiana che come dice il nome fa riferimento al colosso algerino, e, infine, la Isab di Priolo di proprietà dei russi di Lukoil, ormai celebre dopo il decreto del governo partorito con l’obiettivo di metterla al riparo dalle sanzioni Usa sul petrolio moscovita e, al tempo stesso, di rimetterla sul mercato. Negli ultimi due mesi hanno bussato al Mimit, il ministero guidato da Adolfo Urso, ben sette fondi interessati a subentrare ai russi. Un mese fa la scelta di nominare un amministratore temporaneo in grado di far valere le nuove norme destinate a proteggere gli asset strategici del Paese. Il nodo è che le norme valgono verso l’esterno e verso aziende private, non è detto che funzionino verso il resto della macchina statale. Il 15 giugno scorso infatti il giudice del tribunale aretuseo ha sequestrato l’impianto per «disastro ambientale». Secondo l’accusa le autorizzazioni non sarebbero state conformi e di conseguenza tra il 2016 e il 2020 sarebbero stati sversati idrocarburi in mare. A luglio la Regione rilascia l’Aia, autorizzazione integrata ambientale, con l’obiettivo di consentire i lavori di bonifica e al tempo stesso le attività quotidiane. La situazione non migliora in alcun modo, l’Aia viene sospesa. Così lo scorso 23 dicembre i giudici segnalano all’amministratore giudiziaria di «avviare le operazioni di interruzione dei conferimenti». Significa spegnere la fiamma delle attività in attesa del 17 gennaio quando ben tre periti si troveranno per l’incidente probatorio. L’esito tiene sulle spine non solo chi ci lavora, ma anche i dipendenti delle altre aziende, oltre che la politica siciliana. «La vicenda del depuratore di Siracusa, sotto sequestro, è tra le questioni prioritarie del governo. La situazione», ha dichiarato ai giornali locali il presidente della Regione Renato Schifani, «è delicata e stiamo affrontando il problema con grande serietà. Siamo pronti», ha concluso «anche a investire economicamente per rimuovere le anomalie nell’interesse della collettività ed evitare il blocco del funzionamento del depuratore di Siracusa che sarebbe un grande danno per il comparto produttivo della Sicilia orientale». Insomma, non è difficile immaginare il panorama giudiziario che si sta prospettando e la terribile assonanza con quanto è successo a Taranto a partire dal 2012 quando l’impianto dell’Ilva finì sotto la scure della magistratura. Anche lì sequestri, autorizzazioni integrate e 12 anni di tira e molla giudiziari aggravati da interventi politici sciagurati (vedi la sparizione dello scudo penale per opera dei grillini) fino alla scelta di un partner industriale che non ha aiutato - per usare un eufemismo - il rilancio dell’acciaio italiano. Da un lato ci auguriamo che gli errori commessi a più riprese a Taranto siano di esempio su quanto si sta abbattendo su Priolo e Siracusa. Le ultime mosse del governo per il rilancio dell’ex Ilva lasciano ben sperare. Parliamo della reintroduzione, via decreto, dello scudo penale per agevolare interventi di aumento di capitale e al tempo stesso l’introduzione di uno schema che mira a proteggere le attività sensibili per la sicurezza dello Stato. Nel decreto approvato tre giorni fa si legge che «le sanzioni interdittive non possono essere applicate quando pregiudicano la continuità dell’attività svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale se l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi». Scorrendo ulteriormente il testo si legge anche che «il modello organizzativo si considera sempre idoneo a prevenire reati se nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale sono stati adottati provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso modelli organizzativi, il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente». In pratica, la scelta guidata da Urso punta a superare la dicotomia che ha inchiodato Taranto per anni. Lì i magistrati hanno imposto un aut aut. O la salute o il lavoro. Nonostante sia la Costituzione sia chi ha a cuore la stabilità dello Stato sostengano l’esatto opposto. vedremo che cosa accadrà il 17 gennaio e se si troverà un sano equilibrio.Purtroppo l’esperienza insegna che non basta un decreto per sbrogliare la matassa. O per incentivare fondi stranieri, terrorizzati dalla magistratura, a investire a casa nostra.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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