2020-10-08
Pescatori italiani a processo in Libia. «Non è vero che hanno telefonato»
L'armatore smentisce Bengasi: nessuna chiamata a casa. Prosegue il ricatto di Khalifa Haftar. Sono più di cinque settimane che i 18 pescatori italiani di due imbarcazioni di Mazara del Vallo (Trapani), l'Antartide e la Medinea, sono trattenuti a Bengasi degli uomini fedeli al maresciallo Khalifa Haftar. Mentre governo, diplomazia e servizi segreti italiani stanno lavorando per riportarli a casa al più presto, di loro - fermati il primo settembre e dall'8 trattenuti in stato di fermo in un centro della polizia di Bengasi - non si hanno più notizie da diversi giorni: né una telefonata né una fotografia.Ieri Federico D'Incà, ministro dei Rapporti per il Parlamento, ha dichiarato in aula che le indiscrezioni di stampa su presunte richieste di scambio dei pescatori italiani fermati in Libia con quattro cittadini libici condannati in via definitiva in Italia per traffico di esseri umani «restano, a oggi, né confermate né in alcun modo formalizzate». Il ministro pentastellato, sottolineando che il ritorno dei pescatori «è una priorità assoluta per il governo in tutte le sue articolazioni», ha spiegato che «pur in assenza di capi d'accusa formali, l'intervento libico appare collegato alla presunta violazione della zona di pesca protetta». Si tratta di un'area che la Libia rivendica unilateralmente come suo territorio, precisamente sua zona militare. Ed è per questa ragione che le autorità militari di Bengasi hanno passato il caso alla Procura militare. Il processo dovrebbe iniziare il 20 ottobre ma nessuno dei marittimi ha avuto la possibilità di nominare un legale di fiducia. Anzi, potrebbero essere difesi da un avvocato d'ufficio indicato dalla stessa Procura militare di Bengasi. Ciò accadrebbe nel caso in cui il governo italiano non dovesse nominare un proprio rappresentante legale. È quanto ha riferito ad Agenzia Nova una fonte vicina alla Procura militare di Bengasi, indicando che i pescatori sono ancora sottoposti a custodia cautelare in attesa dell'avvio del processo. La stessa fonte ha aggiunto che lunedì sera, il 5 ottobre, i pescatori avrebbero contattato le famiglie in Italia. Circostanza che Marco Marrone, armatore del Medinea, raggiunto telefonicamente dalla Verità, ieri ha negato con decisione. Lo stesso Marrone ha ribadito che non è ancora stata ufficializzata l'accusa nei confronti dei pescatori.Checché ne dica il governo, «è un fatto» che i 18 pescatori vengano «utilizzati» da Haftar. È quanto sostiene l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della Marina militare dal 2013 al 2016. L'obiettivo dell'uomo forte della Cireinaica? «Mettere sotto scacco l'Italia e portare avanti un vero e proprio ricatto», ha scritto l'ammiraglio sul suo blog indicando quanto dichiarato nei giorni scorsi dal generale Khaled al Mahjoub, uomo molto vicino ad Haftar, all'Agenzia Nova: «Il comandante Haftar rifiuta di rilasciare i pescatori italiani detenuti a Bengasi prima di liberare i giovani libici», cioè quei quattro condannati per traffico di esseri umani in Italia che Bengasi ritiene calciatori fuggiti in cerca di fortuna.In crisi di consensi, Haftar sta usando l'Italia, continua l'ammiraglio De Giorgi, per riconquistare la fiducia della popolazione facendosi consegnare i quattro calciatori «ed essere così riconosciuto dai connazionali come l'unico vero leader che è nella condizione di poterne garantire la sicurezza e difenderne gli interessi». L'Italia è l'anello debole in Libia e nel Mediterraneo, aggiunge l'ex capo di stato maggiore della Marina. Per quanto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio «abbia rassicurato, a parole, sull'alacre e continuo lavoro per riportare i pescatori in Italia (…) nella prassi sembra che non si stia smuovendo assolutamente nulla», conclude De Giorgi. Che punta il dito contro l'atteggiamento italiano («attendista, tentennante, ambiguo e vago») e avverte: «Abbiamo molto da perdere, non solo la faccia, ma soprattutto la vita di 18 persone».
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.