2019-10-17
Perquisiti i manager dei controlli al Morandi
Finanzieri a casa d iAntonino Galatà, ex ad della Spea, la società che controllava le condizioni di piloni e viadotti. Secondo le accuse le valutazioni positive sulla sicurezza venivano effettuate senza fare neanche «controlli visivi». Invece i tiranti erano corrosi. Per tutta la giornata di ieri gli investigatori del Primo gruppo della guardia di finanza di Genova hanno cercato le comunicazioni originali dei report trimestrali realizzati con lo stampino: quelli con lo stesso voto (50, una sufficienza stiracchiata) e le medesime motivazioni, assegnati a piloni e cassoni di nove viadotti sparsi per l'Italia. L'inchiesta sul crollo del Ponte Morandi e sulle relazioni tecniche taroccate punta su Antonino Galatà, fino a un mese fa amministratore delegato di Spea, la società gemella di Autostrade delegata al monitoraggio della rete autostradale, perquisito su disposizione della Procura. I finanzieri si sono presentati all'alba con un mandato ben preciso: setacciare l'abitazione romana dell'ex manager e i suoi uffici capitolini alla ricerca del riscontro documentale sui report sospetti, ma anche di comunicazioni con gli uffici e direttive. Galatà, che è indagato in entrambe le inchieste su Autostrade e Spea, e che era già stato sentito in Procura un anno fa, potrebbe aver archiviato, sospettano gli investigatori, documenti di rilevante importanza per le indagini. Contemporaneamente, a Genova, i militari si sono presentati nella sede locale di Spea e a casa di un altro indagato: Marco Vezil (responsabile delle verifiche tecniche di transitabilità e dei trasporti eccezionali). Il suo nome, saltato fuori già nell'indagine sul Ponte Morandi, compare anche nell'ordinanza che lo scorso 13 settembre ha portato all'arresto di tre dipendenti di Aspi e Spea e alla sospensione dal servizio e dall'attività professionale per 12 mesi di altri sei indagati per le ipotizzate pressioni esercitate anche sul viadotto Costa (Celle Ligure, A10) che, stando alle informazioni inviate dai funzionari di Spea, non poteva essere riaperto a due corsie. Vezil, emerge dall'ordinanza, dopo aver letto le relazioni, si infuriò con i suoi sottoposti che, annotarono gli investigatori, «lo stavano mettendo in difficoltà con i suoi superiori». Ma ciò che ha insospettito gli investigatori sono soprattutto le valutazioni sui cassoni. E anche Vezil potrebbe aver conservato documenti utili all'inchiesta. Le altre visite gli investigatori le hanno fatte a casa del geometra Antonino Valenti, e in quella di Serena Alemanni, la responsabile dell'Ufficio tecnico per la sicurezza. È proprio su quest'ultima che si erano concentrati i finanzieri in un'informativa: nell'ultima relazione trimestrale prima del crollo, datata 6 luglio 2018 e firmata dall'ingegnere Alemanni, ricostruiscono gli investigatori, viene confermato «in merito ai cassoni» e all'impalcato il voto «massimo» di 50 e si legge che i «cassoni appartenenti alle pile a “V", anch'essi assai precompressi, presentano i cavi con andamento obliquo fortemente ossidati». Per i finanzieri, però, quel report è farlocco. E lo censurano così nel documento giudiziario mandata in Procura: «Nel rapporto d'ispezione, nella relazione trimestrale e nella lettera di trasmissione non vi è alcun riferimento al fatto che le ispezioni nei cassoni dell'impalcato del viadotto Polcevera non erano state effettuate e che il voto 50, afferente ai cavi obliqui riscontrati corrosi all'interno dei cassoni, veniva confermato senza effettuare neanche un minimo controllo visivo». Le contestazioni contenute nel capo d'imputazione provvisorio (il reato ipotizzato è falso commesso da pubblico ufficiale) partono dal 2014. È da allora che nei report sulle condizioni dei viadotti compaiono sempre gli stessi punteggi, con delle motivazioni quasi ciclostilate. Soprattutto per quanto riguarda i cassoni. I finanzieri hanno riscontrato gli stessi criteri di valutazione per i viadotti liguri Pecetti e Gargassa, sulla A26; per il Sei Luci, sulla bretella che collega la A7 alla A10, i ponti Bisagno e il Veilino, sulla A12. Poi il Teiro, a Varazze. Ma anche per il viadotto Paolillo, sulla A16 Napoli-Canosa, per il Moro, sulla A14 Bologna-Bari, all'altezza di Ortona, e per il Sarno, sulla A30 Caserta-Salerno. Verifiche sul campo, insomma, come confermato nei mesi scorsi dalle testimonianze di alcuni tecnici e come anticipato a settembre dalla Verità, non ne venivano fatte da almeno cinque anni, per diversi motivi. Per esempio c'erano problemi con le botole d'ingresso ai cassoni e Spea stava aggiornando le procedure di accesso dopo alcune novità normative in tema di sicurezza sul lavoro. Senza buttare un occhio all'interno, quindi, i cassoni si beccavano un bel 50. Che ovviamente era falso. E, così, le informazioni arrivate in Procura si sono trasformate in nuove ipotesi investigative: gli indagati non solo avrebbero edulcorato le relazioni, ma addirittura sembra che abbiano assegnato voti a casaccio. E senza aver mai effettuato i controlli.