2019-11-27
Perquisiti i finanziatori
della cassaforte di Renzi
Retata in 10 città nelle sedi delle società che hanno dato soldi a fondazione Open. La cassaforte del senatore per i pm era «l'articolazione di un partito». La pista delle carte di credito finite in mano ai parlamentari.La Procura di Firenze potrebbe avere iniziato a scrivere il capitolo finale di quello che è stato il renzismo. Ieri all'alba decine di finanzieri sono entrati nelle case e nelle aziende dei finanziatori di Matteo Renzi. Molti di questi hanno versato soldi alla Open, la fondazione del fu Rottamatore che ha chiuso i battenti nel 2018. L'inchiesta, guidata dal procuratore aggiunto Luca Turco, sembra destinata a dirci molto sull'ascesa e la discesa del Giglio magico. La parola chiave dell'ultimo scorcio d'indagine sulla fondazione Open e sul suo ex presidente, l'avvocato Alberto Bianchi, è «articolazione politica». Ovvero la formula che indica la cinghia di trasmissione tra affari e politica. Grimaldello giudiziario forgiato dai pm di Roma a proposito di un'altra fondazione - l'Associazione Più Voci - del tesoriere leghista Giulio Centemero, accusato di aver incassato un finanziamento occulto di 250.000 euro dall'imprenditore Luca Parnasi, entrambi indagati. Com'è indagato (finanziamento illecito) anche un altro big della galassia renziana, l'ex tesoriere del Pd Francesco Bonifazi per un finanziamento da 150.000 euro, proveniente sempre da Parnasi, «camuffato» da studio immobiliare.I magistrati di Firenze, che evidentemente hanno seguito la rotta aperta dai colleghi capitolini, ritengono che le fondazioni, assai più libere in tema di trasparenza, abbiano ormai assunto il ruolo di casseforti della politica. Per questo, scrivono nel decreto di perquisizione a carico di Bianchi di «significativi intrecci tra prestazioni professionali» rese dal professionista fiorentino e dai suoi collaboratori e «finanziamenti alla fondazione Open». In quest'ottica, la creatura renziana, che ha promosso e organizzato anche le varie edizioni della Leopolda, «ha agito da “articolazione" di partito politico» in relazione alle «“primarie" dell'anno 2012, al comitato per Matteo Renzi segretario» e «alle ricevute di versamento da parlamentari». I finanzieri, che ieri sono entrati in azione perquisendo, in dieci città (Firenze, Milano, Modena, Torino, Bari, Alessandria, Pistoia, Roma, Napoli, Palermo) anche i finanziatori di Open (non indagati, a quanto risulta), sono andati a caccia di bancomat e carte di credito messe a disposizione dei parlamentari. Il che rende praticamente inevitabile la contestazione del finanziamento illecito e, in prospettiva, ma solo per i politici, anche l'appropriazione indebita (e non il peculato, perché quelli della Open non sono soldi pubblici) se gli inquirenti constateranno che per esempio le carte di credito sono state utilizzate per effettuare spese personali, non collegate con la politica. Una sentenza dei giudici di Genova è arrivata d'altronde a considerare peculato anche le cene dei politici come nel caso dell'ex viceministro leghista Edoardo Rixi, condannato a tre anni e cinque mesi. Il respiro investigativo è però molto più ampio: gli inquirenti sospettano che l'avvocato Bianchi sia stato pagato dagli aspiranti finanziatori per prestazioni professionali che in realtà mascheravano una dazione di denaro. Come nel caso dei 3,9 milioni di euro di parcelle liquidate dal gruppo Toto nel 2016 che in parte (400.000 euro) sono confluiti sui conti correnti della Open e del Comitato per il sì al referendum. Secondo quanto risulta alla Verità, ieri i finanzieri hanno bussato alla porta anche della Aurelia srl di Tortona, società della famiglia Gavio che, col gruppo Toto, condivide il business della gestione delle reti autostradali (il viadotto Torino-Savona, crollato l'altro giorno, è di sua competenza). Presidente della holding - che conta un capitale sociale di 20 milioni di euro - è Beniamino Gavio e il cugino Marcello Gavio vicepresidente. Una traccia del rapporto tra gli imprenditori di Alessandria e il mondo renziano emergeva peraltro già dall'indagine Grandi opere attraverso il professor Maurizio Maresca, ordinario di diritto internazionale a Udine ed ex «consigliere della presidenza del Consiglio in materia giuridico-economica» (Renzi premier) e consulente occulto proprio dei Gavio. Intercettato (ma non indagato), Maresca diceva: «Fino a oggi noi abbiamo avuto mandato da Gavio a fare i suoi interessi… e questo va benissimo…ma in una logica di collaborazione con lo Stato… se adesso noi… cosa facciamo?.. a parte che non ce lo chiedono…non ce lo hanno nemmeno chiesto… ». Maresca faceva parte anche della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture che intendeva rinegoziare le fin troppo favorevoli condizioni delle concessioni autostradali. Maresca venne intercettato anche prima e dopo un incontro con Bianchi (definito con Fabrizio Palenzona «l'amico nostro»). Ad aprile 2018, la Sias (Società iniziative autostradali e servizi) dei Gavio otterrà la proroga della concessione fino al 2030 con Gentiloni premier, mentre un anno prima era stato approvato un emendamento a favore dei Toto.Torniamo al cuore delle operazioni di ieri che hanno visto perquisito per la seconda volta Bianchi, ma non il gruppo Toto né Patrizio Donnini, altro renziano doc che avrebbe ottenuto dagli imprenditori abruzzesi 4,3 milioni di euro. Donnini è indagato insieme a lady Leopolda, Lilian Mammoliti, sua socia nella Dot media, per appropriazione indebita e autoriciclaggio, tra l'altro, per una plusvalenza da 950.000 euro realizzata proprio con Toto. In totale, le perquisizioni sono state una ventina e hanno riguardato anche un commercialista fiorentino e una decina di imprenditori legati da rapporti di tipo finanziario con un consigliere della fondazione Open che nel Cda aveva Maria Elena Boschi, Marco Carrai e Luca Lotti, e che tra il 2012 e il 2017 ha raccolto circa 6,7 milioni di euro. Tra le società finite nel mirino dei pm, oltre alla cassaforte della famiglia Gavio, c'è anche la Menarini di Firenze (farmaceutica): sono stati sottoposti a controlli minuziosi sia gli uffici dell'azienda che le abitazioni dei fratelli Alberto Giovanni, Lucia e Benedetta Aleotti (anche a Lerici, in provincia della Spezia). Le Fiamme gialle hanno perquisito anche la Pizzarotti di Parma (costruzioni), la Getra di Marcianise (società elettrica della famiglia Zigon, visitata da Renzi nel 2016) e anche la holding che fa riferimento all'imprenditore napoletano Alfredo Romeo, imputato nel processo Consip e finanziatore della prima ora, con la stessa Isvafim, di Matteo Renzi. Nel 2013, travolto dalle polemiche, l'ex premier restituì i 60.000 euro che l'immobiliarista aveva versato al suo comitato per le primarie contro Pier Luigi Bersani perché, all'epoca, Romeo era stato da poco condannato per corruzione. Romeo da poche settimane è anche editore del redivivo quotidiano Il Riformista che annovera tra i suoi editorialisti proprio la Boschi.Il camuffamento dei pagamenti con causali professionali potrebbe portare a un'ulteriore grave contestazione: la fatturazione per prestazioni inesistenti. Un reato per cui i genitori di Matteo Renzi, Tiziano e Laura, sono stati condannati a 1 anno e 9 mesi lo scorso 7 ottobre. Ma allora erano in gioco 195.200 euro, qui stiamo parlando di milioni.I petali del Giglio magico ci risulta che siano molto preoccupati. Sembra che la Boschi e Bonifazi abbiano negato di aver usufruito delle carte di credito. Ma allora chi erano i parlamentari che se ne servivano? Non è chiaro, anche se non è difficile pensare a Matteo Renzi che nel 2017 ha dichiarato 29.000 euro di reddito.«Rinnovo la mia piena collaborazione con la magistratura affinché sia fatta chiarezza prima possibile sull'indagine che mi riguarda», ha detto Bianchi. «Tutte le entrate e le uscite della fondazione Open sono tracciabili, perché avvenute con bonifico, carte di credito... È stato fatto tutto alla luce del sole. Messo nero su bianco». Resta però la circostanza che la seconda perquisizione di ieri è avvenuta anche sulla base delle informative depositate tra settembre e novembre, subito dopo la precedente acquisizione di carte e documenti che, evidentemente, devono aver offerto degli spunti investigativi d'interesse.Ma il problema vero è che se risulterà che qualche politico abbia usufruito del denaro della fondazione e poi abbia compito qualche atto a favore dei finanziatori, allora si configurerebbe il più grave reato di corruzione. E allora la storia cambierà del tutto.
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