2019-10-03
La toga comunista
che difende la figlia Br col sussidio di Stato
Il racconto di Luciano Violante: il padre della brigatista era controverso anche fra i magistrati. Scarcerò il Canaro e difese Abdullah Ocalan. Il suo nome era in una nota di Potere operaio per «impostare politicamente» i processi.La voce è fredda. «Parlo con tutti salvo che con quelli con cui ritengo esserci una incompatibilità umana ed etica». Pausa. «Con La Verità io sento di avere questa incompatibilità». E, poco prima di concludere la telefonata con il cronista, aggiunge: «Lasciamo raffreddare le cose, ma credo che ci sia già parecchia materia perché io possa fare qualcosa di legale nei riguardi della Verità». Luigi Saraceni si prepara così alla guerra contro il nostro giornale per aver svelato che la figlia brigatista Federica, condannata a 21 anni nel processo per l'omicidio di Massimo D'Antona, percepisce il reddito di cittadinanza. Saraceni non ritiene di rispondere alle nostre domande malgrado abbia tranquillamente chiacchierato con due emittenti radiofoniche, in questi giorni, per invocare - da bravo avvocato - la clemenza della corte.A Radio24 ha detto: «Mia figlia ha commesso il più grave dei reati possibile: ma cosa ne facciamo di una persona che ha commesso questo reato? La buttiamo nella discarica? La mandiamo a fare la prostituta? Mia figlia dice una cosa: datemi un lavoro e rinuncio al reddito di cittadinanza». E ancora: «L'attacco a mia figlia parte dalla destra becera e reazionaria di cui è espressione quel giornale (la Verità, ndr), e purtroppo la sinistra si accoda, perché la destra specula sulle emozioni e sui sentimenti e la sinistra non è mai capace di una propria autonomia».È probabilmente la sinistra degli anni Sessanta e Settanta quella che ha in mente Saraceni, prima magistrato poi penalista e parlamentare con il Pds e i Verdi. Una vita sotto i riflettori, e non solo per aver contribuito a fondare la corrente di Magistratura democratica. Nel 1989 da giudice del tribunale della libertà di Roma divenne famoso per aver scarcerato, seppur per una settimana, er Canaro, alias Pietro De Negri, il commerciante che uccise e vivisezionò un ex pugile della Magliana. Ancor prima citò in giudizio Giorgio Almirante e il Secolo d'Italia per averlo chiamato «toga rossa». Nel 1994 decise di cambiare toga. Divenne legale di Carlo De Benedetti nel processo per il crac del Banco Ambrosiano, e della famiglia Berlinguer. E seguì le inchieste a carico di Marwan Barghouti, il braccio armato di Al Fatah, e di Abdullah Ocalan, il capo dei terroristi curdi. Ultragarantista tranne che in un'occasione, il papà della brigatista. Nel 1997, minacciò di dimettersi dall'Aula perché la Camera aveva respinto la richiesta di processare Paolo Cirino Pomicino. La politica, un destino. Suo padre Silvio Saraceni, anarcostalinista nella Calabria di inizio Novecento, fu per un anno «sindaco» di Castrovillari dove, nel 1944, proclamò una specie di «repubblica» autonoma per aprire i granai alla popolazione. Nella sua autobiografia Un secolo e poco più, l'avvocato Saraceni ha raccontato il rapporto complicato con la figlia oggi ai domiciliari con accredito mensile di 623 euro. E si è chiesto: «Ho sbagliato? Avrei dovuto incatenarla?». L'unica risposta che è riuscito a darsi è stata: «So che esiste l'errore giudiziario, che è la verità che sopravvive al giudicato».C'è un episodio che risale al 1980 e che lo vide protagonista di una furibonda polemica con l'allora senatore Dc Claudio Vitalone. Il quale, in un'interrogazione parlamentare, rivelò che i nomi di Saraceni e di altri pm romani comparivano in un documento sequestrato dalla Digos nella sede di Potere operaio, ben otto anni prima, il 16 marzo 1972, e mai approfondito né dalla Procura né dal Csm. Nella interrogazione si affermava che «tali collegamenti erano finalizzati alla “impostazione politica di alcuni processi e, quindi, alla strumentalizzazione, per scopi delittuosi, della funzione giudiziaria esercitata dai predetti magistrati"». Nel testo incriminato accanto ai nomi e ai numeri di telefono dei pm, figuravano appunti come «ok», oppure frasi come «riunione con i magistrati per impostare politicamente i processi sui fascisti» e ancora «soldi per soccorso rosso». In quelle settimane, all'Europeo, Saraceni ribadì la necessità di «spezzare definitivamente questa contiguità con il terrorismo» sottolineando però che «del resto la gente che ha una contiguità con il terrorismo è tanta». «C'è tutto il '68, c'è tutta la sinistra extraparlamentare, c'è la storia di molti di noi e io non mi sento escluso».Il suo credo politico gli ha procurato qualche diffidenza pure tra i colleghi. «Md era spaccata al suo interno», ha ricordato Luciano Violante in un'intervista al Foglio «e c'era una componente movimentista, esagitata, che corrispondeva al cosiddetto gruppo romano e considerava il brigatismo rosso come una montatura a opera di apparati dello Stato. Questa fazione, anti Pci, faceva capo a Saraceni, padre di una terrorista. Poi ce n'era invece un'altra che simpatizzava per il partito di Botteghe oscure».Sempre in radio, l'avvocato ha voluto specificare che «in questi 15 anni mia figlia è stata aiutata dalla famiglia». «Ora è arrivato un piccolo contributo, che è veramente piccolo rispetto alle sue esigenze». Esigenze di cui, evidentemente, deve farsi carico il contribuente italiano nonostante una situazione patrimoniale non certo difficile per Saraceni considerati i circa 5.000 euro al mese di pensione da magistrato e i 700/800 euro del vitalizio da parlamentare. Per lui però oggi il tema del contendere è un altro. «Tra l'altro ci sarebbe un piccolo problemino. La percezione del reddito di cittadinanza è tutelata dalla privacy ed è tutto tracciabile, per cui volendo l'Inps può indagare per sapere chi ha passato a quel giornale quella notizia». Appunto, non un'informazione qualunque ma una notizia.
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Margherita Agnelli (Ansa)