2024-07-31
Per le ostetriche arriva un test pro trans
Dopo il caso dei corsi a favore dei temi Lgbt, agli addetti ai lavori è stato mandato un questionario legato a una tesi di laurea sui capisaldi woke. I quesiti: «Sa che alcuni uomini possono partorire?» e «Ha mai chiesto a un assistito che pronomi usare?».George Orwell diceva che «in tempi di menzogna universale dire la verità è un atto rivoluzionario». Una frase arcinota e senz’altro abusata, ma che in questo caso calza davvero a pennello. Siamo nuovamente nel mondo delle ostetriche, non per una fissazione della Verità, ma perché al suo interno stanno evidentemente agendo delle forze per aprire questa professione sanitaria alla post modernità woke. Tra le addette (e gli addetti) ai lavori negli ultimi giorni gira un questionario elaborato da un laureando - una ricerca condotta per redigere la tesi di laurea - al fine di valutare le «Conoscenze e competenze del personale ostetrico nei confronti dell’utenza transgender». Fin qui nulla di particolarmente strano, almeno nella misura in cui si trattasse di saggiare le differenti posizioni e sensibilità degli esperti in materia. Tuttavia, se si vanno a spulciare le domande, l’approccio è piuttosto quello di un’esposizione di dati di fatto. Fino ad arrivare all’assurdo dell’undicesima domanda: «È a conoscenza del fatto che alcuni uomini possano partorire?».Sarebbe superfluo andare a mostrare le fallacie logiche interne a un simile quesito, perché vorrebbe dire accettare il loro perimetro di gioco. Basti notare che se la transizione comporta - come i suoi fautori vorrebbero - un effettivo cambio di sesso, la definizione della partoriente sarebbe oggetto di un interessante quanto sterile dibattito. Quel che è interessante evidenziare, invece, è che il questionario sui pazienti trans viene da un’importante università del Nord Italia e alle spalle ha sicuramente una relatrice (o un relatore), quindi un’ostetrica (o un ostetrico), che l’ha approvato e promosso tra i colleghi, tant’è che è girato in gruppi Whatsapp di soli addetti ai lavori. Forse che, anche in Italia, vi siano movimenti per normalizzare le transizioni e obbligare le ostetriche a formarsi in tal senso, qualora le indagini facessero emergere un deficit di preparazione? Un dubbio più che legittimo, visto che qualche settimana fa raccontavamo dell’invito della presidente dell’Ordine interprovinciale delle ostetriche di Bergamo, Cremona, Lodi, Milano e Monza-Brianza, rivolto alle colleghe che si erano opposte allì’adesione al Pride, a partecipare a corsi di formazione transgender erogati dall’Iss.Le domande del modulo, come detto, sono poste come un’interrogazione per verificare la conoscenza di dati di fatto, non certo di dibatti in corso. La tre e la quattro, per esempio, recitano: «Qual è la definizione di “sesso biologico”?» e «Qual è la definizione di “identità di genere”?». Seguono poi le varie risposte tra cui scegliere, dove naturalmente quella corretta è quella che si rifà alla teoria gender. Per esempio, la risposta giusta, secondo l’ideatore del questionario, alla domanda sull’identità di genere non può che essere la seguente: «Un senso interno di essere maschio, femmina, o qualcos’altro, che può o non può corrispondere al sesso di un individuo assegnato alla nascita o alle caratteristiche sessuali». Nozioni a cui siamo ormai abituati, ma di certo non accettate universalmente. Nella seconda parte del test, a dire il vero, figurano alcune domande per approfondire la sensibilità delle ostetriche sul tema, ma vengono dopo una serie di quesiti che pongono la questione in maniera del tutto assertiva. Significativa, in proposito, la già menzionata domanda 11: «È a conoscenza del fatto che alcuni uomini possano partorire?». Presentare la gravidanza degli uomini come «un fatto» è un’operazione - agli occhi di chi scrive - quantomeno allarmante. A dimostrazione del fatto che la nostra non è una fissazione ideologica, un tentativo di cercare una tendenza laddove non c’è, si aggiunge un secondo questionario (dello stesso tenore) proveniente da un’altra università del Nord Italia. Il nome del modulo è «L’identità sessuale nella pratica ostetrica», e verrà utilizzato per uno studio (sempre a fini di laurea) dal titolo «L’identità sessuale nella pratica ostetrica: esplorazione delle esperienze, conoscenze e bisogni formativi dell* ostetric* (qui al posto degli asterischi ci sarebbero delle schwa, ndr) in Italia, alla luce delle linee guida dell’Iss». La penetrazione del linguaggio woke è già un indice abbastanza significativo, tenuto conto che anche in questo caso c’è necessariamente un relatore alle spalle che ha approvato il lavoro e vuole portare avanti una ricerca «scientifica». Nello specifico, poi, si tratta di una serie di domande volte a sondare il grado di conoscenza del mondo trans da parte delle ostetriche. La 19, per esempio, recita: «Qual è il significato del termine «transgender» (“transgenere”)?». Le risposte possibili sono: «Termine riferito ad una persona che presenta variazioni congenite cromosomiche, gonadiche e/o anatomiche dello sviluppo del sesso»; «Termine riferito ad una persona che ha un’identità e/o un’espressione di genere che non coincide con il sesso assegnato alla nascita»; «Termine riferito ad una persona che ha completato la riassegnazione chirurgica del sesso, per mezzo di un intervento chirurgico in sede genitale»; «Non so». Sono soltanto degli esempi tra i molti che si potevano fare, dove l’obiettivo non è certamente denigrare gli studenti in questione o gli atenei. Qui si va oltre la scienza e si entra dentro un conflitto culturale che chi fa informazione ha il dovere di abitare, sia per affermare la realtà sia per rivendicare la libertà di dire che no, gli uomini non possono partorire.
Era il più veloce di tutti gli altri aeroplani ma anche il più brutto. Il suo segreto? Che era esso stesso un segreto. E lo rimase fino agli anni Settanta