2020-07-11
Per non mollare la poltrona Conte si aggrappa al virus e si conferma i pieni poteri
Il premier annuncia che lo stato d'emergenza sarà prorogato fino al 31 dicembre Anche se i contagi sono sotto controllo, vuole usare il coronavirus per blindarsi.No, non è Viktor Orbán, che per estendere i suoi poteri è comunque passato dal Parlamento ungherese (30 marzo), e poi vi è ritransitato per porre fine alla straordinarietà (16 giugno scorso). Ma si tratta di Giuseppe Conte, che - un'altra volta - tenta di aggrapparsi al virus e di prorogare lo stato d'eccezione. Ci aveva già provato con il decreto Rilancio: in una delle primissime bozze, ben nascosta, c'era la scelta - tutt'altro che neutra, anzi di altissimo impatto politico - di allungare lo stato d'emergenza (teoricamente previsto fino al 31 luglio prossimo) fino al 31 gennaio 2021, di altri sei mesi. Poi, di bozza in bozza (qualcuno scrisse: anche su indicazione del Colle più alto), la discutibile norma sparì. Ora, due mesi dopo quel tentativo di metà maggio, il premier ci riprova: «La proroga dello stato d'emergenza è una decisione collegiale che va presa in Consiglio dei ministri. Faccio solo una riflessione anticipatoria: l'eventuale proroga significa che siamo nella condizione di adottare misure necessarie, anche minimali. Non dovete sorprendervi, se non fosse prolungato non avremmo i mezzi necessari per intervenire, anche su territori circoscritti. Per questo, ci avviamo verso la proroga».La decisione sarebbe clamorosa: non si capisce su quale base scientifica venga assunta. I contagi sono bassissimi, non si ha quasi più notizia di terapie intensive (in tutta Italia si tratta di 65 persone), ed è significativo il numero delle regioni di fatto non toccate o appena sfiorate dal contagio. Tutt'al più, qua e là, ci sono focolai limitati e controllati: ed era esattamente la situazione che si auspicava, praticamente il minimo del rischio. E allora? L'unica spiegazione è tutta politica: anche a costo di dare un altro colpo psicologico all'economia, alla propensione degli italiani ai consumi e al ritorno alla normalità, Conte usa l'emergenza come giubbetto antiproiettile, come protezione per tentare di blindare il suo governo. La cosa è due volte paradossale se si considera la «narrazione» che accompagnò la nascita del Conte bis: e cioè la denuncia della presunta aspirazione salviniana ai «pieni poteri», che in realtà era la richiesta di libere elezioni. Qui invece, senza elezioni, i pieni poteri qualcuno se li è presi e se li proroga per davvero. E lo fa senza passare dal Parlamento. A onor del vero, Maura Tomasi, deputata della Lega e presidente del Comitato per la legislazione, era riuscita a far approvare un ordine del giorno che non solo limitava la possibilità della proroga (legandola a «un riacutizzarsi dell'epidemia» e vincolando il governo «ad accompagnare la comunicazione con elementi tecnico-scientifici a supporto»), ma rendeva necessaria una «preventiva comunicazione alle Camere». Ecco, a quanto pare, non ci sarà nessuna delle tre cose: né il preventivo passaggio in Aula, né una base scientifica, né (per fortuna) un peggioramento della situazione sanitaria. Durissimo Matteo Salvini: «Allungare lo stato d'emergenza fino al 31 dicembre? No grazie. Gli italiani meritano fiducia e rispetto. La libertà non si cancella per decreto». Critica anche Giorgia Meloni, di Fdi: «Mi sembra che ad oggi non ci siano i presupposti per prorogare lo stato di emergenza che, ricordiamo, è uno strumento di cui il governo dispone per fare un po' quello che vuole accelerando dei passaggi che altrimenti avrebbero bisogno di maggiori pesi e contrappesi». Più voci in Forza Italia. Inopinatamente, in prima battuta, era arrivata un'apertura a Conte da Deborah Bergamini: «La proroga dello stato d'emergenza annunciata dal presidente Giuseppe Conte ci appare come una necessità condivisibile», frase a cui la deputata aggiungeva almeno la richiesta di non escludere il Parlamento. Poi a raddrizzare la barca azzurra ha provveduto la capogruppo a Palazzo Madama Annamaria Bernini, che ha definito «irragionevole» la pretesa di Conte: «Invece di pianificare nuovi pieni poteri per sé, il premier si preoccupi di controllare i confini per scongiurare l'arrivo di focolai dall'estero, e di approntare misure in grado di far ripartire l'economia». Qualche flebile voce (più interessata alla forma che alla sostanza, però) si è levata anche nella maggioranza. Per Stefano Ceccanti (Pd), «se il governo vuole prorogare lo stato di emergenza, venga prima in Parlamento a spiegarne le ragioni». Così anche il renziano Marco Di Maio: «Se ci sono le condizioni e la necessità di prorogare lo stato di emergenza, c'è un dovere che il presidente del Consiglio ha prima degli altri: recarsi in Parlamento». Come se il problema, ora, fosse solo una fugace comparsata in Aula di Giuseppi per «rendere edotte» le Camere, come disse qualche mese fa. Va ricordato che la proroga dello stato d'emergenza consente al governo un potere pressoché sconfinato di deroga alle norme vigenti. Ci si dirà che si tratta di mantenere corsie più veloci per l'acquisto delle mascherine o per assicurare l'apertura dell'anno scolastico. Ma in ballo c'è molto di più: il potere di decidere altri lockdown (colpo di grazia finale per l'economia), di disporre altre misure restrittive di vario tipo, magari di continuare a limitare la libertà di riunione (e quindi una piena battaglia politica) senza nemmeno passare dal Parlamento. È la logica dei Dpcm, cioè veri e propri atti amministrativi (si tratta di decreti ministeriali emanati direttamente da Palazzo Chigi) che, diversamente dai decreti legge, non sono sottoposti né alla conversione parlamentare, né alla firma del Capo dello Stato. Deriva inquietante, e colpo di coda finale di un governo fragile ma paradossalmente ancora più pericoloso. Che non vuole il ritorno alla normalità, ma cerca di perpetuare l'emergenza per anestetizzare il conflitto politico.