2020-09-20
«Per imparare a vestirsi meglio, i grandi sarti di tanti stilisti di grido»
Franz Botré, direttore di «Arbiter», ha appena organizzato «Milano su misura», evento dedicato all'artigianalità: «L'eleganza è anche educazione».Olga Berluti, maître bottier, gli faceva le scarpe su misura. Per amicizia, per stima, per soddisfare entrambi la voglia di bello. Franz Botré aveva questa fortuna: un rapporto speciale con la donna che aveva creato il Club Swan, uno dei più esclusivi al mondo. «Andavo a trovarla», racconta l'editore e direttore di Arbiter, giornale di piaceri e virtù maschili, «e ho sue scarpe che studiava e confezionava appositamente per me». Personalità politiche, dell'economia, dello spettacolo, dell'arte, della cultura a livello mondiale si vantano di appartenere a questa regale voliera di pavoni. Un mondo speciale che trova terreno fertile anche in Italia e che grazie a Botré, con la sua prestigiosa rivista, trova un modo d'essere fuori dagli schemi. Basta pensare alla due giorni organizzata da Arbiter con Milano su misura, dove sono stati riuniti 36 sarti di tutto il Paese che si sono contesi il Trofeo Arbiter.Direttore, ci racconti di queste 48 ore dove si è visto il meglio dell'eleganza maschile.«Chiamiamolo un ritorno alle origini. Perché tutto questo Arbiter nel 1952 l'aveva già creato. Venne fatto per esaltare il gusto e lo stile italiano. All'epoca non c'era la confezione ma solo i sarti».Che tipo di giornale era Arbiter?«Nasce nel 1935 e chiude nel 1982. Benito Mussolini lancia la moda italiana perché all'estero parlavano tutti solo di stile inglese e francese e nessuno si occupava di noi. Nel 1936 organizza a Roma la prima fiera della drapperia italiana e invita tutti i produttori di tessuti dell'epoca, i sarti, gli artisti, gli architetti per confrontarsi e creare la nuova moda italiana. Lui scelse il nome Arbiter perché legato a Tacito che, racconta Petronio, era il senatore più elegante dell'Impero romano».Quando diventa editore e direttore di Arbiter?«Nel 1980 lavoravo a Gente Viaggi come grafico con direttore Alberto Orefice, che divenne direttore anche di Arbiter. Il cambiamento fu totale e Orefice mi coinvolse. Ma con l'arrivo massiccio degli stilisti Arbiter, che parlava di sarti, non aveva più senso. La sartoria si era rintanata e non c'era la possibilità di fare un giornale. Dalla costola di Arbiter è nato Piacere nel 1984. Quando mi sono reso indipendente , ho fondato Monsieur avendo sempre nel cuore Arbiter. Si parlava di moda, sartoria, artigianalità italiana su una rivista dal nome francese. Non stava più in piedi. E ho iniziato a ricercare Arbiter. Ci sono state varie le vicissitudini fino al 2015 quando Arbiter è ripartito con l'intenzione di far rivivere la manifestazione del 1952».Come è stato organizzato Milano su misura?«Mi sono staccato dal quadrilatero della moda, perché questa non è moda ma artigianato. Ho scelto la nuova zona di Milano che va dall'Hotel Principe di Savoia a piazza Gae Aulenti dove è tutto nuovo, dal Bosco verticale al ristorante Berton. I valori del passato nella contemporaneità. Ho radunato 36 sarti da tutta Italia. Ci sono stati i premi ma il mio obiettivo non era trovare il sarto più bravo, mi interessava riprendere il vero gusto, lo stile e l'eleganza italiana perché lasciarla nelle mani di questi “scappati di casa" degli stilisti non è possibile. Hanno piano piano sconvolto il sistema del sapere e del comportamento. Voglio tornare alle origini di chi sa fare, del vero artigiano. Tutti i sarti che ho sentito parlano di un solo stilista che stimano totalmente ed è Giorgio Armani. Tutto il resto è un assemblaggio di nulla, pensano di fare sartoria napoletana perché disegnano la giacca corta e stretta in vita. Sono solo dei pasticci».Torniamo ai sarti, alcuni sono dei veri maestri.«È proprio così. Abbiamo dato loro delle stoffe che hanno scelto nell'ultima collezione di Loro Piana. Hanno fatto la prima prova, la commissione l'ha analizzata, gli abbiamo rimandato i capi e li hanno finiti. Sulla passerella sono stati indossati da modelli speciali, i loro clienti che poi li porteranno davvero».La giuria è stata tutta maschile. Nessuna donna può essere in grado di giudicare il lavoro di un sarto da uomo?«Esteticamente sì, però solo un uomo può capire cosa è un abito e perché lo indossa. Comunque hanno sfilato anche tre sarte».La sartoria è sinonimo di buona educazione?«Assolutamente sì, si costruiscono uomini, non solo abiti. Sono i genitori stessi che scimmiottano il modo di vestire dei giovani figli. Una omologazione di vita e di scelte perché non c'è cultura. Portano pantaloni strettissimi e corti, senza calze. Il peggio lo danno durante il week end con la camicia fuori, scarpe da tennis, felpe. Non c'è più rispetto».Lei non pensa che questi uomini così attenti al vestire siano fuori dal tempo che stiamo vivendo?«È un modo particolare di affrontare la vita. Parliamo di un uomo tradizionale, conservatore. È un particolare approccio al quotidiano. Il concetto è: l'abito è un investimento. È inutile comperare cinque paia di scarpe e cinque giacche fatte male che dopo un anno sono da buttare. Le vedi le cose da poco. Le mie scarpe hanno 25 anni, ma le usa anche mio figlio. Diciamo che l'uomo ha un atteggiamento diverso verso la moda rispetto alla donna. L'usa e getta non va più, lo dice anche Armani. Si arriva alla maniacalità perché tanti uomini fanno collezionismo ed è un modo d'essere tipicamente maschile».Se dovesse dare un consiglio a un giovane che vuole approcciarsi al vostro modo di vestire, cosa gli direbbe?«Di essere sempre sé stesso e di non seguire le orde barbariche, di crearsi un proprio stile e non omologarsi. Quando ho iniziato non andavo dai sarti, ho fatto vari passaggi. La differenza la fa la cultura e come vuoi distinguerti. È più facile affidarsi a uno stilista o a un brand. Un ragazzo dovrebbe partire con un blazer, una giacca valutando davanti allo specchio se va meglio a due, tre bottoni, o doppio petto rispetto alla sua corporatura. Tre anni fa sono stato invitato a parlare in Bocconi agli studenti di come vestirsi. Ancora adesso alcuni mi scrivono per chiedermi consigli. Un giovane, Simone Botta, all'interno dell'università ha creato un club Arbiter con serate a tema». Cosa non ci deve essere nell'armadio?«Detesto le cosiddette mutande da piede, i fantasmini. Mode che nascono da un mondo provocatorio. Vedi gente che va ai matrimoni senza calze. Patetici. La cosa peggiore è stato vedere certi personaggi nei collegamenti alla televisione durante il lockdown trasandati, con i capelli non lavati, la barba non fatta. Sta diventando un problema che tocca anche le donne. Abbiamo appiattito tutto in nome della comodità. Per me è un piacere andare davanti all'armadio a scegliere tra le mie 600 cravatte».
La commemorazione di Charlie Kirk in consiglio comunale a Genova. Nel riquadro, Claudio Chiarotti (Ansa)
Il food è ormai da tempo uno dei settori più di tendenza. Ma ha anche dei lati oscuri, che impattano sui consumatori. Qualche consiglio per evitarli.
Charlie Kirk (Getty Images)
Carlo III e Donald Trump a Londra (Ansa)