2019-06-20
Per il M5s non c’è più l’amico americano. Cina, Venezuela e F35 i temi della discordia
La luna di miele tra grillini e vertici statunitensi è terminata. Su tanti dossier Washington sa di potersi fidare solo della Lega.Il recente viaggio di Matteo Salvini a Washington ha avuto il primario obiettivo di accreditare la Lega come la forza politica principalmente atlantica dell'attuale maggioranza gialloblu. Un modo, da parte del ministro dell'Interno, per sottolineare le numerose convergenze politiche con gli Stati Uniti, soprattutto nelle attuali fasi di tensione con la Commissione europea. Una serie di convergenze che, sul fronte americano, stanno lasciando il Movimento 5 stelle sempre più in ombra. E non da oggi.I rapporti tra i grillini e lo Zio Sam sono sempre apparsi un po' altalenanti. Tuttavia, c'è stato un periodo, in cui le relazioni risultavano particolarmente cordiali. Nel marzo del 2013, l'allora ambasciatore statunitense in Italia, David Thorne, aveva proferito parole di elogio nei loro confronti. «Abbiamo incontrato molti di loro», dichiarò, «sono giovani, sono molto seri, si organizzano completamente sul web, non vogliono ricevere soldi». L'ambasciatore (nominato dall'allora presidente americano Barack Obama nel 2009) definì quindi «incoraggiante» il fenomeno grillino. Un endorsement in piena regola che, neanche a dirlo, suscitò i malumori di alcuni esponenti del Pd. Del resto, la posizione del diplomatico si inseriva nella scia di un interesse che, poche settimane prima, aveva manifestato lo stesso segretario di Stato americano John Kerry nei confronti del Movimento 5 stelle. È quindi possibile che, in quella fase storica, Washington considerasse i grillini una forza politica con cui giocare di sponda. Del resto, non è un mistero che la politica estera dell'amministrazione Obama si sia spesso basata sulla simpatia e sull'appoggio verso movimenti nati e diffusi sul web e sui social network (si pensi soltanto alla stagione delle primavere arabe). Poi qualcosa è cambiato. Complice forse anche l'ascesa di Matteo Renzi nel 2014, i rapporti tra Obama e il Movimento 5 stelle si sono indeboliti sempre di più. Il punto più basso si è probabilmente toccato nell'ottobre del 2016, quando Obama diede il suo endorsement al referendum costituzionale proposto dal Pd. Una mossa che certo non piacque al Movimento. Senza poi contare alcune posizioni politiche sempre più critiche che alcuni esponenti grillini hanno man mano assunto nei confronti di Washington. Con Donald Trump si provò a riannodare i fili, visto che Beppe Grillo mostrò apprezzamento per la leadership politica del magnate newyorchese. In tal senso, si sono verificati tentativi di riavvicinamento con l'altra sponda dell'Atlantico. Si pensi alla buona intesa personale registrata tra Giuseppe Conte e lo stesso Trump al G7 canadese del 2018 o ai tentativi di accreditamento in America messi in campo da Luigi Di Maio lo scorso marzo. Ciononostante a Washington si respira oggi una certa diffidenza verso il Movimento 5 stelle. E questo per una serie di ragioni.Innanzitutto troviamo il dossier cinese. Tra i principali attriti che dividono Roma dalla Casa Bianca, figura il memorandum di intesa dedicato alla Nuova Via della seta: memorandum che ha trovato tra i propri principali sponsor Luigi Di Maio, laddove Salvini ha sin da subito teso a smarcarsi il più possibile da quell'intesa. Ma non è tutto. Perché anche a livello locale i 5 stelle stanno mostrando una certa propensione per Pechino. Pochi giorni fa, l'azienda torinese Blue Engineering (specializzata in progettazione di veicoli aerospaziali, automobilistici, navali e ferroviari) è diventata «Centro di ricerca italiano» del colosso cinese Crrc, con la benedizione del sindaco pentastellato Chiara Appendino. Il Pentagono – è noto – teme gli investimenti tecnologici e infrastrutturali della Repubblica popolare nel Vecchio Continente. E certamente questa vicinanza del Movimento 5 stelle a Pechino non può suscitare troppo piacere. Un altro dossier problematico riguarda poi la crisi venezuelana. Se Matteo Salvini si è schierato a favore del candidato filoamericano Juan Guaidò, i grillini hanno scelto un atteggiamento di neutralità che, a Washington, viene tuttavia percepito come sostegno indiretto al presidente Nicolas Maduro. Poi, abbiamo il capitolo degli F35: le titubanze mostrate in passato dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, non sono state ben viste oltreoceano. Si tratta di altro punto, su cui il leader della Lega si è svincolato dall'alleato di governo, visto che – pochi giorni fa – sulla questione ha dichiarato: «Gli accordi sottoscritti non si possono rimangiare». Altre cause di dissidio riguardano infine il gasdotto Tap e – soprattutto – la politica fiscale. La Casa Bianca apprezza il drastico taglio delle imposte, auspicato dal leader della Lega, laddove i grillini sul tema risultano molto più evasivi.È chiaro che questi punti di attrito abbiano contribuito non poco ad accreditare Salvini come forza principalmente atlantica in seno all'attuale governo italiano. Forte di una certa sintonia ideologica con Trump (oltre che dei risultati elettorali alle ultime europee), il vicepremier leghista punta moltissimo sulla convergenza con la Casa Bianca. Non solo per contrastare l'asse franco-tedesco. Ma anche per certificare il cambio dei rapporti di forza all'interno della stessa maggioranza gialloblù.