2020-11-20
Per il barcone della morte buttati 20 milioni
Naufragò al largo di Lampedusa nel 2015, Renzi propose di farne un monumento ai migranti. Per recuperarlo è stata spesa una marea di soldi. Trasformato in opera per la Biennale, ora giace dimenticato a Venezia in balia delle azioni giudiziarie.In modo del tutto inaspettato, si può dire che l'obiettivo sia stato raggiunto. Quel barcone recuperato dal fondo del mare è diventato l'emblema del dramma dell'immigrazione. O, meglio, della sua (non) gestione italiana. Il simbolico relitto è stato sottratto alle profondità del Mediterraneo grazie all'impiego di enormi risorse, è stato sballottato in giro per la Penisola e adesso - come ha rivelato ieri Repubblica - giace nella Laguna di Venezia, a occupare una banchina che servirebbe per altri scopi. Per comprendere appieno l'assurdità della vicenda, però, dobbiamo partire dall'inizio. Questa storia orrenda comincia al largo della Libia il 18 aprile 2015, con il naufragio di un grosso peschereccio carico di migranti (forse 1.000 o addirittura 1.200). È un'ecatombe: mentre va a picco, l'imbarcazione viene pure travolta da una portacontainer che tenta di offrire soccorso. Si salvano soltanto in 28, tutti gli altri vengono inghiottiti dal mare. Passano alcuni mesi, gli sbarchi proseguono a raffica, e a Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio, viene un'idea: il barcone naufragato va recuperato onde dare una dignitosa sepoltura ai poveri immigrati sterminati dal viaggio. Il relitto dell'imbarcazione, poi, deve essere e mandato a Bruxelles e posizionato davanti ai palazzi europei, come monito. Deve diventare, appunto, un monumento ai morti dell'immigrazione di massa. Iniziano così le complicate procedure di recupero. Nell'operazione vengono coinvolte la Marina Militare e la ditta Fagioli di Reggio Emilia, la città dell'allora ministro Graziano Delrio. Vengono fatti vari tentativi per estrarre dalle acque quel che rimane del barcone e, dopo una sequela di fallimenti, i resti vengono finalmente portati sulla terraferma in Sicilia, ad Augusta, il Comune che ancora oggi risulta responsabile dell'imbarcazione. Questa però è solo la prima fase del procedimento. La seconda prevede il recupero dei corpi dei migranti annegati. E si rivela ancora più difficile e straziante della prima. A occuparsi dell'estrazione dei cadaveri sono i vigili del fuoco. Nel ventre del barcone trovano, parole loro, «una poltiglia enorme», composta da corpi putrefatti e disciolti. Costantino Saporito del Coordinamento nazionale Usb dei Vigili del Fuoco racconta alla Verità che dall'imbarcazione i suoi colleghi hanno estratto 458 sacche, le cosiddette body bag. Ma in ciascuna di essere i resti umani sono mescolati. «A un corpo non corrisponde una sacca». Poi si contano altre 36 sacche di morchie e liquami e 7 sacchi contenenti indumenti ed effetti personali. A quel punto, entrano in gioco i medici. Da Milano arriva il team della dottoressa Cristina Cattaneo, la celebre antropologa forense, direttrice del Labanof dell'istituto di Medicina legale dell'Università Statale. Il suo compito è quello di stabilire l'identità dei morti attraverso appropriati esami del dna. A ricostruire quel che accade poi è ancora Costantino Saporito. «I medici lavorano gratuitamente», dice. «Ma l'esame del dna costa. Alcuni di loro, anche sulla stampa, hanno fatto sapere che servivano fondi, ma quei fondi non sono mai arrivati». Alla fine, i dottori se ne sono andati. Quanti cadaveri sono stati identificati? Difficile fare una stima. La dottoressa Cattaneo, in un'intervista concessa a Linkiesta nel 2019, ha spiegato che i morti riconosciuti sono stati «solo due per il naufragio del 2015. Non è facile, solo da poco siamo arrivati a identificare il secondo corpo. Ci vorrà ancora qualche mese per completare gli altri ma stiamo raccogliendo dati dai parenti». Quanto è costata questa brillante operazione? Anche su questo punto ci sono molte ombre. I dati disponibili vengono da un'interrogazione parlamentare presentata anni fa da Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi: il costo delle operazioni di recupero è stato di 10 milioni di euro (anche se non si conosce il dettaglio delle spese sostenute). Una cifra equivalente sarebbe stata versata per l'identificazione dei cadaveri. Dunque siamo attorno ai venti milioni di euro. Aspettate, non è finita. Tramontata l'idea di portare il relitto a Bruxelles, alla fine del 2016 si fa avanti il regista messicano Alejandro González Iñárritu, che propone di trasformare i resti della nave in un'installazione da esporre a Milano, di fronte al Duomo. Per fortuna, anche questa trovata finisce con un nulla di fatto. Il barcone resta ad Augusta. Arriviamo così al 2019, quando, ricostruisce Carlo Giovanardi, «è stata ufficializzata e pubblicizzata la decisione di mantenerlo in loco, subito contraddetta dall'autorizzazione del sindaco grillino di Augusta di trasportarlo via mare alla Biennale di Venezia». Perché Venezia? Perché l'artista svizzero Christoph Büchel si è messo a raccogliere fondi al fine di trasferire il relitto in Laguna e presentarlo alla Biennale sotto forma di installazione. L'opera viene intitolata Barca nostra. Seguono titoli sui giornali, commenti commossi e tirate pro migrazione. Risultato: il relitto, ad oggi, è ancora a Venezia. E i guai si accumulano. «Prima», ha scritto ieri Repubblica, «è partito un contenzioso giudiziario tra Büchel e la società incaricata del trasferimento, accusata di avere danneggiato la sella costruita per l'opera». Poi «la Biennale ha ordinato di liberare la banchina; l'artista ha replicato chiedendo di usare la copertura assicurativa che in genere tutela le opere esposte. Ma un'altra contestazione legale non lo permette. Così l'istituzione veneziana si è rivolta al Tribunale, che ha disposto un accertamento tecnico. E ora minaccia di fare causa al Comune di Augusta, formalmente “affidatario" del relitto, che non ha certo i fondi per gestire il trasloco». Ha ragione Carlo Giovanardi, che con estrema compassione ha seguito tutta la storia, a dire che è stato fatto «un uso strumentale del barcone e della tragica sorte dei suoi sfortunati occupanti». Vite perdute, milioni buttati, artisti e politici che si fanno pubblicità sulla pelle altrui, promesse vane e grane giudiziarie: questo è il barcone della morte, perfetto simbolo dell'immigrazione di massa.