
A differenza di Londra, nella delicatissima partita globale sulle reti Roma sfida Washington. Nel Cdm previsto per oggi porta l'ok del golden power per aprire le porte al colosso cinese in nove regioni, con prescrizioni generiche. Contro la volontà Usa.Il Consiglio dei ministri che approverà il decreto Agosto affronterà anche il tema delicato del 5G. Timbrerà e ufficializzerà il parere del comitato del golden power sui fornitori da utilizzare per la dorsale della nuova rete veloce. E spunta per almeno 9 Regioni l'ok a Huawei con prescrizioni generiche. Proprio il contrario di quanto ha fatto la Gran Bretagna. Dove il colosso cinese è stato bandito dalle forniture a partire dalla fine dell'anno. La decisione è stata formalizzata un mese fa dal Consiglio di sicurezza nazionale sotto la presidenza di Boris Johnson per poi essere annunciata in Parlamento dal ministro Oliver Dowden. Di fatto rovescia il via libera, pur limitato, dato a Huawei nei mesi precedenti da Londra. E riallinea Johnson alla strategia Usa, su temi da guerra fredda come quello del 5G e quello dell'indipendenza di Hong Kong. In Europa l'approccio è sicuramente diverso. La Germania si è mossa con uno stop and go e fondamentalmente cerca di allineare tutti gli altri partner prima di prendere una decisione definitiva. Angela Merkel non vuole che alcun Paese membro dell'Ue abbracci per primo la Cina, ma nemmeno gli Usa. Vuole una decisione unanime. L'Italia invece si muove lontano dai microfoni e lontana dal prendere decisioni ufficiali e affida ai tecnici di Palazzo Chigi il compito di prenderne di grande sostanza. Come quella che sta per essere ufficializzata nel Consiglio dei ministri previsto, ma non ancora convocato, per oggi. Gli operatori italiani Vodafone, Fastweb e Tim negli ultimi mesi si sono confrontati con il comitato a cui hanno sottoposto i rispettivi piani sul 5G, con tanto di lista fornitori. Le richieste nascono dalla norma europea del tool box approvata a gennaio del 2020. Il documento rappresenta una serie di linee guida mirate a mettere in pratica piani di mitigazione rispetto agli scenari di rischio evidenziati nel risk assessment effettuato dagli Stati membri. Il toolbox ha quindi l'obiettivo di supportare i singoli Paesi nella definizione delle misure di sicurezza rispetto ai possibili rischi derivanti dall'impiego di tecnologie 5G, nell'ottica di armonizzare gli approcci a livello comunitario. E trovare forse una sorta di equidistanza tra Usa e Cina. Una delle prescrizioni del libro bianco Ue sta nell'imporre agli operatori l'uso di più fornitori, soprattutto nel caso delle cosiddette reti core. Cioè quelle su cui passano i dati più sensibili. A novembre dello scorso anno è stato chiesto a Tim e agli altri operatori minori di notificare le attività. Le informazioni giungono un po' alla volta e le pratiche vengono affrontate in maniera spezzettata. A metà luglio il comitato si riunisce alla presenza del segretario generale della presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, e si pone il tema del rispetto del tool box Ue. In pratica, gli operatori si ritrovano ad ampliare la gamma dei fornitori per non dipendere mai da un solo player. Ad esempio, uno degli operatori come Tim dovrebbe utilizzare Nokia almeno in Friuli Venezia Giulia. Nel complesso, ciò che conta è che il comitato ha definito alla fine la lista. Oltre alla storica azienda di telefoni, ci sarà un'altra svedese, Ericsson, e pure la cinese Huawei. A quest'ultima andrebbero nove regioni su 20. Si va da Sardegna, Puglia, Basilicata, fino alla Calabria, Sicilia, Abruzzo ma anche Veneto, e Trentino Alto Adige. Un mese fa un take di agenzia della Reuters, mai smentito dalla società guidata da Luigi Gubitosi, annunciava la decisione da parte di Tim di non convocare l'azienda di Ren Zhengfei per la gara core del 5G. Tim avrebbe chiamato invece oltre a Ericsson anche Nokia e le americane Cisco, Mavenir e Affirmed newtorks. Cosa succederà dopo il parere del governo nelle aste non core e su quelle di maggiore importanza dei tre principali operatori è tutto da capire. Da un lato, va detto che l'esercizio del potere di specifiche prescrizioni o addirittura di veto da parte del governo nei confronti di singoli fornitori nasce nel decreto di marzo del 2019, ma si cristallizzerà solo solo dieci mesi dopo dalla data di entrata in vigore della legge effettiva, frutto a sua volta della conversione del decreto. Il potere sui singoli contratti già autorizzati a quel punto potrebbe prevedere anche decisioni drastiche da applicare in maniera retroattiva. Dall'altro lato c'è però la realtà dei fatti e questa lascia intendere che una volta autorizzato (sebbene con prescrizioni generiche) un fornitore, visto il costo dei progetti di sviluppo, difficilmente la politica tornerà indietro. Soprattutto in un Paese come l'Italia dove nulla è più definitivo del provvisorio. In pratica oggi (a meno che il cdm non slitti) Giuseppe Conte potrà vantarsi di aver fatto un grosso favore ai cinesi. La vedranno da un altro punto di vista gli americani, che hanno chiesto più volte e apertamente a Roma di fare scelte di fondo e soprattutto nette. Tra i timori di Washington c'è che la tecnologia 5G cinese nei pressi di obiettivi sensibili possa attivare backdoor in grado di «aspirare» informazioni di rilievo. Basti pensare a tutte le basi militari a stelle e strisce che ci sono in Veneto. E poi, come sempre con questo governo, c'è il tema della trasparenza. Londra ha annunciato a tutti la propria scelta. La Germania affronta il tema come deve fare una democrazia parlamentare. Perché Palazzo Chigi deve mandare avanti la burocrazia, invitare Huawei dalla finestra sperando che nessuno se ne accorga? Perché le nostre scelte geopolitiche non sono chiare? Siamo di fronte a uno spartiacque. Dobbiamo stare attenti.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






