2025-01-08
Per gli onorevoli niente limiti temporali: assurdo imporli a sindaci e governatori
La norma è ipocrita e riguarda un falso problema. Il vero nodo è la qualità degli eletti.Da tempo va avanti, in Italia, la discussione su quanti mandati possa fare un presidente di Regione. La figura particolarmente interessata è l’attuale governatore della Campania De Luca, ma la discussione dura da tempo. Ma arriviamo immediatamente al punto: perché si dovrebbero limitare alcuni mandati, tipo quelli regionali, e poi per altri soggetti, tipo i ministri, i parlamentari, e altre cariche elettive, di numero di mandati non si parla? Qual è la ragione per la quale certi mandati devono avere un limite numerico e altri no? Perché se la questione è che la permanenza al potere troppo lunga può poi degenerare in un prolungato esercizio del potere con conseguente possibile creazione di un sistema di potere poi difficilmente sostituibile, ebbene, allora questo dovrebbe valere per qualsiasi tipo di mandato politico. Non è che se uno sta 20 anni in Parlamento non crea un sistema di potere (e magari fa il ministro tre o quattro volte) minore o maggiore a quello di un presidente di Regione. Vi ricordate che ci avevano provato anche i grillini ad autoimporsi il limite di due mandati, ma poi è andato tutto in cavalleria? Il problema, semmai, dovrebbe essere quello del merito di chi siede nei palazzi del potere. Nessuno, infatti, potrà sostenere che è meglio un mandato di un cretino a tre mandati di una persona per bene. Vale lo stesso per quando si discute sull’età del candidato per cui, talora, si preferisce un ebete con i capelli neri piuttosto che una persona sapiente con i capelli bianchi. Attenzione: non è che sotto i capelli bianchi c’è per forza una scatola cranica contenente un cervello con alta motilità neuronale e sinapsi funzionanti. Può darsi che sotto tali capelli si nasconda il vuoto come quello delle confezioni di caffè che sono, appunto, sottovuoto spinto: può capitare per una confezione della Lavazza così come per il cranio di un politico tant’è vero che, ad alcuni, soffiando da un orecchio esce il vento dall’altro. Perché, ad esempio, un presidente della Repubblica può essere eletto due volte com’è successo con Napolitano e successivamente con Mattarella? Per convenienza politica? Perché non c’era un altro su cui puntare? Perché qualcuno ha manovrato furbescamente per evitare figure che non piacevano? Capirete bene che si tratta di motivi un po’ debolucci, soprattutto per la prima carica dello Stato. E che dire di quei parlamentari - o a volte anche non parlamentari, ma tecnici - che sono passati da un ministero a un altro come nelle vecchie sale da gioco si passava dal flipper al biliardino? Più che governi sono sembrati sale dell’oratorio ma almeno, in quei casi, si maturava una certa esperienza e competenza. Nel caso dei ministeri non sempre i soggetti sono stati esempi di comprovata esperienza e competenza. Sembravano più persone che, trovatesi di fronte a un temporale estivo, si infilavano nella prima porta aperta per ripararsi. Dunque, prima che al numero bisognerebbe guardare alla qualità dei mandati. E qui la questione si sposta sul sistema elettorale e sul sistema di governo. Per quanto riguarda il sistema elettorale c’è da chiedersi se quello vigente premi i migliori o i presunti migliori scelti dai partiti, perché se è giusta la seconda ipotesi allora nei partiti può succedere esattamente lo stesso che succede nelle istituzioni: si creano centri di potere che, per sopravvivere, hanno bisogno di yes men che rispondano ai capibastone, per cui è meglio eleggere uno fedele piuttosto che uno bravo e non sempre la fedeltà corrisponde a intelligenza, capacità e merito. Più spesso corrisponde a servilismo, incapacità e un piacere immenso di porre le proprie natiche sui seggioloni del potere. Per quanto riguarda il governo, finché un presidente del Consiglio non potrà mandare a casa direttamente, senza passare dal Quirinale, un ministro senza dover mettere in piedi il baraccone della crisi di governo, sarà ben difficile, come sostenuto già da tale Francesco Cossiga, in una lettera alle Camere del 1992, che quel premier abbia il potere necessario per poter far funzionare al meglio il suo governo. È vero che la politica non è un’azienda, ma è pur vero che se un imprenditore non potesse cambiare i manager, dopo averne verificato l’inefficienza, sarebbe un imprenditore monco. Benissimo discutere dei mandati, ma è fuorviante rispetto al problema vero che è il rapporto, in generale, fra politica e merito e, in particolare, tra rappresentanti del popolo, anche ai più alti livelli, e merito stesso. È un discorso vecchio quanto la politica, quello sui criteri di formazione delle classi dirigenti: sottomissione al capobastone o inserimento nella politica di persone che ne siano all’altezza?Poi si può discutere anche dei tempi e del numero dei mandati, ma poi, cioè dopo. Altrimenti si discute di un ipotetico male senza discutere sulle cause e i rimedi di quel male.
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