2022-05-30
Per l’estate mancano 300.000 lavoratori
Sulla carta promette di essere una grande stagione. Ma il poco personale e il far west degli affitti e del Web compromettono le vacanze serene. Nell’indifferenza del governo.Il numero due di Confcommercio Aldo Cursano: «Nella ristorazione mancano 300.000 lavoratori. Le paghe sono buone, la colpa è dei sussidi».Il presidente delle agenzie viaggi Fulvio Avataneo: «L’Ue non ha mai regolamentato le prenotazioni sui portali. Così nessuno si accorge delle commissioni nascoste che ci penalizzano».L’esperto Pierluigi Paganini: collegarsi ai wifi negli aeroporti è molto rischioso.Lo speciale contiene quattro articoliÈ la prima estate normale. Dopo oltre due anni di pandemia, i turisti sono tornati a invadere le città e le località sulle coste. Le stime indicano che sarà una stagione con i botti. Tutto bene, quindi? Non proprio. Il nostro Paese, che avrebbe dovuto mettere a frutto il periodo pandemico per raddrizzare le storture legislative che affliggono il settore, arriva impreparato all’appuntamento con l’estate dei record. Le istanze degli albergatori sulla concorrenza sleale dei b&b non sono state ascoltate. Le grandi piattaforme delle prenotazioni sul Web continuano a dettar legge, schiacciando le agenzie di viaggi. E anche il reddito di cittadinanza continua a creare una vera emergenza per l’occupazione stagionale. Uno scenario paradossale, che non solo penalizza gli operatori del turismo, ma sottrae risorse al Paese in un momento in cui il turismo è uno dei pochi comparti che potrebbe dare una mano a sollevare il pil.Le città d’arte come le località dei litorali sono il regno incontrastato degli affitti brevi in nero. Mansarde, locali abusivi, perfino garage sono riadattati alla meglio e messi a reddito. L’operazione è semplice; basta inserire la struttura sui grandi portali delle prenotazioni online e il gioco è fatto. Nessuno verrà a controllare perché queste piattaforme non forniscono l’indirizzo esatto dell’immobile, ma si limitano a indicare l’area, magari aggiungendo qualche foto scenografica per solleticare l’interesse del turista. In questo modo, acchiappare gli abusivi equivale a cercare un ago in un pagliaio. I proprietari di queste case, non essendo registrati e privi di qualsiasi licenza, non devono sottostare alle regole sanitarie imposte dalle Asl e tanto meno dotarsi dei dispositivi di sicurezza che invece sono richiesti agli alberghi. Ma soprattutto godono del vantaggio competitivo di potersi sottrarre al versamento della tassa di soggiorno e di pagare Imu e Tari come se fossero semplici cittadini e non gestori di una struttura ricettiva. La maggior parte delle città europee ha posto un freno a questa forma di abusivismo, ma in Italia sembra che il problema non si possa - o voglia - risolvere. Allo stesso modo non si riesce a mettere un argine allo strapotere che le piattaforme di prenotazione esercitano sul mercato ai danni degli alberghi e delle agenzie di viaggi. Per chi è nel turismo, fare a meno di Expedia o di Booking, solo per citare un paio tra le maggiori, è impossibile. Ormai chi vuole programmare un viaggio si rivolge alle agenzie online perché è più comodo, e anche con la convinzione, che spesso è un’illusione, di trovare l’offerta scontata. Da questa posizione di predominio, esplosa negli ultimi anni, favorita anche dal disinteresse delle autorità europee, esse impongono pesanti commissioni alle transazioni: si va dal 10 al 20% con punte anche fino al 30% sul costo della prenotazione. D’altronde, le agenzie online riescono a veicolare volumi di turisti da tutto il mondo e sono diventate indispensabili. L’unico tentativo di porre un argine a questa sorta di monopolio vessatorio, effettuato su iniziativa del senatore di Forza Italia Massimo Mallegni, è fallito. L’emendamento al decreto Taglia prezzi, per introdurre un tetto massimo dell’8% alle commissioni sulle prenotazioni, è stato bocciato - così si è detto - per evitare un sicuro intervento dell’Antitrust europea contro l’introduzione di un limite alla libertà di iniziativa economica e di impresa. Questi colossi del Web non solo stritolano gli alberghi e le agenzie fisiche che devono sostenere i costi dei negozi e del personale, ma sono piuttosto opache nel pagamento dell’Iva, come ha denunciato Mallegni. A perderci quindi sono tutti.L’altro paradosso di questa estate è che l’aumento della domanda di personale da parte degli esercizi pubblici potrebbe non essere soddisfatta. Come è possibile, a fronte di due milioni di disoccupati? Eppure ristoranti, bar, alberghi, discoteche, faticano a trovare addetti. Gli annunci vanno deserti o chi si presenta pone condizioni (dal fine settimana libero a nessuno straordinario serale) impossibili da soddisfare. È l’effetto del reddito di cittadinanza irrobustito dai bonus elargiti, dei quali i 200 euro una tantum erogati a luglio sono solo gli ultimi. Con 700 euro in tasca di reddito di cittadinanza, perché impegnarsi per poche centinaia di euro in più dietro il banco di un bar fino a tardi, o nella cucina di un ristorante, o a portare sdraie e ombrelloni in spiaggia? Prima un disoccupato lottava per il contratto fisso o quello stagionale regolare, ora invece si preferisce concordare con il datore di lavoro una soluzione precaria, magari al nero, pur di continuare a riscuotere il sussidio pubblico. Secondo la Confcommercio nel 2019, anno pre pandemia, bar e ristoranti avevano 80.400 dipendenti, scesi a 56.800 nel 2020, risaliti a 59.200 nel 2021: a tutt’oggi mancherebbero 21.200 lavoratori. Molti ristoranti hanno scelto di aprire solo a pranzo o a cena, e spesso vi lavora tutta la famiglia, mentre alcuni bar hanno sostituito la consumazione al tavolo con le macchinette che distribuiscono le bibite o il servizio solo al banco. La Confartigianato, che stima con un afflusso inaspettato di turisti, un aumento di introiti tra il 5 e il 7%, ritiene che sono difficili da reperire 3 lavoratori su 10 (il 32%). <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-estate-mancano-300000-lavoratori-2657408287.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="trovare-un-cuoco-e-diventata-una-caccia-al-tesoro" data-post-id="2657408287" data-published-at="1653835820" data-use-pagination="False"> «Trovare un cuoco è diventata una caccia al tesoro» «È diventata una caccia al tesoro. Trovare un cameriere, un cuoco, un addetto alle cucine, un barman è un’impresa titanica. Durante la pandemia abbiamo registrato 190.000 dimissioni di personale a tempo indeterminato in tutto il settore dei pubblici esercizi. Nella ristorazione mancano 200.000 addetti e oltre 130.000 stagionali. Sarà un’estate grandiosa, ma pochissimi riusciranno ad averne i benefici, perché non siamo in grado di soddisfare la domanda». Aldo Cursano, presidente vicario di Fipe Confcommercio, la Federazione degli esercizi pubblici e presidente di Confcommercio Toscana, lancia l’allarme. «Reddito di cittadinanza e bonus vari sono diventati un disincentivo a lavorare. Il messaggio che sta passando è: “state a casa, tanto lo Stato pensa a voi”. Ditemi quale giovane è disposto a rinunciare a 700 euro che gli arrivano standosene comodamente a casa, per lavorare in una pizzeria fino a tardi. E sa cosa ci propongono quelli che si affacciano nei nostri ristoranti? Pretendono forme contrattuali poco chiare pur di continuare a usufruire del reddito di cittadinanza». Lei è anche proprietario di due ristoranti a Firenze e di un bar storico. Quale è la sua esperienza? «Ho dovuto rivedere le fasce di orario, altrimenti non ce la faccio. Mi tocca chiudere la domenica alle 15 e durante la settimana ho previsto un turno unico, a cena. Non riesco a trovare personale. Vengono qui e mi dicono che hanno il sostegno pubblico, che non lo vogliono perdere, che non intendono lavorare nei fine settimana, che vogliono un rapporto saltuario. Mi chiedo dove siano i milioni di disoccupati di cui parla l’Istat. È un’emergenza seria». E il vostro personale storico? «Perso con la pandemia. Non riuscendo a sopravvivere con la cassa integrazione, arrivata pure in ritardo, ha preferito cercare un’occupazione in altri settori, come i supermercati o le aziende di consegne. La ristorazione, dopo due anni di blocco, non ha più l’appeal di un impiego stabile e sicuro. La pioggia di sostegni pubblici sta disincentivando la ricerca di un’occupazione. Aggiungiamo il modello di vita che ha preso piede durante la pandemia». Che intende? «Più spazio al tempo libero. Lo smart working ha impigrito le persone. Ora ci troviamo nella situazione paradossale che la ripresa del turismo estivo potrebbe dare impulso all’economia, contribuire alla ripresa ma non si trova chi vuole lavorare. È un deficit che interessa vari settori industriali». Ma allora come fate? Vi rivolgete agli immigrati? «L’attività di cameriere o di cuoco come quella di barman non si può affidare al primo che passa. Miscelare un cocktail non s’improvvisa. Organizzare un menu, fare il cuoco, non ci si improvvisa. Le strutture che lavorano solo con gli stagionali, come quelle sui litorali, faticano ad aprire proprio per la mancanza di personale. E chi apre offre solo la cena e non il pranzo e chiude un paio di giorni la settimana. Il settore sta cambiando pelle, si sta riorganizzando». In che modo? «Sempre più bar servono da bere solo al banco e non ai tavoli, o hanno installato i distributori automatici di bibite e gelati. Ma in questo modo viene meno il rapporto con il cliente che fa parte dello stile italiano». Avete posto il problema al governo? «Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Manca la percezione di ciò che sta succedendo sul mercato del lavoro. Sembra che il problema siamo noi ristoratori che non vogliamo pagare i dipendenti. Le iniziative governative allontano le persone dall’attività produttiva. Chi non lavora viene pagato mentre chi lavora è tassato in modo spropositato. È questo il meccanismo che crea la disoccupazione. Sapesse che rabbia mi fa vedere questi giovani seduti a prendere l’aperitivo pagato con il reddito di cittadinanza». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-estate-mancano-300000-lavoratori-2657408287.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="nessuna-difesa-dai-colossi-online" data-post-id="2657408287" data-published-at="1653835820" data-use-pagination="False"> «Nessuna difesa dai colossi online» «Si fa presto a dire estate da record. Le premesse ci sono ma si rischia che i guadagni vadano a finire all’estero, nelle casse delle piattaforme online delle prenotazioni. Non solo. Rischiamo di essere danneggiati anche da iniziative nazionali, come i portali allo studio per promuovere il “prodotto Italia” che, se non fatti nel modo giusto, ci tagliano fuori dal mercato turistico». Fulvio Avataneo è il presidente dell’Aiav, associazione che riunisce 1.900 agenti di viaggio. È fuori di sé: «Si fanno iniziative encomiabili ma se si finisce per favorire i soliti noti, allora noi non ci stiamo». Non siete felici che si prospetti un’estate con il pieno di prenotazioni? «Sì, tutto lascia stimare che sarà un’estate gloriosa. Dopo oltre due anni di fermo, le persone hanno voglia di viaggiare. Questo dovrebbe far felici le agenzie di viaggi, ma lo sono solo in parte. Da anni il grosso delle prenotazioni non passa più tramite i nostri canali. Tutti su Internet a illudersi di trovare una camera d’albergo a prezzo stracciato o un volo quasi regalato. Ma sono pronto a dimostrare che nove volte su dieci la soluzione più vantaggiosa si trova nell’agenzia di viaggi. Che offre anche la possibilità, da non sottovalutare, di essere un interlocutore fisico qualora qualcosa non dovesse funzionare, per cambi di programma. Purtroppo combattiamo contro stereotipi difficili da smontare». Ma è la concorrenza. «Le piattaforme online sono riuscite a creare una condizione di quasi monopolio perché c’è chi glielo ha permesso. L’Ue non è mai voluta intervenire a regolamentare il settore. Manca la volontà di prendere posizione su una situazione spinosa che mette a rischio la sopravvivenza delle imprese. È la stessa latitanza emersa verso le big tech come Facebook e Google. Ogni tanto arriva una sanzione, ma sono briciole rispetto al giro d’affari. Nel caso di Booking, Expedia e altri portali di prenotazione, non ci sono nemmeno le sanzioni. Sono liberi di imporre le proprie regole e di sottrarre i guadagni al territorio dove operano. Per esempio, dietro un colosso come Amazon ci sono tante micro imprese che hanno trovato un canale distributivo: Booking invece impone commissioni capestro agli albergatori. Questi sono scontenti ma opporsi è impossibile. Il governo dovrebbe progettare un’alternativa in grado di tutelare le agenzie di viaggi». Il portale Italia.it promuove le eccellenze del nostro Paese. «Iniziativa lodevole, per la quale c’è anche uno stanziamento importante, ben 114 milioni di euro. Noi però non siamo stati coinvolti. E se la piattaforma dirotta i turisti verso Internet e non verso le agenzie di viaggi nazionali per acquistare i pacchetti turistici, è un boomerang perché si tagliano fuori le aziende italiane a vantaggio delle piattaforme Web internazionali. E poi non è chiara la forma di questo progetto. È stato detto che verrà implementato nei prossimi mesi, ma come e da chi, è un mistero. Mi preoccupa anche la piattaforma di Ita, la nuova Alitalia, che insieme al volo offre pacchetti di alberghi e tour. Nemmeno qui siamo stati coinvolti». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-estate-mancano-300000-lavoratori-2657408287.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="quante-trappole-per-chi-viaggia" data-post-id="2657408287" data-published-at="1653835820" data-use-pagination="False"> «Quante trappole per chi viaggia» «L’estate riserva trappole al turista poco accorto. La ricerca frenetica su Internet dell’offerta più vantaggiosa consente ai motori di ricerca di profilare l’utente per poi sommergerlo di proposte. Ma questo, se vogliamo, è l’aspetto più innocuo dell’uso massiccio del Web che si fa nei mesi estivi. Il pericolo viene invece dall’utilizzo delle reti aperte, cioè quando usiamo il wifi di aeroporti, alberghi, bar, ristoranti. È qui che scatta la trappola». Pierluigi Paganini esperto di sicurezza cibernetica e intelligence, svela l’altra faccia delle vacanze. Perché è un rischio usare il wifi di alberghi e ristoranti? «Le reti aperte consentono più facilmente l’accesso ai nostri dispositivi connessi e ai dati che conserviamo e scambiamo attraverso di essi. Quando usiamo il wifi di un albergo, un ristorante, un bar, un aeroporto, un centro congressi, è come se mettessimo i nostri dati (mail, numeri delle carte di credito, account social) a disposizione di tutti coloro che accedono a quella rete, compresi i criminali informatici. Lo spionaggio industriale prende di mira proprio manager di aziende in viaggio di lavoro, quando si connettono a reti aperte». Che cosa significa essere intercettati? «Che le nostre operazioni online sono osservate, esponendoci al furto d’identità. Un hacker, carpito l’accesso ai nostri dati, può disporre una transazione bancaria, inviare codici malevoli ai nostri contatti o realizzare frodi finanziarie». Come ci si protegge? «Quando si è su reti aperte di cui non abbiamo il controllo, sarebbe opportuno usare applicazioni Vpn (Virtual private network). Sono software commerciali che creano una sorta di tunnel riservato sul quale veicolare il nostro traffico dati. Pur essendo su una rete aperta, le informazioni non saranno più accessibili a occhi indiscreti». Può accadere di essere tracciati dai motori di ricerca che approfittano per proporci soluzioni più care? «I prezzi dei voli aerei sono condizionati da diversi fattori, come il margine di anticipo in cui si vuole prenotare, le destinazioni, le stagioni. Ci sono diverse teorie sui giorni della settimana e gli orari in cui assicurarsi prezzi più vantaggiosi. Piuttosto, quando l’utente fa una ricerca sul Web è subito profilato. Le informazioni raccolte servono per proporre altri servizi. Il biglietto aereo diventa quindi l’ultimo aspetto di questo ricchissimo mercato. Lasciare i propri dati su Internet disponibili a chiunque espone a numerosi pericoli». Per esempio? «Dal furto di identità a furti in appartamento. Mentre si è in viaggio, si tende a postare foto dei luoghi di vacanza. Bande di criminali setacciano il Web proprio per capire chi ha lasciato la casa vuota nelle settimane estive. A quel punto per svaligiare l’appartamento si va a colpo sicuro».
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