2025-08-21
Per attaccare Trump la Lagarde pizzica pure la Von der Leyen
Da Ginevra il capo della Bce critica i dazi ma anche l’accordo firmato da Ursula. E apre alla Cina: «Non ci sono solo gli Usa».Chi ha detto che la politica commerciale, i dazi, la morte del Wto (l’Onu del commercio mondiale) siano materia noiosa? Basta una Lagarde con elmetto e mimetica al posto di spille e splendidi foulard e la scena cambia di colpo. Al World economic forum di Ginevra, la presidente della Bce ha preso il microfono e, spruzzando solo un velo di diplomazia zuccherosa, ha messo in fila tutto ciò che, a suo giudizio, non va: Trump, i dazi, l’accordo commerciale firmato poche settimane fa dalla Von der Leyen. Tutti errori gravissimi visto che la ripresa economica Ue corre come un criceto sulla ruota.«L’economia dell’area euro, dopo la crescita robusta del primo trimestre 2025, presentava già segnali di rallentamento nel secondo, destinati a consolidarsi ulteriormente», dichiara. «Le aliquote tariffarie concordate con gli Usa sono in qualche misura più alte rispetto a quanto stimato dalla Bce di giugno e andranno messe in conto nelle nuove proiezioni di settembre, che guideranno le nostre decisioni nei prossimi mesi», ha aggiunto con la freddezza di chi fotografa il rallentamento come un meteorologo che annuncia uragani con la calcolatrice in mano. Tradotto: per colpa di Trump, l’export ha corso una gara a ostacoli e ora si arrende sotto il peso dei dazi.Ma perché fermarsi alla semplice contabilità dei danni? Lagarde decide di alzare il tiro e, per colpire il presidente Trump, travolge anche Ursula, che ha ceduto le armi con troppa facilità. «In anticipazione dei dazi di Trump, annunciati in primavera, l’export verso gli Usa aveva visto un’accelerazione che ora si sta allentando». Non contenta, Lagarde guarda oltre l’Atlantico e fa un invito che suona anche come una minaccia: «Sebbene gli Stati Uniti siano e rimangano un importante partner commerciale, anche l’Europa dovrebbe puntare ad approfondire i propri legami commerciali con altre giurisdizioni, sfruttando i punti di forza della sua economia orientata all’export». In soldoni: l’Europa deve smettere di fissare gli Usa come se fosse l’unico sbocco possibile per il «made in Ue» e iniziare a guardare altrove. Magari verso Pechino, dove i dazi sono solo un dettaglio se giochi bene le tue carte.Poi arriva il colpo basso verso la Von der Leyen: «Il recente accordo commerciale tra l’Unione europea e gli Stati Uniti impone dazi più elevati sui beni dell’area dell’euro rispetto al regime tariffario statunitense prima di aprile». Tradotto in parole povere: bella mossa, Ursula, peccato che i dazi siano più alti di quanto pensassimo. E non finisce qui, perché i dettagli sono ancora nebulosi: farmaceutici e semiconduttori restano un campo minato, un po’ come giocare con le previsioni meteo a Washington.Lagarde, infine, si concede anche un’analisi globale, giusto per lasciare tutti a bocca aperta: «I recenti accordi commerciali hanno attenuato, ma certamente non eliminato, l’incertezza globale, che persiste a causa dell’imprevedibilità del contesto politico. Un indice dell’incertezza delle politiche commerciali globali è diminuito di circa la metà rispetto al picco di aprile, ma rimane ben al di sopra della sua media storica». Tradotto per chi mastica poco i numeri: sì, siamo sopravvissuti, ma il rischio di cadere nel caos commerciale è ancora lì, pronto a ghermirci come uno squalo in mare aperto. Di chi la colpa? Naturalmente di Trump che ha ucciso la globalizzazione. Tuttavia deve riconoscere che i profeti di sventura devono al momento frenare i loro impeti. L’economia globale, ammette, mostra una «resilienza» del tutto inattesa. Pessima notizia per i gufi. Le incertezze del primo trimestre 2025 per via dei dazi sono state meno catastrofiche del previsto. Gli importatori hanno fatto scorte come se fossero in vendita al Black Friday, gonfiando la crescita europea più del previsto. Il Fondo monetario ha persino dovuto ammettere che la crescita globale ha sorpreso positivamente di 0,3 punti percentuali, grazie agli investimenti e al commercio internazionale. Ma Lagarde non si arrende: nulla di tutto ciò cancella l’inevitabile rallentamento futuro.E qui arriva la parte più gustosa: il consiglio finale della Lagarde. Con un colpo di classe degno di un direttore d’orchestra che dirige un coro stonato, l’insistenza a cercare nuovi sbocchi per l’auto tedesca, i mobili italiani e i vini francesi. Traduzione non detta ma chiara come un manifesto: se vuoi sopravvivere all’incertezza di Trump e alla Von der Leyen-mania, guarda verso la Cina. Un assist perfetto per Pechino, che ringrazia seduta comodamente a guardare l’Europa scivolare tra dazi e dichiarazioni altisonanti.In sintesi, la Lagarde di Ginevra ha confezionato uno spettacolo in tre atti: punzecchia Trump, rimprovera Von der Leyen, ammonisce l’Europa e, con un sorriso da maestro, lancia il pallone d’oro alla Cina. L’Europa, nel frattempo, corre dietro, cercando di capire se i dazi sono nemici, amici o solo un gioco di prestigio.E mentre gli eurofanatici spiegano l’accordo commerciale come un successo, Christine Lagarde fa quello che sa fare meglio: ricorda che l’Europa deve continuare a guardare oltre l’Atlantico, perché la crescita non aspetta, e i dazi neppure.
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Donald Trump (Getty Images)