2018-10-17
Per 800.000 partite Iva tasse dimezzate. Sberle a banche e imprese. Finalmente addio Fornero
Più di 4 miliardi di maggior carico per istituti di credito e assicurazioni: rischio contraccolpi sui clienti. 6,5 miliardi per il reddito di cittadinanza.Ciao ciao Fornero 400.000 liberi di andare in pensione. A febbraio 2019 le prime uscite volontarie con la quota 100 Nessuna penalizzazione ma obbligo di non lavorare per 12 mesi.Lo speciale contiene due articoli.La manovra, rispetto alle previsioni del Def, si restringe. Il perimetro d'azione scende dai circa 37 miliardi a 33,5. Poco più di 11 miliardi arrivano dalle coperture, il resto (21,8 miliardi) è frutto dell'aggravio di deficit. Quasi 12 miliardi e mezzo sono destinati a evitare l'aumento dell'Iva, altri 6,75 per pagare la riforma di quota 100 e altrettanti per gestire il nuovo reddito di cittadinanza, con una spolverata di pensioni di cittadinanza. Su quest'ultimo punto le certezze sono scarse, anche perché i fondi disponibili sono talmente risicati che è difficile immaginare che le minime salgano di un importo che superi i 30 o i 40 euro al mese. Per arrivare a 780 euro ne mancherebbero altri 300 circa. Più facile immaginare che i pensionati iscritti alle liste di collocamento intestatari di un assegno minimo possano aspirare a raggiungere la soglia individuata dal reddito di cittadinanza. Ciò che invece è certo è la fetta di entrate e di tagli che la manovra mette nero su bianco.Le tasse su banche e assicurazioni consentiranno di incassare 4,4 miliardi il prossimo anno. Nel dettaglio dagli interventi fiscali sugli istituti italiani si stima un incasso pari a 1,2 miliardi nel prossimo anno, a cui si aggiungono altri 1,8 miliardi che derivano in parti uguali da due misure: la rideterminazione dell'acconto dell'imposta sulle assicurazioni e il differimento della deduzione delle svalutazioni sui crediti. Infine 1,1 miliardi arriveranno dal trattamento fiscale della svalutazione dei crediti secondo i nuovi principi contabili.Dalle misure che nel documento vengono definiti genericamente «interventi fiscali sulle banche» si stima un gettito, nel triennio, pari a 2,7 miliardi; mentre dalla rideterminazione dell'acconto dell'imposta sulle assicurazioni arriveranno altri 1,3 miliardi in tutto. Il differimento della deduzione delle svalutazioni e perdite sui crediti non porterà altro gettito, oltre a quello stimato nel primo anno, mentre dal trattamento fiscale delle svalutazioni dei crediti secondo i nuovi principi contabili arriveranno 1,1 miliardi nel primo anno, cui seguirà una perdita di 360 milioni nel biennio 2020-2021 portando il gettito nei tre anni a 700 milioni. A chi avanza critiche sull'inasprimento (alzare le imposte sulle deduzioni delle svalutazioni comporterà un stretta sul credito) il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, spiega che «si tratta di somme tutto sommato contenute, e riteniamo che non impattino sull'erogazione dei fidi. Non va dimenticato che i maggiori oneri ricadranno solo sugli istituti in attivo, in modo che l'intervento sia sostenibile. Vorrei però ricordare», aggiunge, «che il testo prevede anche maggiori spese per circa 2,5 miliardi in investimenti pubblici e quindi più liquidità pure per le aziende».Le stesse che, a onor del vero, non escono premiate dalla manovra. L'abrogazione dell'imposta sul reddito imprenditoriale (Iri) porterà alle casse dello Stato circa 2 miliardi di euro in più solo nel 2019 (l'imposta armonizzava i regimi e quindi livellava verso il basso il gettito) a fronte di un taglio di tasse per le partite Iva di soli 540 milioni di euro. In pratica, i liberi professionisti che fatturano fino a 65.000 euro (circa 800.000 persone in tutto) pagheranno il 15% flat: un risparmio di circa il 50%. Solo che le altre partite Iva sono rimaste escluse dallo «sconto». «In realtà l'intervento va valutato nel triennio», aggiunge Durigon, «tanto che il taglio di tasse supera i due miliardi come promesso». Bisognerà vedere se alla fine, a fronte dell'abolizione dell'Ace, Aiuto alla crescita economica delle imprese, il saldo sarà positivo o negativo. Certamente nel 2019 sarà a favore dello Stato, «anche in questo caso», aggiunge Durigon, «bisogna considerare il triennio. Non abbiamo eliminato alcuna agevolazione fiscale, e lo faremo solo quando taglieremo anche l'Irpef e il cuneo fiscale. A quel punto si vedranno maggiormente gli effetti benefici della manovra». Nel frattempo, a completare il calcolo delle coperture vanno presi in considerazione tagli ai ministeri per circa 2,5 miliardi di euro e la razionalizzazione dei trasferimenti agli enti. «Abbiamo licenziato una manovra che puntella tre requisiti di crescita», conclude il sottosegretario, «partendo dalla totale riorganizzazione delle politiche passive e attive del lavoro». Infine, per chiudere lo schema della manovra che finirà in Parlamento a fine settimana, c'è il tema della fatturazione elettronica. Confermato l'avvio dal primo di gennaio, che porterà a una stretta in grado di raccogliere almeno 360 milioni di Iva in più, confermando lo schema previsto dal governo Gentiloni. Con una sola, ma importantissima, novità: sarà possibile versare l'Iva allo Stato quando la fattura viene incassata dall'azienda. In pratica le imprese dovrebbero smettere di fare da bancomat e anticipare la liquidità allo Stato. Sul documento inviato a Bruxelles il premier Giuseppe Conte ha lanciato un ultimo messaggio distensivo: «Pronti al dialogo ma senza pregiudizi». A noi sarebbe piaciuto un po' di coraggio in più: meno tasse (flat tax per una platea più ampia, e meno imposte anche per banche ed assicurazioni), e meno spesa diffusa con il reddito di cittadinanza. Un intervento, quest'ultimo, che rischia di essere un versamento a pioggia al Sud senza concreti ritorni in termini di maggiori consumi. Del resto, la manovra è un compromesso tra la parte gialla e quella blu del governo: in Aula i politici che rappresentano la parte più produttiva potrebbero premere per spostare l'ago della bilancia verso le aziende. In Parlamento ci sono infatti margini per accoppiare a quota 100 un taglio dell'Irpef e, dal 2020, una sforbiciata al cuneo fiscale. Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/per-800-000-partite-iva-le-tasse-saranno-dimezzate-per-gli-altri-tutto-uguale-sberle-a-banche-e-imprese-2612857301.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ciao-ciao-fornero-400-000-liberi-di-andare-in-pensione" data-post-id="2612857301" data-published-at="1758026411" data-use-pagination="False"> Ciao ciao Fornero 400.000 liberi di andare in pensione Quattro certezze e sette incognite in materia di pensioni dopo gli annunci del governo. Prima certezza: scatta la correzione della legge Fornero attraverso quota 100. Si abrogano dunque i limiti di età per i pensionamenti previsti dal governo Monti, e si potrà andare in pensione con 62 anni di età e 38 anni di contributi versati. Si potrà uscire in tre «finestre» nel 2019 (febbraio, luglio, ottobre), che diverranno quattro nel 2020. Le persone interessate sono già circa 400.000. Seconda certezza: come La Verità vi ha raccontato, non è riuscito il blitz che sarebbe stato nei sogni pauperisti del ticket Di Maio-Boeri. Quindi l'intervento di taglio delle pensioni più elevate (quelle che i grillini chiamano «pensioni d'oro») avverrà solo sopra la soglia dei 4.500 euro mensili. Nella peggiore delle ipotesi, potrebbero dunque essere interessate circa 60.000 persone. Terza certezza: nei primi tre mesi dell'anno, accanto al reddito di cittadinanza, dovrebbero partire anche le cosiddette «pensioni di cittadinanza». Nei desideri del governo, dunque, le pensioni minime dovrebbero essere aumentate fino a 780 euro. Quarta certezza: si proroga l'opzione donna, che permette alle lavoratrici con 58 anni se dipendenti (o 59 anni se autonome) e 35 anni di contributi, di andare in pensione. E qui iniziano i numerosi dubbi, che solo gli accertamenti ulteriori richiesti ai tecnici del Mef e del ministero del Lavoro potranno sciogliere. 1 Il costo per il primo anno della riforma della legge Fornero nei termini che abbiamo descritto è di 6,76 miliardi, mentre dal taglio delle cosiddette pensioni d'oro il governo conta di ricavare solo 1 miliardo, ma in tre anni, quindi poco più di 300 milioni il primo anno. 2 Come trovare le risorse aggiuntive? Una prima ipotesi, ripetutamente smentita, è quella di una decurtazione dell'assegno in proporzione agli anni di anticipo rispetto all'età per la pensione di vecchiaia. È evidente che, in questo caso, se l'interessato non dispone di una pensione integrativa privata, si pone un problema non piccolo. E diversi critici del governo dubitano che - in molti casi - questa opzione risulti più conveniente rispetto all'attuale Ape, che, con un anticipo di circa tre anni e mezzo, fa perdere poco meno del 15% dell'assegno. 3 Un altro modo di recuperare risorse, anch'esso doloroso, sarebbe un nuovo blocco della rivalutazione delle pensioni. Varato ai tempi di Monti, il blocco degli assegni è stato mantenuto negli anni successivi, e via via prorogato fino alla fine di quest'anno. In assenza di novità, dunque, dal primo gennaio del 2019 si tornerebbe al meccanismo della perequazione, e quindi a un adeguamento delle pensioni all'aumento del costo della vita così come registrato dall'Istat. La cosa costerebbe non poco: sarebbero infatti reintrodotte le percentuali previste dalla legge 388/2000, con un adeguamento pari al 100% degli indici Istat per gli importi fino a 3 volte il minimo, del 90% tra 3 e 5 volte il minimo Inps, e del 75% per gli importi oltre le 5 volte. Proprio la prospettiva di questi aumenti potrebbe indurre il governo Conte a riprendere in considerazione la strada del blocco. 4 Non ci sarà invece - se non per un anno - una misura che sarebbe stata molto discussa (e assai poco liberale): il divieto di continuare a lavorare, anche in forma autonoma, per chi si avvarrà della possibilità di uscita. Quindi il divieto di cumulo varrà solo per 12 mesi dall'uscita. 5 Anche il tema delle pensioni di cittadinanza pone analoghi problemi di risorse, com'è facile immaginare. In primo luogo perché, se alzi le pensioni minime a 780 euro, dovresti elevare a quella soglia non solo le pensioni più basse, ma tutti i trattamenti oggi inferiori a 780, il che rende tutto fatalmente più oneroso. Per contenere il costo, il governo punta a una prima differenziazione: quella tra chi è proprietario di un immobile e chi non lo è. La cosa è comprensibile dal punto di vista dei conti ma discutibile in termini di principio: ancora una volta, la proprietà di una casa rischia di diventare curiosamente una «colpa» nel rapporto con lo stato. 6 Peraltro, per reddito di cittadinanza e pensioni di cittadinanza, lo stanziamento annuale è di 6,75 miliardi. Ma come saranno divisi tra le due misure? Dall'esito dei calcoli precedenti e dalle relative scelte (potenziali percettori proprietari di casa o no; solo le pensioni minime o tutte quelle inferiori a 780 euro) si comincerà a capire qualcosa in più. 7 Non è chiara la soluzione di un altro rebus, quello della possibile esclusione dei contributi figurativi, che non sarebbero (tutti e indistintamente) ritenuti utili per il raggiungimento della soglia e quindi per andare in pensione. Il governo ha chiesto ai tecnici del Mef e del ministero del Lavoro una ulteriore stima: Renzi e Gentiloni avevano scelto il cumulo gratuito (cosiddetto «ricongiungimento») dei contributi previdenziali per chi decideva di andare in pensione. Il tema - ora - è capire cosa accadrebbe se l'operazione divenisse parzialmente onerosa. Daniele Capezzone
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.