2021-03-08
«Il pentito contro Fdi si è rimangiato tutto»
«Repubblica» ha riportato la versione di un informatore di Latina che nel 2018 accusava Giorgia Meloni di aver comprato voti. Lei replica: «L'interessato ha smentito due anni dopo nello stesso verbale, letto solo a metà». «L'attendibilissimo pentito dello scoop di Repubblica secondo il quale avrei consegnato 35.000 euro in una busta del pane a un clan di rom aveva "rettificato" le accuse nei confronti miei e di Fratelli d'Italia già molto tempo fa». Giorgia Meloni è inviperita dopo aver letto su Latina Oggi una ricostruzione che mette sulla graticola il collaboratore di giustizia, definito «pentito a orologeria», Agostino Riccardo e le sue storie. Credibili, di solito, fino alla fase che permette gli arresti. «Puntualmente smentite», dicono gli avvocati chiamati anche in passato a fronteggiare le sue accuse, «durante i processi». Tranne quando si autoaccusa di reati da bossetto locale. Tant'è che la Procura di Roma di suoi verbali sulla malavita delle periferie di Latina ne infila un paio in una recente ordinanza di custodia cautelare zeppa di storiacce di provincia: con traffici di droga e ultrà da stadio contigui alla gang. Non manca la politica. Con una girandola di dichiarazioni sulla leader dell'opposizione che lo stesso Riccardo avrebbe poi ritrattato.«È negli stessi atti utilizzati da Repubblica per gettare fango su di noi», denuncia su Facebook Meloni, «ma evidentemente quella parte dei verbali non era piaciuta a chi doveva costruire accuse fondate sul nulla per attaccare l'unica forza di opposizione della nazione». In un interrogatorio del 28 settembre 2018 davanti ai pm Luigia Spinelli e Corrado Fasanelli, infatti, Riccardo aveva riferito di aver incontrato Meloni insieme ad altri delinquenti prima di un suo comizio nelle vicinanze del centro commerciale Latina Fiori. A presentare la Meloni ai pregiudicati che si sarebbero dovuti occupare dell'attacchinaggio dei manifesti del partito sarebbe stato il candidato alla Camera dei deputati Pasquale Maietta. «Maietta disse alla Meloni che noi eravamo i ragazzi che si erano occupati delle affissioni nelle campagne elettorali precedenti e che eravamo svelti anche nel procurare voti», riferì la prima volta il pentito ai pm. E aggiunse: «Poi sempre Maietta disse alla Meloni che c'era bisogno di pagare i ragazzi presenti per la campagna elettorale, e la Meloni gli rispose di dire a noi che avremmo dovuto parlarne con il suo segretario». Il segretario, nel romanzo criminale di Riccardo, avrebbe dato loro appuntamento per i giorni successivi in una stazione di servizio di Roma, dove avrebbe consegnato la somma di 35.000 euro contenuti in una busta di carta per il pane, prima di allontanarsi a bordo di una Volkswagen di colore scuro. Meloni è sbottata: «Sarebbe bastato telefonarmi per sapere che non ho mai avuto un uomo come segretario, che il mio staff non ha mai utilizzato auto Volkswagen, che nel 2013 il nostro partito non aveva molto denaro e che nessuno si sarebbe sognato di spendere 35.000 euro per una campagna di affissioni in un capoluogo di provincia». Per i pm deve essere stato facile verificare che si trattava di un falso. E allora Riccardo sarebbe tornato in Procura, come conferma alla Verità uno degli avvocati degli indagati, con una rettifica. La data: 7 dicembre 2018. Questa volta il pm è Barbara Zuin. «Voglio precisare una cosa sulla quale ho pensato a lungo», avrebbe detto Riccardo, «ho riferito del pagamento di 35.000 euro che ho ricevuto per la campagna elettorale del 2013 in favore di Maietta. Ho ricordato che prima di ricevere i soldi, vi era stata la presentazione da parte della Meloni di Maietta quale candidato, avvenuta presso il centro commerciale Latina Fiori. Noi eravamo presenti, ma ovviamente in disparte. C'era molta gente, diversi esponenti politici e diverse persone dello staff della Meloni». Tutte persone che ora potranno smentire il pentito, sempre che ce ne sia bisogno.
Chiara Appendino (Imagoeconomica)
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