2023-09-20
Pensiero debole e parole forti. Addio al filosofo Gianni Vattimo
Recuperò da sinistra Nietzsche e Heidegger. In politica, slogan e (molti) scivoloni.Dopo una vita passata a discettare di Essere e di Nietzsche, alla fine Gianni Vattimo - morto martedì sera all’ospedale di Rivoli (Torino) all’età di 87 anni - è riuscito a essere Nietzsche. Le immagini dei suoi ultimi giorni lo ritraggono sofferente e con uno sguardo vagamente fanciullesco, come quello che si posò sul volto del filosofo tedesco negli anni delle tenebra mentale. E, in entrambi i casi, a fianco del pensatore senza più pensiero si aggiravano figure mosse da amore forse sincero, ma con l’ombra indissolubile del secondo fine. In entrambi i casi, chi siamo noi per giudicare. Nato il 4 gennaio 1936, Vattimo veniva da un ambiente proletario. Diciottenne era diventato delegato diocesano degli studenti dell’Azione cattolica. Poi, dopo una breve sortita in Rai, si era dedicato alla carriera universitaria sotto la guida di Luigi Pareyson. Intanto erano arrivati gli anni Sessanta e dalla rive gauche la triade Marx-Freud-Nietzsche marciava sull’Europa filosofica, demolendo la dittatura del pensiero dialettico vigente fino ad allora. Il 4 luglio 1964, all’abbazia di Royaumont, c’è anche Vattimo tra gli invitati all’importante convegno su Nietzsche organizzato da Gilles Deleuze, accanto a Pierre Klossowski, Michel Foucault e Karl Löwith. Il Nietzsche che aveva bagnato i panni nella Senna appariva però in una luce diversa dal cantore della bionda bestia da preda cui era abituata la cultura europea. Ne Il soggetto e la maschera, del 1974, Vattimo metteva in guardia dai «pericoli di fraintendimento (e di autofraintendimento) della “dottrina” nietzscheana», in quanto nel gran Federico «forza, potenza, violenza hanno un senso fondamentalmente ermeneutico». Insomma, Nietzsche era un democratico che non aveva capito se stesso. Nella seconda edizione, risalente agli anni Novanta, il filosofo torinese, bontà sua, aggiungeva di ritenere «più problematico di quanto non appaia nella prima edizione l’incontro tra eredità nietzscheana e “movimento rivoluzionario del proletariato”». Meno diplomatico, il marxista Domenico Losurdo parlerà di un «processo di trasfigurazione e sublimazione che ha del vertiginoso». Arruolato Nietzsche, portare dentro un Heidegger sbrigativamente denazificato era stato un attimo. Il pensiero debole nasceva da qui: se «i valori supremi si svalutano» (Nietzsche), se l’Essere è qualcosa che «non è, ma si dà» (Heidegger), ogni pretesa di parlare «dal punto di vista di Dio» veniva meno. Esistevano solo argomenti «deboli», relativi, ironici per portare avanti le proprie ragioni (perdendosi in questo modo per strada il côté eroico, tragico e radicale che innervava le decostruzioni dei due tedeschi). L’etichetta del «pensiero debole» avrà un certo successo e non cesserà di suscitare ironie a destra. Giustificate, ma spesso anche superficiali, come se il pensiero identitario potesse fare a meno di attraversarne le istanze argomentative. Alla teorizzazione della ragione debole, comunque, Vattimo era solito affiancare parole forti. Pure troppo. Come quando, sotto Berlusconi, spiegava che «l’Italia è (ri)diventata un Paese fascista». O quando si era fatto eleggere, nelle file del partito dipietrista, al Parlamento europeo, dove aveva trovato il modo di urlare «Viva Castro, viva Fidel!», con tanto di pugno chiuso, in faccia al dissidente Guillermo Fariñas premiato a Strasburgo. Poi era venuta l’infatuazione per Beppe Grillo, che lo aveva friendzonato twittando: «Vattimo non è candidato né candidabile alle elezioni europee con il Movimento 5 stelle». Gli ultimi entusiasmi erano stati riservati a papa Francesco. In Essere e dintorni, aveva scritto: «Se oggi pensiamo alla possibilità di un’Internazionale comunista, l’unica direzione in cui guardare è la Chiesa cattolica di papa Francesco», in cui vedeva «un’esortazione a costruire un ordine statuale “buono”», «una specie di appello alla rivoluzione permanente». Ma in fondo le boutade passano e gli sforzi del pensiero restano. Così come resta la nostalgia per un’epoca in cui a rappresentare la filosofia italiana a Parigi ci andava Gianni Vattimo anziché Michela Marzano.
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Charlie Kirk (Getty Images)