2025-07-06
La crisi di Sánchez in Spagna scopre la Von der Leyen. Ora è senza il pilastro rosso
Pedro Sánchez e Ursula von der Leyen (Ansa)
Nonostante gli scandali e le dimissioni di un big socialista per molestie, il premier non molla. L’asse Pse-Ppe traballa. Guai in vista per Ursula alla prova dei dazi.Pedro Sánchez ha fatto sapere che non ha intenzione di mollare. Nonostante il numero tre del partito sia finito ai domiciliari per accuse di mala gestione e un altro dirigente si sia dimesso per presunte molestie sessuali, il leader socialista spagnolo a oggi se la cava girandosi dall’altra parte. Nuovo segretario del Psoe, nuovo codice di condotta per evitare irregolarità (solo ora?) e nulla più. Sánchez sta attaccato alla poltrona perché sa che senza di lui cadrebbe il governo, si aprirebbe una crisi politica dalla difficile soluzione, ma soprattutto è consapevole di essere il solo collante rimasto a tenere in piedi l’alleanza europea tra socialisti e Ppe. Questi ultimi da tempo tentennano, tanto che dentro l’Europarlamento le maggioranze sono variabili. Un po’ come nell’ultima parte della prima legislatura Von der Leyen, sono più le volte che il Ppe vota con i conservatori. I quali a loro volta non dimenticano l’ostracismo dei socialisti nei confronti di Raffaele Fitto nella veste di vicepresidente e commissario. Se i socialisti spagnoli dovessero, dunque, ritrovarsi all’opposizione in patria, sarebbero pronti a fare lo stesso in Europa: ecco la sintesi, complici anche le accuse al Ppe e i ripensamenti, come quelli sulla lotta al greenwashing, che riguardano legislazioni oggetto di accordi già raggiunti e rimessi in discussione. Ma senza arrivare al caso estremo, la caduta di Sánchez, già il suo indebolimento diventa un grosso problema per Ursula von der Leyen. Al di là di quanto accade in Parlamento i socialisti nei prossimi mesi si scopriranno indeboliti e di conseguenza anche la possibilità di usare Teresa Ribera come clava pro green tenderà a ridursi. Per molti sarà un bene, ma dal punto di vista politico ciò impatterà sulla gestione della Commissione e sul ruolo stesso della Von der Leyen. Non è dunque un caso se le destre stanno alzando la voce per rimettere in discussione i pilastri della transizione elettrica, che ancora oggi richiama l’impostazione voluta dal socialista Frans Timmermans. A sostegno dell’assalto ci sono i numeri dell’impatto devastante sul mondo delle quattro ruote e del settore energetico in generale. Ma a diventare un terreno minato per Ursula sarà anche il grande progetto del Rearm Eu. Sia perché la realtà sta imponendo di aprire gli occhi, sia per i numeri politici. sul primo versante, quello dei fatti, c’è l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. L’accordo che ha fatto con Vladimir Putin sull’Iran sta frenando l’invio di armi a Kiev. Il tema fino a oggi sottostimato è però quello della ricostruzione. Come rivelato ieri da Bloomberg, il colosso Usa Blackrock ha stoppato la ricerca dei fondi per gli interventi post guerra. Si tratta di quei 15 miliardi discussi durante la conferenza di Roma. E immaginare un’Ucraina europea senza denaro per la ricostruzione è un’impresa quasi impossibile. Che farà la Von der Leyen? Fondi europei non ci sono, fatta eccezione il gioco delle tre carte che permette di spostarli da una linea di budget all’altra. Non solo, sempre secondo indiscrezioni di stampa, il piano di Trump nei confronti della Russia (al di là delle minacce di ieri) sarebbe quello di stoppare le sanzioni energetiche. Un po’ sulla falsa riga di quanto ha fatto per il progetto nucleare in Ungheria. La Casa Bianca ha dato l’ok a 10 miliardi di dollari provenienti da Mosca per mettere in piedi un mega progetto nucleare. Per l’Ungheria sarà l’occasione di diventare il perno della rete elettrica del centro Europa, ma al tempo stesso di rappresentare una spina nel fianco per le strategie energetiche della Commissione Ue. Che non solo per via della presenza socialista resta refrattaria all’uso dell’atomo (il primo intervento della Ribera è stato sanzionare la Polonia proprio per un cantiere nucleare), ma che - vale la pena ribadirlo - non abbandona il progetto delle rinnovabili a tutti i costi.Infine, c’è il tema dazi. In queste ore i rappresentanti Ue sono a Washington per trattare. Il coltello dalla parte del manico l’hanno però gli americani, anche per un semplice fatto. Ogni Stato ha esigenze diverse e sebbene il tema commerciale sia di competenza di Bruxelles verranno alla luce tutte le spaccature dentro il Vecchio continente. Se la Von der Leyen ha accettato di non avere voce in capitolo in quello che sta succedendo in Medio Oriente e nei rapporti tra Usa e Cina, sarà più difficile per il suo governo digerire i malumori interni sul commercio. A meno che non accetti di fare inversione a U sui temi che ha cavalcato per farsi nominare. Di nuovo il green e l’intero settore che va sotto il nome di dazi interni e barriere alla crescita dei colossi digitali americani. Tutti questi non sono dettagli, ma elementi che una volta messi in fila renderanno il comando di Ursula molto più complesso. Il rischio è che a farne le spese siano tutti gli europei. Potremmo immaginare una grande rivoluzione e un cambio di passo, magari con un ruolo di Ecr e Ppe centrale. Ma in caso di stallo e di veti incrociati allora le decisioni di Bruxelles saranno veloci come quelle di un bradipo. Il mondo cambia però così velocemente che non possiamo permetterci tempi morti.
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