2025-06-20
Il cdm corre per curare la sanità dal payback
Roberto Speranza (Imagoeconomica)
Mediazioni in corso per salvare le imprese che producono dispositivi medici dalla norma introdotta da Renzi e attuata da Speranza. Sul tavolo 470 milioni (360 da Roma e 120 dalle Regioni) e l’ipotesi di alzare il tetto di spesa. Il decreto si aggiunge all’ingorgo estivo.La tormentata questione del payback per i dispositivi medici potrebbe aver imboccato una via d’uscita. Il Consiglio dei ministri di oggi ha sul tavolo il decreto Economia che conterrà una norma per sciogliere il nodo che tiene sospese oltre 4.000 piccole e medie imprese, oltre a diverse multinazionali. La patata bollente è un lascito del governo Renzi, che inventò un correttivo per contenere la spesa sanitaria, poi attuato dal ministro Roberto Speranza negli ultimi giorni del suo mandato. Il meccanismo del payback prevede che una parte dello sforamento dei tetti di spesa da parte delle Regioni per l’acquisto dei dispositivi medici sia a carico delle aziende fornitrici. Nei fatti è una imposizione retroattiva che scarica oltre 6 miliardi di euro sui bilanci delle imprese del settore. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha preso in mano il problema nonostante le difficoltà imposte dal bilancio pubblico. L’obiettivo della norma che sarà inserita nel decreto Economia è di alleggerire l’esborso a carico delle aziende. A fronte di 1,1 miliardi di ausilio richiesti, l’incentivo sarebbe pari a 470 milioni: lo Stato contribuirebbe con 350 milioni, mentre le Regioni dovrebbero rinunciare a 120 milioni. Sono cifre di massima trapelate alla vigilia del Consiglio dei ministri e che sono state sottoposte al vaglio della Corte dei conti. Si tratta di valutare gli effetti di alcune sentenze relative al periodo 2015-2018. Se il fabbisogno dovesse aumentare, allora le risorse potrebbero essere spostate sul 2019-2024. Lo sconto non è l’unico intervento. C’è la possibilità anche di un innalzamento del tetto della spesa pari allo 0,2% nel 2025. Per finanziare questa franchigia si utilizzerebbero circa 250 milioni della dote complessiva da 650 milioni. L’idea è procedere con un aumento del tetto dello 0,2% annuo. A regime l’effetto payback verrebbe sterilizzato, ma al momento non ci sono le condizioni per eliminare il meccanismo. Ylenja Lucaselli, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Bilancio, spiega che «il governo è pronto a dare una risposta alle istanze degli imprenditori coinvolgendo Regioni e imprese ed è al lavoro per modificare una normativa che sicuramente va cambiata». C’è grande attesa tra gli operatori del settore. Il comparto dei dispositivi medici conta oltre 4.500 aziende di cui il 95% sono pmi. Questa forte concorrenza, unita agli acquisti centralizzati e alle gare al massimo ribasso, garantisce prezzi per gli ospedali inferiori del 20-30% rispetto alla media europea, a parità di dispositivo, marca e qualità. Gennaro Broya de Lucia, presidente di Conflavoro pmi sanità, l’associazione degli imprenditori del medtech italiano che rappresenta la gran parte delle aziende coinvolte, pur ritenendosi soddisfatto dell’impegno del ministro Giorgetti, sostiene che «la norma non è risolutiva perché il meccanismo resta in piedi. Ad oggi la nostra richiesta è di 1,1 miliardi ma le Regioni stanno abbassando questo importo di 500-600 milioni. Lo stanno facendo con l’introduzione di una franchigia che noi vorremmo fosse di 10 milioni. Si sta andando verso un mix di sconto e franchigia ma non vorremmo che in questo modo, per favorire le multinazionali, il tetto venisse abbassato». Broya de Lucia va giù a testa bassa: «Le grandi imprese puntano allo sconto perché per loro è la soluzione più favorevole. Le pmi stanno lottando per la loro sopravvivenza e ci aspettiamo che si tengano in considerazione le nostre richieste. Ma il problema con questa norma rimane e speriamo che venga risolto definitivamente con la prossima manovra economica».Intanto, spiega il manager alla Verità, «il settore è in sofferenza. Già nel primo trimestre di quest’anno, numerose aziende hanno deciso di non partecipare alle nuove gare pubbliche o regionali. La ragione è semplice: nessuna impresa sana può firmare un contratto con l’incertezza poi di essere colpita, anni dopo, con una richiesta di sostituzione su volumi eccedenti un tetto fissato nel 2011 e nei aggiornato. In molti bandi si sono già verificate gare andate deserte o con un solo partecipante e in alcune Regioni si è dovuto ricorrere a procedure d’urgenza per l’approvvigionamento dei dispositivi salvavita. Il danno è duplice, economico e clinico e a pagare saranno i pazienti». A rendere più tortuosa la soluzione del payback ci sono anche due sentenze (n. 139 e n. 140 del 22 luglio 2024) della Corte costituzionale che avevano dichiarato legittimo il meccanismo sui dispositivi medici, respingendo le questioni di incostituzionalità sollevate dal Tar Lazio in seguito a circa 2.000 ricorsi di aziende del settore. «La Corte ha qualificato il payback come un “contributo di solidarietà” proporzionato e necessario per sostenere il Servizio sanitario nazionale in una situazione economico-finanziaria critica, che impedisce a Stato e Regioni di coprire interamente le spese sanitarie con risorse pubbliche, ma la realtà dei fatti dimostra che non c’è niente di solidaristico e di straordinario: è semplicemente un meccanismo che le Regioni hanno messo a sistema e trasformato in una imposta», afferma Broya de Lucia. E solleva un altro problema: l’ingorgo legislativo. C’è il rischio che i tempi per la conversione del decreto in legge siano stretti: circa 40 giorni rispetto ai 50 che in media servono per completare l’iter in parlamento. Per accelerare l’iter ed evitare che, con la pausa estiva, tutto si blocchi, le Camere lavoreranno nella prima settimana di agosto, l’ultima utile prima dello stop. È stato il ministro per i Rapporti con il parlamento, Luca Ciriani a sollevare il tema.La fretta è giustificata dal fatto che, come ha evidenziato Sveva Belviso, presidente di Fifo-Confcommercio, «a causa del payback, migliaia di pazienti potrebbero subire conseguenze dirette dalla mancanza di dispositivi medici, partendo dai ventilatori polmonari agli stent coronarici, dalle protesi ortopediche fino ai dispositivi per la dialisi».
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Ansa
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