2025-02-15
Pavia ha dimenticato la mitica zuppa che ristorò lo sconfitto Francesco I
Il re francese, catturato da Carlo V dopo aver perso una battaglia decisiva, fu rifocillato da una contadina con brodo, uova e pane secco. Un piatto idolatrato all’estero ma sparito dai menu dei ristoranti della zona.Questa è la storia di un re sconfitto e della zuppa plebea che lo confortò nel momento più difficile della sua vita: quando, dopo la battaglia, si ritrovò solo, circondato da nemici, stremato, ignaro della sorte che gli stava per toccare e bisognoso di mandar giù qualcosa di caldo dopo una fredda giornata di duro combattimento e di migliaia di morti tutto intorno.Siamo a Pavia il 24 febbraio 1525. Alle porte della città infuria una tremenda battaglia fra le truppe di Francesco I di Valois, potente re di Francia, e le soldatesche di Carlo V, l’ancora più potente sovrano «dell’impero - sono parole sue - sul quale non tramonta mai il sole». Infatti, oltre ai vastissimi possedimenti nel nuovo mondo, scoperto appena 33 anni prima, il rampollo di Filippo il bello e Giovanna la pazza, possiede assai più della metà della vecchia Europa: la Spagna, il Sacro romano impero (Paesi Bassi, Germania, Boemia, Austria, parte dell’Italia) più i regni aragonesi del Sud Italia. Logico che Francesco I e la Francia si sentano stretti in una morsa. Ma oltre alla geografia politica, ci sono altri motivi che portano Francesco e Carlo a scontrarsi a Pavia. C’è il possesso del ducato di Milano, cerniera strategica tra l’Italia e l’Europa, e c’è il desiderio di dominare quell’Italia così bella e ricca di storia ed arte e, all’apparenza, così facile da conquistare in quanto divisa in un mosaico di Stati e Staterelli i cui popoli, a differenza dei loro signori, stanno a guardare senza fare il tifo per l’una o l’altra bandiera straniera, avendo ben altra battaglia da combattere: quella quotidiana contro la fame. La loro politica è rivolta alla pancia: «O Francia o Spagna, basta che se magna».A Pavia il sovrano francese, un fustacchione alto, palestrato, affascinante ma non bello per via di quel nasone che gli campeggia in faccia come un monumento (François du grand nez, lo chiamano i sudditi), amante di gloria, arte, caccia, buon cibo e donne, scende con la sua bella armatura sul campo di battaglia, ansioso di menare personalmente le mani. Carlo V, al contrario se ne sta a guardare in una delle sue regge dopo aver affidato i micidiali archibugieri spagnoli e i terribili lanzichenecchi tedeschi a generali dei quali ha piena fiducia. Sono proprio gli archibugi a risolvere il combattimento e a mandare in pensione, dopo Pavia, picche, alabarde e lance. Dal 1525 in poi vince l’esercito che ha una maggiore potenza di fuoco.Cosa c’entra in tutto questo la zuppa plebea? Eccoci arrivati. L’episodio tramandato da qualche oscuro cronista, trasmesso di bocca in bocca e arrivato dopo mezzo millennio a noi, dice che a sconfitta ormai certa, Francesco, disarcionato dal cavallo colpito da un’archibugiata, demoralizzato, circondato dai nemici ma sempre fiero nell’aspetto e regale nel portamento («Tutto è perduto, fuorché l’onore», scriverà alla mamma dalla prigionia) è preso in consegna dal fiammingo Carlo di Lannoy, comandante dell’esercito imperiale, che gli tributa gli onori che spettano a un re, seppure nemico - «Can no magna can», dice un altro proverbio veneto - e lo porta in una cascina lì vicina, la Repentita, un casolare che è ancora in piedi, con tanto di lapide, vicino a Pavia.Alla povera contadina frastornata dalla battaglia combattuta per ore intorno alla sua casa, confusa per la coreografia dei grandi personaggi in mezzo ai quali viene a trovarsi, il Lannoy ordina di preparare qualcosa da mangiare per il re di Francia. La poveretta s’industria con quel poco, pochissimo, che ha: un brodo di erbe spontanee che gorgoglia nella marmitta sul camino (altra fonte sostiene che il brodo fosse di pollo senza pelle), due crostarelli di pane secco e un uovo. Con questi ingredienti la donna combina la zuppa che tutte le contadine pavesi preparano giorno dopo giorno: sistema i rosicchioli di pane raffermo in una grezza ciotola di legno, rompe sopra l’uovo e versa infine il brodo bollente aggiungendo qualche foglia di erba selvatica di stagione. Quali erbe? Non dimentichiamo che siamo in inverno. A fine febbraio si raccolgono le foglie del rosolaccio, la calendula selvatica, la valerianella olitoria e altre ancora. Ma qualsiasi fosse l’erba del brodo, Francesco I dimostra di apprezzare la zuppa della contadina finendo la scodella in un amen. Quella calda minestra rustica, semplicissima ma gustosa, gli scende nello stomaco che è un piacere regalandogli calore, ristoro, vigore e colore sulle guance e sul nasone.Il sire francese ne fu talmente conquistato che non dimenticò più la zuppa alla pavese e finito il periodo di prigionia - da Pavia fu portato in Spagna dove rimase circa un anno - firmato qualche trattato accomodante con Carlo V, tornato a Parigi, riaccomodatosi sul trono, chiamò i cuochi insegnando loro come preparare le soupe à la pavoise: due pezzi di pane raffermo, un uovo e brodo bollente ad irrorare il tutto. Gli chef aggiustarono il piatto con del formaggio e il brodo bollente fu fatto con ottima carne. Fu così che la zuppa plebea, nata dalla povera cucina contadina nella quale, da secoli, la necessità acuiva l’ingegno scegliendo gli ingredienti che i campi donavano spontaneamente, divenne un piatto regale entrando nei menù più prestigiosi della gastronomia internazionale.Nel maggio 2015 la zuppa alla pavese entra ufficialmente nell’elenco dei Pat, i prodotti agroalimentari tradizionali della Lombardia. Il quotidiano locale, La Provincia pavese, in quell’occasione scrive: «La zuppa alla pavese entra ufficialmente nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali di Regione Lombardia. È stata inserita all’interno dei “prodotti della gastronomia”, una certificazione importante perché è l’unico piatto storico pavese riconosciuto in tutto il mondo. La zuppa che sfamò Francesco I quando venne fatto prigioniero ne è l’esempio più nobile, tanto che si ritrova nei menù di molti ristoranti di città europee, asiatiche ed americane. Ma non in quelli della Provincia di Pavia, dove resta assente ingiustificato».Incredibile. A difendere la zuppa che tanto piacque a Francesco I c’è, oggi, il sodalizio dei Cavalieri della zuppa alla pavese, costituito una quindicina di anni fa per conservare e diffondere la tradizione della zuppa alla pavese. Carlo Sardi è il gran maestro del sodalizio. «In occasione del cinquecentenario della battaglia è prevista tutta una serie di manifestazioni. La confraternita ha pubblicato un libro intitolato Che battaglia per una zuppa!. Il 24 febbraio ci troveremo per la tradizionale cena della zuppa al ristorante La Barcela dove c’è una cuoca bravissima, Lorenza, che ci preparerà il piatto che ristorò Francesco I. Ci troviamo due volte all’anno per onorare questa zuppa che è diventata leggendaria: nell’anniversario della battaglia e nel giorno in cui è stato fondato il sodalizio, il 10 ottobre». Sardi conferma che la zuppa che porta nel mondo il nome di Pavia è raramente presente nei menù dei ristoranti pavesi. «È più facile trovarla in Francia o in Svizzera», dice il gran maestro della confraternita. «Per questo stiamo cercando di stimolare i cuochi di casa nostra a cucinarla per offrirla ai turisti che conoscendone l’affascinante storia la richiedono».I Cavalieri della minestra pavese hanno redatto la Regola della zuppa dettando quella che a loro parere è la ricetta che più si avvicina alla zuppa che fu servita a Francesco I. Questi gli ingredienti: brodo di pollo senza pelle, pane integrale raffermo tostato, uovo crudo e crescione fresco. E questo è il procedimento: portare il brodo a ebollizione; sistemare sul fondo del piatto la fetta di pane integrale raffermo tostato; adagiare l’uovo sul pane stando bene attenti a non rompere il tuorlo. Un attimo prima di versare il brodo nel piatto, aggiungere il crescione; dopo di che, versare rapidamente il brodo bollente facendo rapprendere l’albume.È lapalissiano che in 500 anni le ricette della zuppa alla pavese si siano moltiplicate, soprattutto all’estero, con innumerevoli varianti che riguardano la composizione del brodo. Alcune lo vogliono di pollo, altre rigorosamente vegetale, ma la maggior parte pretende il brodo di carne che rende il piatto più ghiotto anche se, storicamente, poco credibile. Si discute anche sul crescione. Intendiamoci: la piantina delle brassicaceae ha un sapore piacevole, aromatico, leggermente piccante, ma c’è chi fa presente che difficilmente, in febbraio, si trova spontanea nei campi padani.Infine, c’è la questione del formaggio. È altamente improbabile che nel 1525 la contadina della Repentita ne avesse a disposizione. È vero che il «formaggio parmense» esiste da secoli e che, durante l’assedio di Pavia, ne fu distribuito ai soldati che difendevano la città, ma è difficile pensare che nella casa di poverissimi contadini ce ne fosse. Anche perché, con tutti quei soldatacci affamati che giravano intorno alla Repentita, se ce ne fosse stato, sarebbe sparito subito.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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