2024-02-11
Patto di stabilità, il testo impone la transizione green e sottrae altra sovranità agli Stati
Paolo Gentiloni e Ursula von der Leyen (Ansa)
Per i governi spazi di manovra sempre più stretti su tasse e welfare: le Europee saranno fondamentali. Sussidi di disoccupazione fuori dal debito: a Bruxelles il modello resta quello del Reddito di cittadinanza.Il trilogo europeo ha approvato il nuovo Patto di stabilità. Una decisione che impatterà sul nostro budget fiscale per i prossimi 30 anni e che, come spesso accade, è stata presa con il favore delle tenebre. Nel senso letterale del termine. Dopo oltre 15 ore di discussione i negoziatori del Consiglio e del Parlamento Ue ieri all’alba hanno raggiunto un’intesa sulla riforma della governance economica. Primo commento a caldo. Televisioni e quotidiani dovrebbero dedicare al tema fette importanti delle redazioni per spiegare che cosa tutto ciò comporterà per le nostre tasse, i contributi, il welfare nostro e della prossima generazione. Invece nulla. Nei momenti cruciali i mass media sembrano sempre preferire non disturbare il manovratore Ue. Secondo commento a caldo. Praticamente tutti gli analisti, gli editorialisti e i politici (ovviamente in primis di sinistra) concordano che l’attuale Patto di stabilità sia decisamente migliore di quello precedente stoppato solo per via della pandemia di Covid-19. Tutti concordano che l’attuale è un grande passo avanti e quello vecchio non facilitava lo sviluppo né la crescita. Caspita, per anni questo giornale si è battuto in solitudine per denunciare l’ottusità di certe posizioni e l’anacronismo di scelte scollegate dalla realtà. Ora tutti maestri di corsi anti austerity. Pazienza, così va il mondo. Ecco però che questi insegnamenti ci spingono a priori a prendere con le pinze ciò che sembra tutto rose e fiori. Infatti, seppure corrisponda al vero che l’attuale Patto è un passo in avanti, ci sono elementi qualitativi da prendere con le pinze. All’inizio del processo di formazione delle strategie di bilancio la Commissione presenterà una «traiettoria di riferimento» (precedentemente era chiamata «traiettoria tecnica») agli Stati in cui il debito pubblico supera attualmente il 60% del Prodotto interno lordo o il cui disavanzo pubblico supera il 3% del Pil. A quel punto la «traiettoria di riferimento» indicherà come i singoli governi potranno garantire che il debito pubblico finisca con il trovarsi su una traiettoria «plausibilmente discendente o rimanere a livelli prudenti nel medio termine». Sulla base della «traiettoria di riferimento», gli Stati membri incorporano poi il percorso di aggiustamento dei conti pubblici, espresso in qualità di «percorsi di spesa netta» quantificata nei loro piani strutturali di bilancio. I piani, compresi i percorsi di spesa netta, dovranno essere in ogni caso approvati dal Consiglio. E qui viene il punto vero della questione. Le nuove regole obbligheranno gli Stati ad assicurare gli investimenti nelle aree prioritarie Ue quali transizione climatica e digitale, sicurezza energetica e difesa. Gli investimenti già intrapresi devono essere presi in considerazione dalla Commissione quando farà il punto sulle deviazioni dal percorso di spesa. «In tal modo», ha spiegato ieri il Parlamento, «sarà dato più spazio al governo per argomentare la propria causa per non essere sottoposto a una procedura per disavanzo eccessivo». In pratica, i binari delle macro riforme (dal green fino al digitale passando per il welfare e le pensioni) saranno decisi a Bruxelles. A essere condivise saranno le modalità di attuazione. Perché, terminato il Pnrr o il Recovery plan, con questo schema di stabilità fiscale entreranno in campo, dopo il 2027, altri Pnrr o altri piani europei di investimento. Cambieranno i nomi, ma non la sostanza della pianificazione. Esattamente il tassello che crea uno schema circolare. Il Patto serve a rientrare dai debiti e a realizzare i grandi piani europei di trasformazione green e digitale. Al tempo stesso, se gli Stati non attueranno le riforme connesse a queste trasformazioni, anche dimostrando di mantenere valide le percentuali di rientro di deficit o debito, la flessibilità fiscale concessa sarà negata. Che succede in questi casi? Basta leggere il testo: «Se uno Stato membro percorre la strada dell’aggiustamento fiscale concordato, ma fallisce gli obiettivi di riforme e di messa a terra degli investimenti previsti, allora la Commissione introdurrà un percorso di tagli molto più breve». A quel punto, addio flessibilità. Due note a maegine. Prima. Che cosa resta fuori dalla pianificazione? Poco. Gli interessi sul debito, se si resta in carreggiata e - dato interessante - gli elementi ciclici della spesa per i sussidi di disoccupazione non verranno presi in considerazione nel calcolo della spesa pubblica. Questo spiega perché negli ultimi anni l’Ue abbia spinto per il Reddito di cittadinanza. Il modello del lavoro immaginato da Bruxelles evidentemente continuerà a prevedere sussidi e accessi alla produzione con buste paga sempre più basse. Produttività e povertà. Seconda nota a margine. Ai governi resterà da gestire un magro budget annuale, la cosiddetta manovra. I piani di rientro fiscale dovranno essere presentati il prossimo 20 settembre alla nuova Commissione. Per questo è importante almeno alle prossime elezioni europee sbaragliare i socialisti. La stanza dei bottoni a Bruxelles si amplierà a dismisura. Importante mandarci chi non manovrerà contro il nostro Paese.
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