
Il pan di Spagna è genovese. La zuppa inglese sarebbe nata a Ferrara. Storia e geografia hanno frullato autori e destinatari e a soffrirne è proprio il made in Italy. La zuppa inglese? Non è inglese. Il pan di Spagna? Non è spagnolo. L'insalata russa? Non è russa. Questa, quello e quell'altra sono italiani docg, denominazione di origine controllata e garantita. Com'è possibile che dolci e ricette italianissimi si ritrovino con una falsa carta d'identità? Che militino sotto altre bandiere? Non ci bastava la fuga dei cervelli? Adesso ci scappano anche insalate, zuppe, biscotti, creme e, Dio non voglia, anche pizze e pastasciutte? Tranquilli. Nessuna fuga. E nessuno scippo da parte straniera. Se c'è un colpevole è la stessa gastronomia che, lungo i secoli, ha mescolato storia e geografia nel frullatore scodellando equivoci che il tempo ha consolidato, mescolando le carte come un illusionista.Cominciamo dal pan di Spagna. Lo inventò un giovane cuoco genovese, Giovanni Battista Cabona, detto Giobatta, che era al servizio di Domenico Pallavicini, ambasciatore della Repubblica ligure alla corte di Madrid alla metà del Settecento. Fu in occasione di un banchetto reale che Giobatta, rielaborando la ricetta dei biscotti savoiardi, creò una pasta battuta con uova e farina che chiamò pan di Spagna. Il dolce, ottimo per esaltare creme, zabaioni e altri composti, leggero come una nuvola, entusiasmò el rey, Ferdinando VI di Borbone, e tutta la sua corte che con cavalleria tutta spagnola riconobbe il merito del pasticcere, ribattezzando la sua creatura Génoise. Genovese. E tale il pan di Spagna è rimasto per spagnoli e francesi: pâte génoise, pasta genovese.Sull'origine della zuppa inglese, italianissimo dolce al cucchiaio, fatto con pan di Spagna imbevuto nell'alkermes e crema pasticcera, ci sono molte ipotesi, qualcuna leggendaria, e si accapigliano tre regioni: Emilia Romagna, Toscana e Marche. Tra gli studiosi dell'arte culinaria c'è chi attribuisce la zuppa a un diplomatico della corte estense (siamo nel 1500) che di ritorno dall'Inghilterra avrebbe rielaborato un dolce anglosassone intinto in un liquore. Altri raccontano che il dolce è stato inventato da una domestica toscana, al servizio di una famiglia inglese residente sulle colline fiorentine. Altri sostengono che era una delle specialità del Caffè Doney, locale fiorentino molto frequentato dagli inglesi che nel 1800 abitavano a Firenze e, da loro, chiamato zuppa inglese. Ad Ancona assicurano che l'aggettivo «inglese» è una metafora: essendo il pan di Spagna imbevuto di liquore, ed essendo, com'è noto, gli inglesi amanti dell'alcol, per trasferimento di significato anche questa zuppa alcolica è inglese. Mah... A codificarlo come «zuppa inglese» ci pensa, alla fine dell'Ottocento, il profeta della cucina italiana. Pellegrino Artusi, romagnolo di nascita, ma residente a Firenze, ne La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene non l'attribuisce a questa o a quella regione. Nella ricetta certosina che propone- è la 675- Artusi nomina, sì, i toscani, ma solo per rimproverarli di preparare una «crema molto sciolta» e servita nelle tazze di caffè. «Fatta in questo modo», li bacchetta, «riesce, è vero, più delicata, ma non si presta per una zuppa inglese nello stampo e non fa bellezza». Per «fare bellezza» Artusi suggerisce di porre nello stampo uno strato di savoiardi intinti nell'alkermes alternato con uno strato di crema alternato a uno strato di savoiardi intinti nel rosolio bianco alternato a un altro strato di crema e così via «fino a riempirne lo stampo». Troppo dolce? «Correggete con rhum o col cognac».Sull'origine dell'insalata russa c'è una vera e propria insalata di ipotesi. Ma che sia nata in Italia lo riconoscerebbero gli stessi... russi. Scrive Renzo Pellati, attento storico della gastronomia e specialista in scienze dell'alimentazione, nel libro La storia di ciò che mangiamo: «L'insalata russa in Russia non esiste. Viene chiamata “insalata italiana"». I tedeschi la chiamano italianischer salat. Anche in Danimarca la chiamano «insalata all'italiana». E allora, da dove salta fuori il russo? Qui la storia del piatto si complica assai.Secondo alcuni l'avrebbe introdotto in Francia, nel 1500, Caterina de' Medici (sempre lei!) andata in sposa a Enrico di Valois, futuro re di Francia. Diffusasi in Francia, l'insalata (non ancora russa) seguì le armate napoleoniche nell'invasione della terra degli zar dove un certo Lucien Olivier l'avrebbe fatta conoscere. Altri ricercatori dicono che non fu così. In Russia l'insalata sarebbe arrivata dalla Polonia, dove l'avrebbe introdotta Bona Sforza, andata sposa a re Sigismondo. Altri sostengono l'origine piemontese: il solito cuoco di corte, questa volta al servizio dei Savoia, avrebbe preparato tale insalata in occasione di una visita dello zar a Torino con verdure comuni in Russia: carote, patate, barbabietole. Il sovrano, molto colpito, tornò in patria portandosi dietro la ricetta. La maionese sarà aggiunta in un secondo tempo, dopo la diffusione dell'insalata. Qui ci fermiamo, anche se ci sono altre teorie (una riguarda il servizio di portata detto «alla russa»). Scegliete quella che preferite. Una cosa è certa: l'insalata russa, come la conosciamo noi, è italiana.Un altro piatto con il nome ingannevole è la parmigiana. Il ghiottissimo piatto a base di melanzane fritte, gratinate in forno con vari formaggi- soprattutto parmigiano, ma anche pecorino, scamorza, caciocavallo- e successiva aggiunta di passata di pomodoro, aglio e basilico, si chiama parmigiana, ma non è di Parma. È meridionale. Ne contendono la nascita Sicilia e Campania. Chi delle due regioni ha ragione? Per non inimicarsi l'una o l'altra il ministero delle politiche Agricole, alimentari e forestali ha inserito la parmigiana di melanzane, verdura introdotta nel meridione dagli arabi all'inizio del medioevo, nel registro dei prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) di entrambe. Anzi, per prevenire eventuali contestazioni da parte della Calabria, ha registrato la parmigiana anche nei suoi Pat. A guardare bene, si scopre una parmigiana anche nei prodotti della gastronomia pugliese: la parmigiana de Santu Ronzu. Ma perché questo piatto si chiama «parmigiana» e non «siciliana» o «campana» o altro? Forse perché tra i vari ingredienti che entrano in scena recita il Vittorio Gassman dei formaggi, il mattatore dei caci a pasta dura: il parmigiano reggiano? Forse è così, anche se in Sicilia sottolineano che nell'isola la parmigiana di melanzane la preparavano con il pecorino siciliano prima ancora che si diffondesse, in tempi recenti, il formaggio emiliano. A Napoli tirano l'acqua al loro mulino citando due cuochi vissuti a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, Vincenzo Corrado e Ippolito Cavalcanti, autori di altrettanti testi sulla cucina napoletana, che suggeriscono ricette nelle quali consigliano l'abbondante uso del parmigiano tra strato e strato di «zucche lunghe», il primo, e tra strato e strato di melanzane, il secondo.C'è un aspetto, però, ci porta sulla via Emilia, in direzione di Parma. Il vocabolario Treccani - ma molti altri testi sottolineano la stessa cosa - recita: «Nel linguaggio gastronomico pietanza preparata al modo dei parmigiani e consistente in una preparazione di verdure affettate, infarinate, talvolta passate nell'uovo e fritte, quindi disposte in tegame a strati e condite con sugo di pomodoro, abbondante formaggio parmigiano e talvolta mozzarella e infine cotte in forno: parmigiana di melanzane, di zucchine, di cardi...».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.