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2021-11-25
È partita la campagna del governo per somministrare il siero ai bimbi
Ansa
Libertà di circolazione per tutti i bambini sotto i 12 anni, ma tanto sopra i 5 anni si avvicina a grandi passi la vaccinazione di massa. Se il governo italiano ieri sera ha evitato di estendere il green pass anche ai bambini di scuole primarie e medie, l'Ema potrebbe ammettere già oggi il vaccino anche per la fascia di popolazione tra i 5 e i 12 anni. E una volta che si sarà espressa a favore l'Agenzia europea per i medicinali, arriverà immediatamente il semaforo verde dell'italiana Aifa. A sua volta, questo via libera sarà nuovo carburante per la martellante campagna mediatica che mira a introdurre obblighi vaccinali per tutti. Bambini compresi. La campagna sui bambini, però, partirà subito e lo ha anticipato Mario Draghi: «Al via da subito un'importante campagna di sensibilizzazione sulla vaccinazione per i più piccoli», perché «immaginiamo che potranno esserci delle resistenze».
Pur nella confusione di messaggi e ballon d'essai che arrivano quotidianamente dal governo e dalla pletora di consulenti del ministro Roberto Speranza, la direzione di marcia delle autorità italiane nei metodi di contrasto della pandemia cinese è chiara e coerente fin dai tempi di Giuseppe Conte: su obblighi e limitazioni, indietro non si torna. Ogni volta, si tratta solo di preparare il campo adeguatamente al nuovo giro di vite, con la tenaglia rappresentata da green pass e vaccinazione, e con sullo sfondo il fantasma dell'impoverimento di massa da lockdown. O, quantomeno, del Natale «rovinato».
Ecco perché c'è poco da illudersi sul fatto che la cabina di regia di ieri abbia escluso l'obbligo di green pass per i ragazzini sotto i 12 anni di età, sui quali la Lega di Matteo Salvini ha fatto le barricate. Il Carroccio si è fatto promettere che il certificato non sarà richiesto neppure quando ci sarà il via libera alla vaccinazione dei bambini. Per vedere se il governo sarà di parola non serviranno molti giorni. L'estensione della puntura di Stato ai pargoli corre ormai a grandi falcate, accompagnata dalla diffusione di dati sempre più ansiogeni, nonostante il Covid continui a essere un virus che sembra dare più problemi ai nonni che ai nipoti. Ma i nonni votano e i nipoti no. E l'Italia, dalle pensioni al mercato del lavoro, passando per sindacati e partiti, è sempre più un Paese per anziani. Ieri, alla cabina di regia il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il coordinatore dei «saggi» ministeriali, Franco Locatelli, hanno spiegato a Draghi e ai capi delegazione dei partiti che occorre «sensibilizzare le famiglie italiane» sulla vaccinazione dei minori tra i 5 e i 12 anni. Durante la riunione, però, si sarebbe convenuto che per ora non sia il caso di obbligare alla vaccinazione e al green pass anche i ragazzini. E questo, come detto, anche quando l'Aifa approverà la loro vaccinazione. Non un'ipotesi avanti nel tempo, ma di poche ore.
Giorgio Palù, presidente dell'Agenzia del farmaco e membro del Cts, ieri non ha brillato per diplomazia e ha affermato che «il Covid-19 sta mutando». Glissando come al solito sui dati che contano davvero, ovvero terapie intensive e morti, Palù si è dedicato ai famosi «contagi». «Se prima il 2% dei bambini contraeva l'infezione, con la variante Alfa, oggi siamo al 25-30%», ha osservato il capo di Aifa, e non a caso «l'Ema sta discutendo sull'estensione della possibilità di vaccinare questa fascia d'età». «La decisione potrebbe già arrivare tra oggi o domani, a cui seguirebbe quella dell'Aifa entro 24 ore», ha concluso.
Ma il punto più interessante delle dichiarazioni di Palù riguarda l'obbligo. «Una valutazione sull'obbligo di vaccinazione», ha rivelato, «verrà fatta progressivamente, ponderata con rischi e benefici. I dati dell'epidemia ci stanno dicendo che la categoria 5-11 anni è quella che presenta il maggior numero di casi incidenti». La formula un po' oscura dei «casi incidenti» rimanda a un calcolo probabilistico sulla possibilità che una persona si ammali e si distingue dal concetto di «prevalenza», che invece è il rapporto tra gli «eventi sanitari rilevati» in una popolazione in un certo arco di tempo e il numero di cittadini sotto osservazione. Insomma, il gioco di prestigio di Palù è quello di non voler usare la locuzione «soggetti a rischio», che gli sembra meno forte di «casi» veri e propri.
Al momento le fiale autorizzate per i bambini sono quelle della Pfizer e sono diverse da quelle per gli adulti. Sarà interessante vedere quale strada sceglierà il governo italiano, tra la somministrazione nei normali hub oppure negli studi dei pediatri. Il dibattito non sarà semplice e poi c'è ancora da organizzare la campagna, motivo per il quale, di fatto, la possibilità di vaccinare gli under 12 dovrebbe iniziare con il prossimo anno. Anche se lo zelante capo dell'Aifa ha affermato che «le vaccinazioni anti Covid sui bambini potrebbero partire anche dal prossimo lunedì». Del resto Speranza ieri, su Facebook, ha dettato la linea con chiarezza: «Ora le prenotazioni vanno aperte a tutti, senza fasce di età». Nel corso della conferenza stampa di Palazzo Chigi, in serata, il ministro ha invece teso una mano ai pediatri, affermando che la campagna di comunicazione annunciata da Draghi mirerà in sostanza a far sì che i genitori dubbiosi «ascoltino i propri pediatri».
Privacy, per il Garante è uno sgarbo
Il super green pass altererà il delicato equilibrio raggiunto, in materia di privacy, con l'attuale versione del certificato Covid. Con l'introduzione del modello 2G praticamente per ogni attività sociale, al di fuori del lavoro, cadrà ogni velo di riservatezza sui dati sanitari ultrasensibili.
Chi frequenterà bar e ristoranti, per il semplice fatto di averci messo piede, dovrà attestare al titolare dell'attività o a un cameriere di essere vaccinato. A meno che non sia guarito da meno di sei mesi e, quindi, non ancora tenuto a sottoporsi all'iniezione. Una circostanza sempre più rara, vista l'elevatissima copertura vaccinale raggiunta in Italia tra gli over 12: scommettiamo che, tra chi è uscito dal Covid negli ultimi 180 giorni, una buona parte era già inoculata. Anche in fabbriche e uffici verrà meno l'ultima foglia di fico: al netto delle modifiche tecniche all'app dei codici a barre, che vanno ancora definite, la prevedibile differenziazione dei Qr code per chi è guarito o vaccinato e per chi ha ottenuto un tampone negativo consentirà, ai datori di lavoro, di accertare lo status dei dipendenti.
Insomma, l'ennesima, isterica stretta archivia i paletti che il Garante aveva fissato la scorsa estate, facendo in modo che, dal solo codice a barre, non si potesse risalire alla situazione particolare del possessore della tessera. Il giro di vite è arrivato senza che l'esecutivo consultasse l'Authority, dalla quale, non a caso, ieri sono filtrati disappunto e insofferenza per quello che appare come un sostanziale esautoramento. Da parte degli uffici del presidente, Pasquale Stanzione, e della sua vice, Ginevra Cerrina Feroni, non c'è mai stato alcun atteggiamento preconcetto nei confronti dei provvedimenti di Palazzo Chigi. Ecco perché fonti interne al Garante, pur evitando di rilasciare una dichiarazione ufficiale, hanno fatto trasparire una certa perplessità per il trattamento subito.
Lo «sgarbo» del governo, d'altronde, è una logica conseguenza del blitz attuato, il mese scorso, con il decreto Capienze. Il dl ha abrogato l'articolo 2 quinquiesdecies del Codice privacy (il dlsg 196/2003), con il quale era stato istituito l'obbligo di consultare in via preventiva il Garante, in caso di trattamenti di dati ad alto rischio. Proprio questa facoltà in capo all'Authority aveva determinato alcuni momenti di attrito con l'esecutivo: il blocco temporaneo dell'app Io e l'ammonimento ufficiale rispetto alla prima versione del green pass, messa in piedi, appunto, senza previo e obbligatorio parere di Stanzione.
Ecco, dunque, la risposta di Mario Draghi, del quale abbiamo ormai compreso la propensione accentratrice: visto che il Regolamento Ue non prevede questo potere d'ispezione preventiva da parte del Garante, esso è stato abolito.
Adesso rimane da capire se, sia pure alla luce della nuova cornice legislativa, il super green pass sia compatibile con l'imperativo del rispetto della privacy. Il decreto Capienze interveniva sui trattamenti dati effettuati dalla Pa; tuttavia, come abbiamo visto, il sistema 2G altera il quadro anche sul fronte dei controlli: con scaltrezza, il governo aveva già scaricato l'onere della sorveglianza sulla società civile. In merito a questi cortocircuiti, attendiamo che l'Autorità rompa il silenzio.
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Mario Draghi annuncia le attività di «sensibilizzazione» per vincere le resistenze. Roberto Speranza intanto dà per certo gli ok di Ema e Aifa per l'iniezione nella fascia 5-11 anni. E Giorgio Palù si spinge oltre, ipotizzandone già l'obbligo.La super carta verde leva ogni residua riservatezza sui dati. E spazza via i paletti fissati dall'Authority, già esautorata dal dl Capienze, che lascia trapelare irritazione.Lo speciale contiene due articoli.Libertà di circolazione per tutti i bambini sotto i 12 anni, ma tanto sopra i 5 anni si avvicina a grandi passi la vaccinazione di massa. Se il governo italiano ieri sera ha evitato di estendere il green pass anche ai bambini di scuole primarie e medie, l'Ema potrebbe ammettere già oggi il vaccino anche per la fascia di popolazione tra i 5 e i 12 anni. E una volta che si sarà espressa a favore l'Agenzia europea per i medicinali, arriverà immediatamente il semaforo verde dell'italiana Aifa. A sua volta, questo via libera sarà nuovo carburante per la martellante campagna mediatica che mira a introdurre obblighi vaccinali per tutti. Bambini compresi. La campagna sui bambini, però, partirà subito e lo ha anticipato Mario Draghi: «Al via da subito un'importante campagna di sensibilizzazione sulla vaccinazione per i più piccoli», perché «immaginiamo che potranno esserci delle resistenze». Pur nella confusione di messaggi e ballon d'essai che arrivano quotidianamente dal governo e dalla pletora di consulenti del ministro Roberto Speranza, la direzione di marcia delle autorità italiane nei metodi di contrasto della pandemia cinese è chiara e coerente fin dai tempi di Giuseppe Conte: su obblighi e limitazioni, indietro non si torna. Ogni volta, si tratta solo di preparare il campo adeguatamente al nuovo giro di vite, con la tenaglia rappresentata da green pass e vaccinazione, e con sullo sfondo il fantasma dell'impoverimento di massa da lockdown. O, quantomeno, del Natale «rovinato». Ecco perché c'è poco da illudersi sul fatto che la cabina di regia di ieri abbia escluso l'obbligo di green pass per i ragazzini sotto i 12 anni di età, sui quali la Lega di Matteo Salvini ha fatto le barricate. Il Carroccio si è fatto promettere che il certificato non sarà richiesto neppure quando ci sarà il via libera alla vaccinazione dei bambini. Per vedere se il governo sarà di parola non serviranno molti giorni. L'estensione della puntura di Stato ai pargoli corre ormai a grandi falcate, accompagnata dalla diffusione di dati sempre più ansiogeni, nonostante il Covid continui a essere un virus che sembra dare più problemi ai nonni che ai nipoti. Ma i nonni votano e i nipoti no. E l'Italia, dalle pensioni al mercato del lavoro, passando per sindacati e partiti, è sempre più un Paese per anziani. Ieri, alla cabina di regia il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il coordinatore dei «saggi» ministeriali, Franco Locatelli, hanno spiegato a Draghi e ai capi delegazione dei partiti che occorre «sensibilizzare le famiglie italiane» sulla vaccinazione dei minori tra i 5 e i 12 anni. Durante la riunione, però, si sarebbe convenuto che per ora non sia il caso di obbligare alla vaccinazione e al green pass anche i ragazzini. E questo, come detto, anche quando l'Aifa approverà la loro vaccinazione. Non un'ipotesi avanti nel tempo, ma di poche ore. Giorgio Palù, presidente dell'Agenzia del farmaco e membro del Cts, ieri non ha brillato per diplomazia e ha affermato che «il Covid-19 sta mutando». Glissando come al solito sui dati che contano davvero, ovvero terapie intensive e morti, Palù si è dedicato ai famosi «contagi». «Se prima il 2% dei bambini contraeva l'infezione, con la variante Alfa, oggi siamo al 25-30%», ha osservato il capo di Aifa, e non a caso «l'Ema sta discutendo sull'estensione della possibilità di vaccinare questa fascia d'età». «La decisione potrebbe già arrivare tra oggi o domani, a cui seguirebbe quella dell'Aifa entro 24 ore», ha concluso. Ma il punto più interessante delle dichiarazioni di Palù riguarda l'obbligo. «Una valutazione sull'obbligo di vaccinazione», ha rivelato, «verrà fatta progressivamente, ponderata con rischi e benefici. I dati dell'epidemia ci stanno dicendo che la categoria 5-11 anni è quella che presenta il maggior numero di casi incidenti». La formula un po' oscura dei «casi incidenti» rimanda a un calcolo probabilistico sulla possibilità che una persona si ammali e si distingue dal concetto di «prevalenza», che invece è il rapporto tra gli «eventi sanitari rilevati» in una popolazione in un certo arco di tempo e il numero di cittadini sotto osservazione. Insomma, il gioco di prestigio di Palù è quello di non voler usare la locuzione «soggetti a rischio», che gli sembra meno forte di «casi» veri e propri. Al momento le fiale autorizzate per i bambini sono quelle della Pfizer e sono diverse da quelle per gli adulti. Sarà interessante vedere quale strada sceglierà il governo italiano, tra la somministrazione nei normali hub oppure negli studi dei pediatri. Il dibattito non sarà semplice e poi c'è ancora da organizzare la campagna, motivo per il quale, di fatto, la possibilità di vaccinare gli under 12 dovrebbe iniziare con il prossimo anno. Anche se lo zelante capo dell'Aifa ha affermato che «le vaccinazioni anti Covid sui bambini potrebbero partire anche dal prossimo lunedì». Del resto Speranza ieri, su Facebook, ha dettato la linea con chiarezza: «Ora le prenotazioni vanno aperte a tutti, senza fasce di età». 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Chi frequenterà bar e ristoranti, per il semplice fatto di averci messo piede, dovrà attestare al titolare dell'attività o a un cameriere di essere vaccinato. A meno che non sia guarito da meno di sei mesi e, quindi, non ancora tenuto a sottoporsi all'iniezione. Una circostanza sempre più rara, vista l'elevatissima copertura vaccinale raggiunta in Italia tra gli over 12: scommettiamo che, tra chi è uscito dal Covid negli ultimi 180 giorni, una buona parte era già inoculata. Anche in fabbriche e uffici verrà meno l'ultima foglia di fico: al netto delle modifiche tecniche all'app dei codici a barre, che vanno ancora definite, la prevedibile differenziazione dei Qr code per chi è guarito o vaccinato e per chi ha ottenuto un tampone negativo consentirà, ai datori di lavoro, di accertare lo status dei dipendenti. Insomma, l'ennesima, isterica stretta archivia i paletti che il Garante aveva fissato la scorsa estate, facendo in modo che, dal solo codice a barre, non si potesse risalire alla situazione particolare del possessore della tessera. Il giro di vite è arrivato senza che l'esecutivo consultasse l'Authority, dalla quale, non a caso, ieri sono filtrati disappunto e insofferenza per quello che appare come un sostanziale esautoramento. Da parte degli uffici del presidente, Pasquale Stanzione, e della sua vice, Ginevra Cerrina Feroni, non c'è mai stato alcun atteggiamento preconcetto nei confronti dei provvedimenti di Palazzo Chigi. Ecco perché fonti interne al Garante, pur evitando di rilasciare una dichiarazione ufficiale, hanno fatto trasparire una certa perplessità per il trattamento subito. Lo «sgarbo» del governo, d'altronde, è una logica conseguenza del blitz attuato, il mese scorso, con il decreto Capienze. Il dl ha abrogato l'articolo 2 quinquiesdecies del Codice privacy (il dlsg 196/2003), con il quale era stato istituito l'obbligo di consultare in via preventiva il Garante, in caso di trattamenti di dati ad alto rischio. Proprio questa facoltà in capo all'Authority aveva determinato alcuni momenti di attrito con l'esecutivo: il blocco temporaneo dell'app Io e l'ammonimento ufficiale rispetto alla prima versione del green pass, messa in piedi, appunto, senza previo e obbligatorio parere di Stanzione. Ecco, dunque, la risposta di Mario Draghi, del quale abbiamo ormai compreso la propensione accentratrice: visto che il Regolamento Ue non prevede questo potere d'ispezione preventiva da parte del Garante, esso è stato abolito. Adesso rimane da capire se, sia pure alla luce della nuova cornice legislativa, il super green pass sia compatibile con l'imperativo del rispetto della privacy. Il decreto Capienze interveniva sui trattamenti dati effettuati dalla Pa; tuttavia, come abbiamo visto, il sistema 2G altera il quadro anche sul fronte dei controlli: con scaltrezza, il governo aveva già scaricato l'onere della sorveglianza sulla società civile. In merito a questi cortocircuiti, attendiamo che l'Autorità rompa il silenzio.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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