2024-06-27
Oggi parte la conta: l’Italia può astenersi. E c’è l’opzione rinvio
Giorgia Meloni e Raffaele Fitto (Ansa)
Sergio Mattarella: «Non si prescinda dall’Italia». Giorgia Meloni è aperta a tutte le possibilità. Ma non vorrebbe mandare Raffaele Fitto a Bruxelles.«Non si può prescindere dall'Italia»: la riflessione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, trapelata dalla consueta colazione di lavoro al Quirinale che precede il Consiglio europeo con il premier Giorgia Meloni, e i ministri degli Esteri Antonio Tajani, dell’Economia Giancarlo Giorgetti, e delle Politiche europee Raffaele Fitto, conferma quanto La Verità aveva anticipato due settimane fa. Scrivemmo che per il capo dello Stato è impensabile un’Italia che non partecipi da protagonista ai processi decisionali dell’Unione europea: quanto filtrato ieri dal Colle va esattamente in questa direzione, e ha suscitato soddisfazione negli ambienti del governo. Naturalmente, non rientra nelle funzioni del capo dello Stato entrare nelle dinamiche politiche che fanno da sfondo alle trattative in corso in queste ore in vista dell’attribuzione dei nuovi incarichi all’interno dell’Unione, ma le parole del presidente saranno certamente risuonate nelle cancellerie europee. L’equilibrio sul quale si regge lo schema messo a punto da Popolari, Socialisti e Liberali, che vede la riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, Antonio Costa al vertice del Consiglio e Kaja Kallas Alto Rappresentante per la politica estera, è già precario: un voto contrario dell’Italia rappresenterebbe, più che una falsa partenza, un vero e proprio azzoppamento del prossimo esecutivo continentale. Le parole di ieri in Parlamento della Meloni lasciano aperti tutti gli scenari su quale sarà la decisione del premier, che ha fatto la voce grossa seguendo la regola aurea della politica: alzare il prezzo per ottenere il massimo possibile. Nulla, quindi, è scontato, e questo non dipende in realtà solo da quello che farà l’Italia: fonti molto attendibili da Bruxelles dicono alla Verità che «c’è il rischio che salti tutto». Del resto, come dicevamo, l’arrocco dei tre partiti che hanno composto la «maggioranza Ursula» della scorsa legislatura si basa su equilibri numericamente fragili (meno di 40 voti in più rispetto ai 361 richiesti perché la nuova Commissione ottenga la «fiducia» all’Eurocamera) e politicamente debolissimi (i Socialisti in Germania sono stati sconfitti clamorosamente, i Liberali di Macron sono alla frutta, i Popolari sono attraversati da uno strisciante malcontento nei confronti della Von der Leyen). Fare a meno del voto in Consiglio europeo di Giorgia Meloni può essere un azzardo, rifiutare con altezzoso sdegno quelli di Fratelli d’Italia significherebbe trasformare il voto di «fiducia» in una roulette russa politica. L’irritazione della Meloni per essere stata esclusa dal tavolo delle trattative è pleonastico sottolinearla: il premier ieri in Parlamento non ha usato eufemismi nel condannare il metodo utilizzato dal tripartito di maggioranza. Detto ciò, la Meloni ha ben presente la necessità di mettere da parte la sfera emotiva e giocare con spietata freddezza le sue carte nell’interesse dell’Italia. Schierarsi sul fronte del «no» insieme al fronte antieuropeista, quello che va da Orbán alla estrema destra di Afd, vorrebbe dire condannare il Paese alla irrilevanza; d’altro canto, dire sì senza avere una contropartita politica adeguata andrebbe in contraddizione con quanto affermato dalla Meloni in Parlamento. Una astensione del premier al Consiglio europeo sulle nomine neanche è da escludere: la Commissione partirebbe lo stesso, ma verrebbe messa a verbale la contrarietà del governo italiano rispetto al metodo utilizzato da Popolari, Socialisti e Liberali. Da Bruxelles vengono messe in circolazione «veline» che hanno l’obiettivo di innervosire il governo: «Fino a questo momento», ha riferito all’Ansa un alto diplomatico europeo, «sono tre i Paesi che non hanno dato il loro consenso all’accordo sulle nomine: l’Italia di Giorgia Meloni, l’Ungheria di Viktor Orbán e la Slovacchia di Robert Fico. Speriamo di poter portare a bordo anche la Meloni». Accostare la Meloni a Orbán e Fico, due leader considerati filorussi, può essere considerato un «pizzino» rivolto in particolare a Washington: l’amministrazione americana osserva con particolare interesse la partita europea, e in questo senso la totale adesione del governo italiano alle strategie della Nato in Ucraina dovrebbe suggerire ai leader europei un atteggiamento molto più inclusivo nei confronti del nostro Paese. Tutto ancora aperto, dunque: non si esclude neanche che possa essere proposto un rinvio dell’approvazione delle alte cariche, anche perché tra la fine di giugno e l’inizio di luglio in Francia si svolgeranno le elezioni legislative, con il Rn di Marine Le Pen strafavorito nei sondaggi e un quadro politico europeo che quindi potrebbe cambiare radicalmente. Intanto la riunione costitutiva del gruppo Ecr, i Conservatori di cui fa parte Fdi, prevista ieri, è slittata. I polacchi del Pis non vogliono votare a favore della Von der Leyen. Infine, una indiscrezione raccolta dalla Verità sul commissario italiano: Raffaele Fitto, dato in pole position da molti osservatori, dovrebbe invece restare a Roma. Giorgia Meloni lo considera un pilastro del governo, e difficilmente deciderà di privarsene.