2024-03-13
Parolin «corregge» il Papa sulla «bandiera bianca» con lo sguardo al conclave
Dopo il controcanto su «Fiducia Supplicans», il Segretario di Stato aggiusta il tiro sull’Ucraina. Presentandosi come un possibile successore moderato di Bergoglio.Il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, nell’intervista concessa ieri al Corriere fa diplomaticamente da contrappeso alle parole del Papa sull’Ucraina, pronunciate nell’intervista alla televisione svizzera. Il cardinale Parolin ha detto al quotidiano di via Solferino che per arrivare alla pace «la prima condizione» è «quella di mettere fine all’aggressione» russa, parole che sembrano in discontinuità con la «bandiera bianca» richiamata dal Pontefice: Francesco aveva detto che quando si vede «che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?». Se Kiev ha risposto in modo stizzito al Papa, le parole del Segretario di Stato equilibrano il discorso sottolineando appunto che è l’aggressore, cioè la Russia, a doversi prendere la responsabilità del primo passo di un cessate il fuoco per aprire il negoziato.Il cardinale Parolin, che ha certamente condiviso con il Papa l’intervento di ieri al Corriere, in un certo senso ha solo ribadito quello che più volte la Santa Sede ha ricordato, e cioè che in Ucraina c’è un aggressore e un aggredito. Tuttavia, questa distinzione, più volte indicata anche dallo stesso Pontefice, viene spesso rimossa, e comunque non ha mai fermato l’idea di Francesco di cercare una via d’uscita realistica alla situazione in Ucraina. D’altro canto le interviste a ripetizione concesse da Francesco, unite al suo stile colloquiale e non sempre chiaro, sono un problema serio per la diplomazia vaticana, felpata e prudente per natura. Da questo punto di vista l’intervento di Parolin ha anche il sapore di un messaggio interno alla Chiesa, da tempo attraversata da burrasche, dibattiti e divisioni proprio per le varie accelerazioni estemporanee di Jorge Mario Bergoglio, tanto che nel collegio cardinalizio, a destra e a sinistra, ormai molti desiderano un futuro Papa semplicemente misurato e conciliante. Sempre il Segretario di Stato, infatti, era intervenuto a seguito della reazione dei vescovi africani di fronte alla Dichiarazione Fiducia Supplicans, quella a firma del prefetto dell’ex Sant’Uffizio, cardinale Víctor Fernández, in cui si introduce la benedizione fast («10-15 secondi») ed extraliturgica per le coppie «irregolari» e dello stesso sesso. Il caos generato da questa apertura ha chiaramente diviso la Chiesa, con intere conferenze episcopali di fatto contrarie alla lettera del documento. Il cardinale Parolin in quei giorni, parlando a margine di una conferenza all’Accademia dei Lincei, e interrogato proprio sulle proteste africane, rilevava che con Fiducia Supplicans «si è toccato un punto molto delicato, molto sensibile; ci vorranno ulteriori approfondimenti». E alla domanda se questo fosse stato un errore replicava: «Non entro in queste considerazioni, le reazioni ci dicono che ha toccato un punto molto sensibile».Sfumature. Ma nel linguaggio del fine diplomatico, per giunta curiale, sono chiari segni di moderazione, per non dire di correzione. Segni di normalità e prudenza che appunto rappresentano punti di forza per il futuro della Chiesa e, in particolare, per il conclave che verrà. Sono molte le voci che vorrebbero per il domani della Chiesa una figura rassicurante come quella del Segretario di Stato, un «centrista» di ferro che riporti la barca di Pietro in acque tranquille dopo le tempeste argentine.Tornando al caso specifico dell’incidente diplomatico della «bandiera bianca» bisogna però ammettere che anche il Segretario di Stato è precisamente sul punto della linea vaticana tracciata da Francesco. Ciò che trapela dalle sacre stanze sul conflitto in Ucraina, come peraltro per tutti gli altri pezzi di quella che papa Bergoglio definisce terza guerra mondiale, è «fermatevi, negoziate». Se c’è un campo in cui Francesco si è mosso con una certa coerenza è proprio quello della politica estera, per così dire, quando fin dal lontano 2013 proprio con Vladimir Putin come interlocutore tentò una forte azione volta a impedire l’intervento militare in Siria nell’agenda dall’allora presidente americano Barack Obama, d’intesa col francese François Hollande. Il Papa non ha mai fatto da «chierichetto all’Occidente», parafrasando una frase da lui rivolta al Patriarca ortodosso russo Kirill, al quale disse di non fare «il chierichetto di Putin», ma ha sempre percorso la strada della pace, a tratti in modo un po’ maldestro, ma appunto con una sua coerenza. Lo stesso Parolin nel marzo 2022 a proposito del conflitto in Ucraina disse che «è fondamentale arrivare a bloccare la guerra e avviare negoziazioni che permettano di trovare soluzioni». E aggiunse: «Bisogna saper rinunciare anche a qualcosa di importante, se su vuole veramente arrivare al traguardo della pace».