2025-06-05
Lo studio della sinistra fascista: la preziosa eredità di Giuseppe Parlato
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Giuseppe Parlato (Getty Images)
Lo storico appena deceduto aveva studiato con rigore scientifico la storia delle correnti antiborghesi e anticapitaliste del fascismo, sulla scia del messaggio rivoluzionario mazziniano.La recentissima scomparsa di Giuseppe Parlato, già docente di Storia contemporanea e allievo di Renzo De Felice, lascia un vuoto difficilmente colmabile nell’ambito degli studi sul Novecento italiano. Soprattutto di quel Novecento meno battuto dalle correnti storiografiche maggioritarie. È quindi questo il momento giusto per riscoprire una delle opere capitali di Parlato, ovvero La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, pubblicato nel 2000 dal Mulino.È proprio l’autore a spiegare, nelle prima pagine del saggio, quanto lo studio della sinistra fascista sia stato frenato da tutta una serie di pregiudizi storiografici: «Nonostante l'indubbia importanza di questa componente, che traeva la propria origine dal messaggio soreliano e dall'applicazione in Italia dei principi del sindacalismo rivoluzionario nel periodo giolittiano, nonostante l'indiscutibile influsso nella nascita del sindacalismo fascista, riconosciuto dallo stesso Mussolini nella Dottrina del fascismo, l'analisi delle evoluzioni culturali e politiche, delle prospettive e dei progetti di questa “anima” sociale e rivoluzionaria nella fase del fascismo maturo è rimasta per molto tempo in ombra. Le ragioni di tale sottovalutazione vanno a nostra avviso ricercate nella tradizionale interpretazione che per molti anni si è accreditata del fascismo da parte di studiosi e di storici, secondo la quale esso altro non sarebbe stato che il frutto, autoritario e liberticida, della evoluzione del sistema capitalistico, intenzionato, nella sua fase iniziale, aspettare la minaccia bolscevica e, in quella successiva e matura, a comprimere sempre più pesantemente il mondo del lavoro a favore dei gruppi monopolistici e industriali virgola a creare un regime di polizia finalizzato alla creazione di un moderno sistema capitalistico».Proprio De Felice, a suo tempo, aveva smontato questa interpretazione del fascismo come guardia bianca del capitale, ma a quanto pare la lezione non è stata appresa dal grosso dell’accademia. La ricerca di Parlato prende quindi di petto tutte quelle correnti che hanno attraversato il fascismo, chiedendo che venisse radicalizzata e che diventasse dominante quell’anima sociale, antiborghese e anticapitalista da sempre presente nel fascismo. Un’anima che Mussolini stesso apprezzava e incentivava, salvo poi cercare di conciliare queste istanze con la realpolitik.«La sinistra fascista», scrive Parlato, «non è un partito nel partito, non è una corrente strutturata nell’ambito del fascismo. […] È piuttosto un insieme, a volte contraddittorio, di sensazioni e di atteggiamenti, è la manifestazione di una volontà, spesso confusa, di rinnovamento, che partecipa, a sua volta, di diversi contributi culturali: dal sindacalismo rivoluzionario al futurismo, dal repubblicanesimo mazziniano al socialismo risorgimentale, dall’anticlericalismo radicale al populismo antiborghese, dallo squadrismo alla mistica del lavoro e della tecnica, intesa, quest’ultima, come futura classe dirigente del regime».Particolarmente interessante l’aspetto, ben messo in luce dall’autore, del legame tra eredità risorgimentale e sinistra fascista. Era nel messaggio mazziniano e garibaldino che il fascismo di sinistra trovava le sue origini rivoluzionarie: «La sinistra fascista operò una distinzione culturale prima che politica tra un Risorgimento progressivo e popolare di cui si sentì erede e un Risorgimento liberale e compromissorio sostanzialmente già gestito dalla classe borghese che invece costituiva il primo momento di un processo conclusosi con il giolittismo di cui il fascismo avrebbe dovuto essere l'alternativa».Nel saggio non mancano, tra le righe, chicche storiografiche preziose. Come quella sul progetto, avallato da Mussolini in persona, di una monumentale Storia del lavoro progettata nell’ambito dei sindacati fascisti e di cui uscirono solo due volumi, nel 1943, curati da Luigi Del Pane e da Amintore Fanfani, che appena tre anni dopo poteva essere eletto nell’Assemblea costituente che avrebbe licenziato la Costituzione «democratica e antifascista».
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