2021-09-17
Parlare di cure anti Covid non è più un tabù
Dopo le accuse di sabotaggio della campagna verso chi promuoveva nuove terapie, i virologi si ravvedono. Broccolo: «La politica ha puntato troppo sul siero. Sui monoclonali si è perso tempo». Matteo Bassetti: «Al via i test sul primo paziente trattato con molnupiravir»Da quando La Verità ha iniziato a puntare il riflettore sulle cure per il Covid, si è scatenato l'inferno mediatico. Poiché abbiamo osato rompere la retorica con cui si riempiono la bocca i maestri del culto della Cattedrale Sanitaria, siamo stati attaccati da ogni lato. Ci hanno accusati di essere contro il vaccino, nemici della scienza, sostenitori di sciamani, truffatori e cialtroni. Chi scrive, tuttavia, si è trovato ad assistere a un piccolo miracolo. Mercoledì, su Rete 4, nel corso del programma Zona bianca di Giuseppe Brindisi, ho potuto ascoltare con le mie orecchie quanto dichiarato da Francesco Broccolo, docente di microbiologia e microbiologia clinica del dipartimento di Medicina e chirurgia dell'università degli studi di Milano Bicocca e direttore del laboratorio Cerba di Milano.Avevo cercato di spiegare (inutilmente) per circa un'ora che spingere un poco sulle cure non significa sabotare la campagna vaccinale né essere «nemici della scienza». Anzi, semmai significa confidare che la scienza possa trovare qualche soluzione utile ed efficace, consentendo a meno persone possibili di finire in ospedale o addirittura al Creatore. Ovviamente, per riflesso condizionato, gli altri ospiti mi hanno additato quale troglodita avversario del progresso.Ebbene, interpellato in qualità di rappresentante ufficiale de La Scienza (marchio registrato) Broccolo ha dichiarato quanto segue: «La politica ha puntato tantissimo, a mio avviso sin troppo, sui vaccini e pochissimo sulle cure. Questo va riconosciuto». Non solo. A stretto giro ha aggiunto: «I monoclonali sono stati fermi per molto tempo, si stanno sbloccando adesso». Poi ha fatto riferimento al farmaco di cui ha parlato Mario Giordano a Fuori dal coro e di cui abbiamo raccontato anche noi il percorso: anakinra. Secondo Broccolo «funziona molto bene, riduce l'ospedalizzazione e il decesso fino al 55%, quindi i dati sono molto forti». A suo dire, farmaci come questo «bloccano la cascata infiammatoria proprio all'inizio, c'è solo la necessità di darli nei tempi giusti, cioè entro le 72 ore».Incredibile: La Scienza (marchio registrato) ci dice che le cure precoci esistono, e si possono somministrare. Ma allora perché non se ne parla mai se non per accusare chi pronuncia la parola «cura» di essere un fanatico no vax? I monoclonali sono disponibili da mesi e mesi. Secondo l'azienda farmaceutica Eli Lilly (sì: Big Pharma) riducono ricoveri e decessi fino all'87% e funzionano persino contro le varianti. Questa azienda, nel 2020, ha offerto 10.000 dosi di farmaco all'Italia, che però ha rifiutato. Che dite: se ci fosse stata un po' più di pressione mediatica sul tema, forse le nostre autorità si sarebbero date una mossa prima e si sarebbe potuta salvare qualche vita in più, o no? Questo è il compito dei giornali: far emergere i temi più caldi, segnalare le cose che non vanno perché siano migliorate. Ma ogni giorno ci viene richiesto di abdicare, di rinunciare a questa funzione. E intanto la politica continua a seguire lo stesso sentiero: parla di vaccino e green pass, e di nient'altro.Prendiamo il professor Matteo Bassetti. Di solito lo si interpella per fargli dire che la destra italiana sbaglia sui vaccini, o per fargli ripetere che si devono vaccinare anche i minori. Eppure, giusto ieri, Bassetti ha annunciato che nel suo ospedale, il San Martino di Genova, «è stato randomizzato il primo paziente italiano nel protocollo di studio MK4488-02 ovvero nello studio per valutare efficacia e sicurezza di impiego del molnupiravir, un nuovo antivirale in compresse attivo sul Covid che potrebbe rappresentare un'arma in più per la gestione del Covid a casa. Il farmaco è ancora in fase III di studio qui in Italia, dove oltre al nostro centro ci sono altri otto centri autorizzati per la sperimentazione clinica». Ma come? Un farmaco per curare il Covid a casa? Non era roba per cretini che credono alle favole? Pare di no.Ieri mattina, su Radio 24, il professor Giuseppe Remuzzi ha spiegato che non esiste alcuna contrapposizione tra cure domiciliari precoci e vaccini. «La casa è la nuova frontiera», ha detto lo studioso che lavora al Mario Negri e sta mettendo a punto un suo protocollo terapeutico. Ha citato lavori pubblicati su The Lancet, studi in corso in India, ha citato gli antinfiammatori. E ha ribadito che l'importante è trattare i pazienti il prima possibile.Ebbene, per sviluppare i vaccini è stato compiuto uno sforzo a livello mondiale. Si è rischiato, si è scommesso, sono stati spesi tantissimi soldi. Perché non può esserci un investimento analogo sulle cure? Perché la politica italiana - invece di presentarsi come capofila delle restrizioni - non prova almeno per un minuto a ragionare sulle terapie, magari prendendo in considerazione anche i protocolli nati dall'esperienza sul campo? Affrontare con serietà l'argomento servirebbe a sgombrare il campo da equivoci, a far piazza pulita dei ciarlatani. E, soprattutto, servirebbe a salvare vite: ogni giorno perso significa morti in più. Chi vuole averli sulla coscienza?
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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