2023-09-26
Parigi molla il Niger: altri barconi per noi
Il leader francese annuncia il ritiro delle truppe, che restano in minima parte solo in Ciad: «Stop agli interventi in caso di golpe». La giunta esulta ma non caccia gli americani. Per l’Italia c’è una grana in più: il caos politico a Niamey incoraggerà le partenze.Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato il ritiro dell’esercito francese dal Niger entro la fine del 2023. Il governo di Parigi prevede di contattare al più presto i membri della giunta militare nigerina per garantire un ritiro pacifico e coordinato dei 1.500 soldati francesi presenti nel Paese, in modo che, al 1° gennaio 2024, non ve ne siano più. Macron ha anche annunciato che l’ambasciatore francese, Sylvain Itte, che viveva ormai barricato all’interno della sede diplomatica, avrebbe lasciato la capitale Niamey nella giornata di ieri. È finito così il braccio di ferro della Francia con la nuova giunta golpista, arrivata al potere a fine luglio. Non poteva andare diversamente, visto che Parigi anche all’interno dell’Ue è rimasta sola a difendere a oltranza il deposto presidente Mohamed Bazoum, ancora agli arresti. Per circa due mesi i francesi hanno appoggiato la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), che ha più volte paventato l’intervento militare in Niger, con tanto di ultimatum - mai rispettato, a causa di divisioni interne - anche sulla ripartizione dei costi e dalla paura che una guerra avrebbe travolto i Paesi vicini, già alle prese con enormi problemi di sicurezza causati dai gruppi locali legati ad al Qaeda e allo Stato Islamico. Determinante poi il veto all’intervento militare in Niger da parte degli Stati Uniti, che almeno per il momento non vedono minacciati i loro interessi: nessuno ha chiesto agli Usa di far rientrare il loro ambasciatore o il ritiro del loro contingente militare. Si direbbe che i golpisti sappiano bene con chi conviene litigare e con chi no. «Non c’è più la Françafrique e quando ci sono colpi di Stato, noi non interveniamo», ha affermato il leader francese, che ha poi ha spiegato di non voler far restare i militari francesi in Niger come «ostaggi dei putschisti». Poi ha detto che la Francia continuerà ad aiutare il continente africano a combattere il terrorismo, «ma solo se proviene da governi democraticamente eletti. I putschisti sono amici del disordine». Macron ha anche tracciato il suo personale bilancio dei dieci anni di operazione militare antiterrorismo «Barkane» nel Sahel (oggi la Francia è presente solo in Ciad con 1.000 soldati), che ha definito «un successo». Vero che Parigi è intervenuta su richiesta dei passati governi del Mali, del Burkina Faso e del Niger, tuttavia, i risultati sono stati modesti se confrontati con l’impegno militare profuso e la perdita di vite. Per Macron, «senza il nostro intervento, la maggior parte di questi Paesi sarebbero già diventati dei califfati territoriali gestiti dai jihadisti». La giunta militare al potere in Niger ha subito accolto con grande enfasi l’annuncio del presidente francese: «Celebriamo la nuova tappa verso la sovranità del Niger», hanno scritto in un comunicato letto alla tv nazionale. Dopo il ritiro obbligato dal Mali e dal Burkina Faso, la presenza dei militari francesi nella zona strategica del Sahel e nell’Africa occidentale diminuisce ancora. Anche se Parigi dislocherà i militari che erano in Niger nel vicino Ciad, che ospita il quartier generale delle forze francesi nel Sahel, o verso altre zone di combattimento contro i jihadisti, tipo il Medio Oriente, come si è visto negli scorsi giorni in Siria. Quindi la giunta golpista è soddisfatta e può gridare alla vittoria, cosa che potrebbe ispirare anche altri generali nel continente africano a imitarla, visto che «tanto basta tenere un po’ duro e poi gli occidentali non intervengono e se ne vanno». E anche Parigi tira un sospiro di sollievo, visto che i timori di un assalto all’ambasciata francese da parte della folla fomentata dai golpisti erano sempre più fondati. Chi non festeggia e ha motivo di preoccuparsi (e molto) è il nostro Paese, che vede aumentare esponenzialmente il pericolo - con il Sahel in fiamme grazie ai jihadisti - che il Mediterraneo venga preso d’assalto dai migranti. È bene ricordare che il Mali, il Burkina Faso e il Niger non sono assolutamente in grado di reggere l’urto delle organizzazioni terroristiche e non saranno certo le milizie paramilitari russe, alle quali i terroristi danno la caccia, a salvarli. Tutto accade mentre Macron tende la mano a Giorgia Meloni: «Voglio lavorare con il presidente del Consiglio italiano, perché lei ha fatto una scelta, forte, che non era quella di qualche mese fa, seguita dall’Italia. Noto che nella sua maggioranza ci sono quelli che danno risposte semplicistiche e nazionaliste, laddove c’era un’Italia che diceva “non prendiamo più barconi, li mandiamo altrove”, l’Italia ora si prende le sue responsabilità per quello che chiamiamo il primo porto sicuro. Noi dobbiamo svolgere il nostro ruolo in quanto europei e non lasciare soli gli italiani». Belle parole, ma i barconi rrivano a Lampedusa e non a Parigi.
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)
L'ad di Eni Claudio Descalzi (Ansa)