
L'ennesimo disordine in Francia, la nazione che in Europa ha più scioperi violenti, manifestazioni di vario tipo con toni estremi e atti vandalici. L'Esagono, che non cessa di darci lezioni, sta diventando un problema per tutti.L'ennesimo disordine in Francia – la nazione che in Europa ha più scioperi violenti, manifestazioni di vario tipo con toni estremi e atti vandalici - mi fa tornare in mente le parole del responsabile della Direzione generale della sicurezza interna in una audizione parlamentare del 2016: il Paese è alle soglie della guerra civile. Nel 2017 l'agenzia di informazioni economiche Bloomberg titolava: la conflittualità sociale è il più alto rischio per la Francia. Nel 2018 l'instabilità del sistema sociale perdura. Si aggiunga l'elevata percentuale di popolazione islamica non assimilata e collocata in ghetti periferici nelle città francesi. Si inserisca, infine, la serie storica dei disordini sociali – la si trova comodamente su Wikipedia - e si otterrà l'immagine di una Francia dove gran parte della popolazione è socialmente ostile al cambiamento, abituata all'assistenzialismo, poverissima in alcune aree, dove tutte le aggregazioni sociali che hanno motivi di protesta tendono a radicalizzarla e dove la repressione è più violenta. È un caso unico in Europa che deve interessare l'Italia e gli altri europei. Sto studiando il caso francese, e del protezionismo europeo, in vista del possibile negoziato per un accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti recentemente proposto dall'amministrazione Trump. Washington vorrà un trattato simmetrico, cioè zero o quasi barriere reciproche. Questa formula sarà respinta dagli europei per l'elevata densità di settori protetti o regolati da standard diversi da quelli statunitensi. Ma un compromesso sarà possibile, anche nel settore più difficile che è l'agricoltura e zootecnia. Provando a simularlo - grossolanamente - è però molto probabile che, mentre gli altri europei potranno accettare, la Francia dirà comunque di no. E lo farà sia in base ad una mobilitazione spontanea e violenta delle categorie che non vogliono la concorrenza statunitense sia per l'opposizione di Emmanuel Macron che non vuole un accordo di mercato euroamericano perché questo seppellirebbe il suo progetto principale di una «sovranità europea» a guida francese e che «francesizzi» la difesa europea e la relativa industria, in divergenza con l'America in uno scenario post-Nato. Anzi, i due fattori si combineranno: le proteste popolari spontanee daranno a Macron la scusa per il no ed egli stesso le solleciterà riservatamente se fosse necessario. Come mai, allora, il trattato con il Canada (Ceta) è passato? In questo caso Parigi ha un interesse primario a rafforzare i legami con il Quebec e quell'accordo ha un profilo meno impattante in settori critici, come quello con il Giappone dove l'industria automobilistica e tecnologica francese ha interessi.Il punto: l'interesse nazionale oggettivo dell'Italia è che l'Ue sigli un accordo di libero scambio con l'America, pur calibrato nelle tutele, e che la Nato continui ad esistere. Una Francia con una politica di domino europeo, per moltiplicare la sua piccola forza nazionale, e con una posizione dominante nell'Ue è un ostacolo per l'interesse italiano che non può passare sotto silenzio. Tornando al profilo del sistema sociale francese, non si può nemmeno passare sotto silenzio che la Francia sia un partner svantaggioso. Si ricordi che nel 2005 i francesi bocciarono, dopo l'Olanda, il referendum per approvare una (bozza di) di Costituzione europea. Tale precedente crea un dilemma per l'Italia: un'integrazione europea paritetica e ben bilanciata tra interessi nazionali sarebbe un vantaggio, ma Parigi vuole un'integrazione asimmetrica dove l'Italia resterebbe compressa e sarebbe depauperata. In sintesi, la Francia impedisce, in alto e in basso, la creazione di un'Ue bilanciata, più della egoista Germania. La società francese, poi, è instabile e impedisce politiche di riforma che superino l'assistenzialismo per ottenere modelli pro-mercato che aiutino la crescita di tutta l'Ue . Non è che Italia e Germania siano campioni di efficienza economica, ma in queste nazioni si vede che ragionevoli compromessi sono possibili, mentre in Francia la violenza rivendicativa e lo statalismo del modello li ostacolano. La Francia è il malato economico e sociale più grave d'Europa. L'approccio razionale è quella di aiutarla per l'interesse a non avere un vicino che insozza il condominio. Ma prima di farlo, Parigi dovrebbe ammettere i suoi problemi ed iniziare a risolverli, possibilmente non con indebitamento costante. Non lo farà? Allora l'Italia ponga la «questione francese», per esempio dicendo chiaramente che mai si fiderà di una difesa nucleare post-Brexit e post-Nato gestita da una nazione così inaffidabile, in alto e in basso. www.carlopelanda.com
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.
Friedrich Merz (Ansa)
Con l’ok di Ursula, il governo tedesco approva un massiccio intervento sul settore elettrico che prevede una tariffa industriale bloccata a 50 euro al Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio. Antonio Gozzi (Federacciai): «Si spiazza la concorrenza».
Ci risiamo. La Germania decide di giocare da sola e sussidia la propria industria energivora, mettendo in difficoltà gli altri Paesi dell’Unione. Sempre pronta a invocare l’unità di intenti quando le fa comodo, ora Berlino fa da sé e fissa un prezzo politico dell’elettricità, distorcendo la concorrenza e mettendo in difficoltà i partner che non possono permettersi sussidi. Avvantaggiata sarà l’industria energivora tedesca (acciaio, chimica, vetro, automobile).
Il governo tedesco ha approvato giovedì sera un massiccio intervento sul mercato elettrico che prevede un prezzo industriale fissato a 50 euro a Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio, accompagnato da un nuovo programma di centrali «a capacità controllabile», cioè centrali a gas mascherate da neutralità tecnologica, da realizzare entro il 2031. Il sistema convivrebbe con l’attuale attuale meccanismo di compensazione dei prezzi dell’energia, già in vigore, come ha confermato il ministro delle finanze Lars Klingbeil. La misura dovrebbe costare attorno ai 10 miliardi di euro, anche se il governo parla di 3-5 miliardi finanziati dal Fondo per il clima e la trasformazione. Vi sono già proteste da parte delle piccole e medie imprese tedesche, che non godranno del vantaggio.






