2024-01-25
I parenti di Soumahoro a processo deridono i lavoratori della loro coop
Mentre nell’aula del Tribunale di Latina venivano raccontati al giudice i disagi dei dipendenti della Karibu fondata dalla suocera del deputato, la donna si è fatta beffe di chi aspetta da lei 400.000 euro di stipendi.«Di fronte alle contestazioni dei nostri avvocati, Marie Terese Mukamitsindo ha iniziato a sorridere in modo beffardo». È sconcertato Gianfranco Cartisano, sindacalista di lungo corso nelle fila della UilTucs, di fronte alla condotta tenuta in aula dai famigliari di Aboubakar Soumahoro, il quale, almeno sulla carta, era proprio un collega di Cartisano. Ma la vita è strana e può riservare contrappassi impietosi.È iniziato ieri a Latina, all’insegna di presunti atteggiamenti rodomonteschi, il processo per presunti reati fiscali contro la Mukamitsindo, suocera di Soumahoro, la figlia Liliane Murekatete, compagna del parlamentare del gruppo Misto di origini ivoriane, il di lei fratello Michel Rukundo e altri tre soggetti, tutti accusati di reati fiscali prima tappa giudiziaria (ci sono altri filoni di indagine) di quello che il sindacato definisce lo «scandalo Karibu e Consorzio Aid», cioè le coop con cui Mukamitsindo & c. avrebbero drenato decine di milioni di euro per gestire un’accoglienza che tale, secondo le accuse, non era.Infatti dalle indagini della procura di Latina è emerso come molti di quei fondi per assistere i migranti fossero utilizzati per ben altri fini, a partire dalla soddisfazione di quel diritto all’eleganza rivendicato, per la sua Liliane, dallo stesso Soumahoro. Come abbiamo già raccontato madre e figlia sono anche finite ai domiciliari (con l’accusa di bancarotta patrimoniale per distrazione, frode nelle pubbliche forniture e autoriciclaggio) anche perché i migranti ospitati nelle strutture d’accoglienza da loro gestite vivevano in mezzo a topi e blatte, mangiando cibo di scarsa qualità (come è evidenziato nell’ordinanza d’arresto). In compenso Liliane comprava abiti e accessori di lusso e cercava, a spese della cooperativa, di avviare un salone di bellezza Bruxelles dove aveva fondato una sede locale della Karibu con l’obiettivo di offrire ai migranti «un team multidisciplinare composto da psicologi, sociologi, assistenti sociali, nutrizionisti, estetisti, parrucchieri, professionisti aziendali, ecc.». Ma ai lavoratori, molti anche stranieri, mancavano i diritti più elementari. Almeno in Italia. A fermare questa deriva è stato il combattivo esponente dell’Unione italiana del lavoro, il quale ha dato il via alle inchieste che hanno portato alla sbarra Mukamitsindo & c.. Ieri, come detto, si è tenuta la prima udienza del processo in cui agli imputati sono contestate le operazioni contabili irregolari finalizzate a evadere le tasse, per un totale di 3 milioni di euro. In aula, al cospetto del giudice Simona Sergio, si sono presentati a sorpresa la suocera del deputato con gli stivali, Rukundo e Ghislaine Ada Ndongo. «I rinviati a giudizio si sono permessi di sbeffeggiarci e sorridere quando sono stati raccontati al giudice i disagi patiti dai lavoratori» denuncia Cartisano. «In particolare lo ha fatto la Mukamitsindo. Lo abbiamo visto bene». Anche perché la sala era piccola e tutti potevano osservare i volti dei presenti. «Rideva dopo aver sottratto tre milioni di euro all’Erario e non aver pagato 400.000 euro di stipendi, problema per cui stiamo aspettando di poter accedere al fondo straordinario dell’Inps».Il sindacalista proprio non ha mandato giù l’atteggiamento della Mukamitsindo, per anni presa a modello dai politici della sinistra e dai giornali d’area. Sino a quando non sono emerse le presunte frodi, anche grazie alla pervicacia della UilTucs: «Senza le denunce e il grido di dolore di lavoratori e lavoratrici questo scandalo non sarebbe mai emerso» rivendica Cartisano. «Senza il racconto di quella triste realtà, del disagio causato alle tante famiglie dalla cattiva gestione del denaro pubblico destinato all’accoglienza e all’integrazione da parte di queste persone oggi rinviate a giudizio, non sarebbero mai state interrotte quelle erogazioni, anche per la mancanza di vigilanza sul sistema dell’accoglienza». Ma i problemi sono tutt’altro che risolti e il processo rischia di essere solo una sterile rivincita: «Purtroppo molti lavoratori non hanno ancora trovato una ricollocazione e, intanto, questi personaggi ridono, dopo aver distrutto due cooperative non per una crisi del settore, ma per la ricerca spasmodica del profitto. Davano la colpa agli enti pubblici per il mancato pagamento degli stipendi, ma la cruda realtà era diversa: le risorse della Karibu venivano sperperate per shopping e spese personali, mentre per i lavoratori non c’erano mai i soldi».Alla fine il gup ha ammesso la costituzione di parte civile di 18 lavoratori che chiedono 30.000 euro a testa per i danni patiti e la perdita dell’impiego. Si tratta di operatori e mediatori linguistici, dieci nordafricani e otto italiani. L’avvocato Atena Agresti che, con il collega Giulio Mastrobattista, rappresenta la Uil e i lavoratori nel processo, spiega: «I legali degli imputati hanno provato a riproporre le loro vecchie eccezioni già superate nell’udienza preliminare, quando è stato stabilito che i lavoratori che lamentano un danno morale e patrimoniale possono costituirsi parte civile. Danno che ovviamente andrà accertato».Conferma che gli imputati hanno sogghignato di fronte alle accuse? «È stato un momento abbastanza grottesco. In particolare lo ha fatto la Mukamitsindo. Non so perché abbiano iniziato a sorridere in modo estremamente vistoso e sgradevole. Forse perché l’avvocato Mastrobattista ha sottolineato che questo procedimento esisteva proprio in ragione dell’attivismo del sindacato che è andato più volte a denunciare delle condotte davvero poco ortodosse». Cartisano conclude: «I latini dicevano che il riso abbonda sulla bocca degli stolti. Vedremo come andrà a finire».
Il Tempio di Esculapio, all’interno del parco di Villa Borghese (IStock)
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Gianrico Carofiglio (Ansa)