2018-04-08
Alla fine si
tornò al voto ma i partiti scioperarono
Il maggio 2018 si rivelò infernale per la Casta dei partiti politici italiani. Le elezioni del 4 marzo non avevano partorito un risultato utile alla formazione di un nuovo governo. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si era sacrificato a tenere un'infinità di consultazioni. Ma neppure lui, un riservato leader d'acciaio, era riuscito a cavare il ragno dal buco. Anche un secondo giro di incontri non generò una soluzione possibile. Le previsioni erano nere, nerissime. Esisteva un unico vantaggio: l'Italia stava rivelando di poter vivere benissimo anche senza un governo. Tutto procedeva nel migliore dei modi. Paolo Gentiloni, da vero galantuomo, sbrigava con intelligenza gli affari correnti. L'economia più o meno tirava. La criminalità era quella fisiologica. Andava peggio per la classe politica. Emergevano sempre nuovi casi di corruzione. Gli arresti e le condanne fioccavano. Il discredito cresceva a dismisura. Neppure i 5 stelle si salvavano. Quando andava a piedi verso il suo ufficio a Montecitorio, persino il presidente della Camera, Roberto Fico, veniva fischiato. E un giorno la presidente del Senato, la signora Elisabetta Alberti Casellati, vide la propria eleganza sofisticata messa a rischio da un lancio di pomodori.Fu in quei frangenti che Mattarella osò un passo che neppure lui aveva pensato di fare: decise di sciogliere le Camere nate il 4 marzo e stabilì che nel primo giorno di agosto si tenessero le nuove elezioni politiche. Secondo gli esperti in retroscena dei grandi quotidiani, il presidente della Repubblica aveva scelto questa mossa con una sola speranza. Quella che i partiti, trovandosi fronte a una battaglia all'ultimo sangue, si sarebbero dati una mossa decidendo di far nascere un nuovo governo.Purtroppo non andò così. Il Quirinale fu costretto a prendere atto di una verità tombale: i partiti rifiutavano di combattere, nel terrore di incassare la sconfitta definitiva. E uno dopo l'altro annunciarono che non avrebbero partecipato alle elezioni di agosto. Quella della Casta fu una resa totalitaria. Beppe Grillo fu il primo ad annunciare che la sua ditta sarebbe rimasta a guardare. Lo stesso dichiararono i superstiti del Partito democratico. Persino un gladiatore sempre disposto a duellare come Matteo Salvini informò il pubblico che sarebbe andato in ferie alla sorgente del Po. E si fece fotografare con la sua splendida morosa, la signorina Elisa Isoardi, accanto a una tenda matrimoniale verde, allestita con una perfezione che avrebbe provocato una crisi di invidia in un intero reparto di boy scout.I giornali stamparono titoli mai visti. «Sciopero generale dei partiti», «La politica decide la castità assoluta», «Deputati e senatori si sono regalati una vacanza di due mesi». Le reazioni a questa novità sconvolgente furono le più diverse. La maggioranza degli italiani alzò le spalle, ringhiando: fannulloni erano e fannulloni sono rimasti, l'Italia farà a meno di una partitocrazia arrogante e ladra, le famiglie italiane si arrangeranno da sole come hanno sempre fatto. Ma nell'opinione pubblica emerse anche un settore che si ribellò a questa scelta assurda. Era quello delle star che sorreggevano il sistema dei talk televisivi. Il loro ragionamento fu istintivo: niente politica significa niente comparsate in tivù, il tutto equivale alla disoccupazione e al tramonto di una professione molto stimata e fonte di grande popolarità. Il passo successivo di queste star fu obbligato. Era indispensabile dar vita almeno a due nuove parrocchie e in questo modo salvare il sistema dei programmi che ogni sera romanzavano le vicende politiche italiane, mettendo in scena dibattiti e scontri quasi veri o simili al vero. Le star televisive dimostrarono di sapersi muovere con una velocità che i partiti averi avevano perso per strada da molto tempo. Nel volgere di pochi giorni, nacquero due blocchi. Uno si chiamò Italia nuova ed era una specie di alleanza definibile di centrosinistra. L'altra si denominò Patria nostra, e spiegò di collocarsi nell'area di centro destra. Il blocco di centrosinistra venne guidato da Paolo Mieli con l'aiuto indispensabile di Lilli Gruber. Accanto a loro c'erano Giovanni Floris, Corrado Formigli, Lucia Annunziata, Luca Zingaretti, il famoso commissario Montalbano, ritenuto un formidabile acchiappavoti, insieme a personaggi storici come Milly Carlucci e Roberto Benigni. Sino all'ultimo rimase incerta la presenza di Beppe Severgnini, ritenuto incapace di raccattare qualche voto. Poi venne ammesso grazie all'affettuoso intervento della signora Gruber. Il blocco di centrodestra ebbe come condottiero Bruno Vespa. Accanto a lui una presenza del tutto sorprendente: Marco Travaglio, il capo del Fatto quotidiano, che si decise a dichiarare la sua vera collocazione, dicendo: «Sono stato un allievo di Indro Montanelli!». Con loro Enrico Mentana, Maria De Filippi, Barbara D'Urso, Maria Latella e il comico Gene Gnocchi. Il varo dei due blocchi non fu indolore. Emersero casi di divismo esagerato. Tutti volevano comandare e ottenere il rango di capolista. Le malattie dei partiti tradizionali dilaniarono anche la truppa degli acchiappavoti. Tutti si guardavano in cagnesco. La maldicenza trionfava. Idem le fake news, ossia le bufale per danneggiarsi a vicenda. Si rivelò molto complicato trovare i finanziamenti per la propaganda elettorale. Tutti i candidati dei due blocchi sostenevano di avere le tasche vuote. Poi apparvero tre o quattro finanziatori misteriosi. Chi erano? Nessuno lo seppe mai. Ma venne detto che si trattava di ricconi innamorati delle signore di entrambe le liste, a cominciare da Lilli Gruber e da Barbara D'Urso. I soliti retroscenisti mormorarono: «Un tempo si spendeva molto per le ballerine dei tabarin, oggi per le dive dei talk show», La campagna elettorale si svolse tutta in tv. Ma i risultati furono un disastro. Italia nuova guidata da Mieli portò a casa un misero 9 per cento. Patria nostra comandata da Vespa arrivò appena al 7 per cento. A sorpresa, la vittoria fu di una lista che neppure i bookmaker avevano messo in conto. Era quella dei centri sociali, dunque di ultrasinistra. L'insegna gridava Potere al popolo. E a guidarla provvedeva una leader quasi sconosciuta: Viola Carofalo, 37 anni, laureata in storia e ricercatrice presso l'università di Napoli. Una donna dalla bellezza misteriosa e con uno sguardo tra il gelido e l'enigmatico che ricordava quello delle grandi attrici di un tempo: Greta Garbo o Marlene Dietrich. La sua lista aveva conquistato un bottino di voti del tutto imprevisto: il 25 per cento. In altre circostanze, non sarebbe bastato per dar vita a un governo. Ma non esistevano concorrenti più forti. Le due liste delle star acchiappavoti stavano ben lontane, insieme avevano raccattato appena il 16 per cento.Con il cuore che gli sanguinava, ma anche senza batter ciglio come doveva fare un grande presidente della Repubblica, Mattarella affidò alla misteriosa Viola il compito di formare un governo mai visto. E quanto accadde dopo, il Bestiario lo racconterà un'altra volta.
L’AIE cambia idea, niente picco di domanda. Tassonomia Ue, gas e nucleare restano. Stagione atlantica avara di uragani. La Germania chiede più quote di emissione. Cina in ritardo sul Net Zero. Maxi-diga in Etiopia.
Charlie Kirk (Getty Images)