
Sud contro Nord per le compensazioni sulle installazioni. Colpa dell’Europa che non vede quanto è diversa l’Italia.Il pesce puzza dalla testa. Il famoso Pnrr ne è la riprova. È stato scritto male a livello europeo perché si sono considerati i Paesi Ue come se fossero tutti uguali e le misure sono state previste nello stesso modo per tutti, quando sono molto diversi l’uno dall’altro, dall'economia alla struttura sociale e come se non bastasse lo stesso marcio sta anche nella testa del pesce italiano perché è stata considerata l’Italia come se le sue regioni, il suo Nord, il suo Centro e il suo Sud ,fossero paragonabili, o assimilabili a uno stesso modello, mentre non lo sono proprio per nulla. Ora voi capite bene che mettere in piedi una politica economica di questo tipo genera una serie di casini sia a livello internazionale che nazionale dai quali è difficile liberarsi.Come infili la testa nel Recovery Plan europeo e nel Pnrr italiano ti trovi in una specie di labirinto nel quale è difficile stare ma uscirne è spesso impossibile, tant’è vero che dei famosi 200 miliardi ne abbiamo spesi solo 6, come certificato dalla Corte dei Conti.Ma qui vogliamo occuparci del livello nazionale e in particolare del dibattito cui stiamo assistendo, non senza sconforto, tra le regioni del Sud e quelle del Nord sull’installazione di pannelli solari e pale eoliche nelle zone al di sotto di Roma. Ebbene, le regioni meridionali protestano contro questo provvedimento e vogliono o tali istallazioni senza aggravio economico per loro stesse, cioè a gratis, o vogliono delle compensazioni (sempre di soldi si tratta), in altre parole o ce li date senza pagare o ci date un risarcimento successivo.In regioni a vocazione turistica, dove i visitatori, con la desertificazione industriale, rappresentano un’ancora di salvezza, almeno per una parte cospicua dell’anno (fenomeno che tra l’altro sta ampliandosi come solo ad esempio in Puglia), sia i pannelli solari che le pale eoliche - come ha ricordato più volte Vittorio Sgarbi a proposito della salvaguardia del patrimonio paesaggistico, spesso sotto il vincolo dei Beni artistici e paesaggistici - devono essere installati, se proprio non se ne può fare a meno, in modo tale che non siano devastanti per il nostro ambiente, che potrebbe essere in larga parte inserito nel Patrimonio universale dell’Unesco. Questo perché, anche in Italia, come in Europa, il Pnrr è stato concepito, a parte la quantità dei soldi destinati più al Sud che al Nord, come se le regioni italiane avessero lo stesso tessuto economico, la stessa realtà sociale, la stessa storia, la stessa cultura e, addirittura, le stesse caratteristiche paesaggistiche ed anche idrogeologiche. E invece, come sa anche un bambino delle elementari, ogni regione italiana ha delle caratteristiche diverse: basterebbe che a Roma chi deve decidere si fornisse di una carta geografica fisica per rendersene conto.Quando la testa non decide come, quando e dove installare questi pannelli e queste benedette pale eoliche, ci sarà sempre il caos, discussioni a non finire, perdita di tempo mentre i tempi dettati dall’Europa si fanno via via sempre più brevi e stringenti. E quindi discussioni sotto il Principe che non decide, che non programma, che non pensa a dettare delle regole paesaggistiche: è chiaro che siamo in mezzo al guado. Ci rendiamo ben conto che, in Italia, al contrario che in Danimarca o in Norvegia, sia difficile, molto difficile trovare un posto che si adegui a questi aggeggi, ma d'altra parte non è che poiché il compito è difficile, allora si lascia ad ognuno fare il cacchio che vuole e si lasciano sbranare tra di loro i vari rappresentanti di regioni e comuni italiani. È evidente che serve, e anche in fretta, un piano nazionale delle installazioni da concordare a livello centrale (sennò a che serve la Conferenza Stato Regioni?) che definisca i numeri di ripartizione tra le singole aree e poi i piani regionali da concordare con i comuni, i luoghi di collocazione dei dispositivi ecologici e sostenibili. Ci saranno di sicuro delle discussioni feroci, ma d’altra parte ognuno difende il proprio territorio più che può perché, alla fine, prova a lisciare il pelo nel verso giusto agli elettori in vista dei voti da raggranellare alle prossime elezioni. Allora subentra la responsabilità centrale, cioè del governo, che deve giocare questa partita con piglio decisionista, forte e con una funzione di controllo in modo che non vengano commessi dei delitti veri e propri contro il paesaggio e la meravigliosa cultura italiana che esso esprime. C’è da fare poche moine, c’è da andare poco per il sottile. Mappe dei collocamenti delle diverse regioni da passare al setaccio, tempi di installazione, ripartizione dei fondi tra le diverse amministrazioni. Ma soprattutto attenzione al paesaggio e ai tempi di attuazione, se no si rischia di spendere 6 miliardi l’anno e cioè, in fondo, 30 su 200 e rotti. Per carità, si risparmierebbe sui soldi da restituire all’Europa alla fine della commedia, ma è questa la strada giusta? Le strade sono due. O si ritiene di rinunciare a quei soldi, e ci potrebbero essere anche motivi di ragionevolezza. O si decide come spendere questi soldi. E poi si spendono.